Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2020, n. 2010
INPS, Contributi omessi, Cartella esattoriale, Lavoratori
subordinati assunti con contratto di collaborazione a progetto
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 13.9.2013, la Corte
d’appello di Genova ha confermato, per quanto qui rileva, la pronuncia di primo
grado che aveva rigettato l’opposizione proposta da A.M. avverso la cartella
esattoriale con cui le era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per
contributi omessi in danno di taluni lavoratori subordinati assunti con
contratto di collaborazione a progetto; che avverso tale pronuncia A.M. ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura; che l’INPS ha
resistito con controricorso; che, a seguito della fissazione dell’adunanza
camerale, parte ricorrente ha depositato memoria ex art.
378 c.p.c. con la quale, oltre ad illustrare il motivo di ricorso, ha
denunciato per contrasto con l’art.
6 CEDU il rito camerale di cui all’art. 380-bis
c.p.c., anche in relazione al decreto del Primo Presidente di questa Corte
del 14.9.2016, in tema di motivazione semplificata dei provvedimenti;
Considerato in diritto
che, con riguardo al paventato contrasto del rito
camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c. con il
principio di pubblicità del processo di cui all’art. 6 CEDU, questa Corte ha già
avuto modo di chiarire che il principio di pubblicità dell’udienza non riveste
carattere assoluto e può essere derogato in presenza di particolari ragioni
giustificative, ove obiettive e razionali (giusta l’insegnamento di Corte cost.
n. 80 del 2011), da ravvisarsi in specie in relazione alla conformazione
complessiva di tale procedimento camerale, funzionale alla decisione di
questioni di diritto di rapida trattazione non rivestenti peculiare complessità
(così, da ult., Cass. n. 5371 del 2017);
che ancor meno plausibile risulta la denuncia in
relazione al provvedimento del Primo Presidente di questa Corte del 14.9.2016
in merito alla motivazione semplificata dei provvedimenti giurisdizionali, ove
si consideri che l’obbligo di succinta motivazione è posto in forma generale
dall’art. 132 n. 4 c.p.c. (rectius, dall’art. 118 att. c.p.c.) per le sentenze e dall’art. 174 c.p.c. per le ordinanze ed è coerente con
il dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali, che,
sebbene sia stato codificato esplicitamente soltanto dall’art. 3, comma 2, c.p.a., esprime tuttavia un principio
generale immanente al diritto processuale (così da ult. Cass. n. 8009 del
2019); che, ciò premesso, con l’unico motivo di censura parte ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003,
per avere la Corte di merito ritenuto che la modifica ad esso apportata con legge n. 92/2012, circa l’impossibilità che il
progetto abbia ad oggetto l’attività principale dell’impresa, si applicasse
anche ai contratti stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore;
che, nel motivare il proprio decisum, la Corte
territoriale ha fatto riferimento sia alla ritenuta impossibilità di delimitare
in qualche modo la prestazione dedotta quale oggetto del contratto, in
considerazione del fatto che «il lavoro degli addetti al progetto […]
esauriva, in sostanza, l’intera attività aziendale» (cfr. pag. 4 della sentenza
impugnata), sia alla fondatezza delle «valutazioni del primo giudice in merito
al concreto atteggiarsi in senso subordinato delle prestazioni» (ibid., pag.
5);
che tale ultima considerazione, relativa al concreto
atteggiarsi del rapporto precorso inter partes, costituisce all’evidenza
un’autonoma e distinta ratio deciderteli della sentenza impugnata, essendosi
chiarito che, in tema di contratto di lavoro a progetto, il regime
sanzionatorio articolato dall’art.
69, d.lgs. n. 276/2003, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina
del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente
differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di
uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto
ope legis, restando priva di rilievo l’eventualmente appurata natura autonoma
dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi
in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia stata giudizialmente
accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore
alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro
subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra
le parti (così Cass. n. 12820 del 2016 e
numerose successive conformi, tutte sulla scorta di Cass.
n. 9471 del 2016); che, non avendo parte ricorrente in alcun modo impugnato
codesta autonoma ratio decidendi, non può che darsi continuità al consolidato
principio di diritto secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità
di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e
logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa
impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la
censura relativa alle altre, atteso che, essendo divenuta definitiva l’autonoma
motivazione non impugnata, il loro accoglimento non potrebbe produrre in nessun
caso l’annullamento della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 22753 del 2011 e,
più di recente, Cass. n. 18641 del 2017);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato
inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di
legittimità, giusta il criterio della soccombenza; che, in considerazione della
declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto
per il ricorso;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 7.200,00, di cui € 7.000,00 per compensi, oltre spese generali
in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.