Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 febbraio 2020, n. 2529

Cartelle esattoriali, Violazione del divieto di
intermediazione della manodopera, Pagamento contributi, premi e sanzioni
civili, lmputazione dei rapporti di lavoro

 

Rilevato in fatto

 

che, con sentenza depositata il 12.6.2014, la Corte
d’appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha
rigettato le opposizioni proposte da C. s.p.a. avverso le cartelle esattoriali
con cui le era stato ingiunto di pagare contributi, premi e sanzioni civili in
relazione ai rapporti di lavoro intrattenuti dalla cooperativa sua appaltatrice
L’I. L. s.c. a r.l. e ritenuti imputabili ad essa appaltante per violazione del
divieto di intermediazione della manodopera;

che avverso tale pronuncia C. s.p.a. ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, illustrati con
memoria;

che l’INPS e l’INAIL hanno resistito con distinti
controricorsi;

 

Considerato in diritto

 

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia
violazione dell’art. 29, d.lgs. n.
276/2003, e falsa applicazione dell’art. 2094
c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che anche nell’ipotesi di
appalto illecito (e non solo in quella di somministrazione di manodopera priva
di forma scritta) si potesse imputare al committente l’impiego della forza
lavoro dell’appaltatore pur in assenza di un’azione dei singoli lavoratori
volta a costituire un rapporto di lavoro con il committente medesimo, invece di
ritenere il committente semplicemente obbligato in via sussidiaria al pagamento
dei contributi e con esclusione delle sanzioni, siccome confermato dalla
modifica di cui all’art. 21, comma
1, d.l. n. 5/2012 (conv. con I. n. 35/2012),
da ritenersi meramente ricognitiva di un precetto già immanente al sistema;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
omesso esame circa un fatto decisivo per non avere la Corte territoriale tenuto
conto della circostanza che, avendo la prova testimoniale riguardato soltanto
lo svolgimento delle attività nei reparti magazzino, laccatura e imballaggio e
avendo viceversa l’appalto avuto ad oggetto anche altri reparti, l’imputazione
dei rapporti di lavoro non avrebbe potuto estendersi al di là di quelli
effettivamente riguardanti le attività per le quali si era raggiunta la prova;

che il primo motivo è infondato, avendo questa Corte
già chiarito che la disposizione di cui all’art. 21, comma 1, d.l. n. 5/2012,
cit., ha natura innovativa e non meramente interpretativa (così Cass. n. 18259 del 2018) e che, in ragione
dell’autonomia tra rapporto di lavoro e rapporto previdenziale, l’accertamento
della natura fittizia del rapporto con il datore di lavoro interposto, da cui
discende il potere dell’ente previdenziale di applicare le relative sanzioni,
costituisce oggetto di questione pregiudiziale di cui il giudice può conoscere
in via incidentale, senza che sia necessaria la previa azione del prestatore di
lavoro volta all’accertamento dell’interposizione fittizia e alla costituzione
del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (Cass. nn. 13013 e 17705
del 2019);

che il secondo motivo è invece inammissibile, atteso
che – in disparte i pur decisivi profili di difetto di specificità, mancando
del tutto la trascrizione anche delle parti rilevanti delle deposizioni
testimoniali di cui si lamenta l’erronea valutazione – veicola sostanzialmente
una richiesta di riesame del materiale probatorio già criticamente vagliato
dalla Corte territoriale, che è cosa ovviamente non possibile in questa sede di
legittimità (Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e
succ. conf.);

che il ricorso, conclusivamente, va rigettato,
provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità,
giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in €
13.200,00, di cui € 13.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari
al 15% e accessori di legge, per ciascuna delle parti controricorrenti.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’uIteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 febbraio 2020, n. 2529
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