Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 febbraio 2020, n. 2365
Contratto di apprendistato disciplinato dalla L. 25/1955, Rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato, pur in mancanza di una espressa previsione, Contratto di
apprendistato caratterizzato dalla funzione formativa, che si sovrappone ma non
assorbe quella del rapporto di lavoro subordinato, Lavoratore investito dalla
più grave della sanzione disciplinare espulsiva, Garanzie procedurali ex art. 7 della L. n. 300/1970,
Sussiste
Fatti di causa
1. G.M. venne assunto il 22 marzo 2005 dalla
Officina Ortopedica C. Srl con contratto di apprendistato della durata di 30
mesi; in data 17 marzo 2007 la società comunicò “la disdetta anticipata
dal contratto di apprendistato in essere a seguito delle numerose lamentele
ricevute e del suo mancato apprendimento professionale”.
Il Tribunale adito dal lavoratore – per quanto qui
interessa – rigettò l’impugnativa di licenziamento.
2. La Corte di Appello di Catania, con sentenza
pubblicata il 29 novembre 2017, ha confermato sul punto la pronuncia di primo
grado, pur accogliendo altre domande contenute nell’atto introduttivo.
In particolare, a fronte del motivo di gravame del
Messina con cui si reiterava l’eccezione di violazione dell’art. 7 della I. n. 300 del 1970
per il mancato rispetto delle prescrizioni procedurali, ha ritenuto che la
specialità del rapporto di lavoro in regime di apprendistato “determina la
conseguenza che lo stesso possa essere interrotto, in caso di giusta causa, non
con il licenziamento, ma con un atto di recesso ai sensi dell’art. 2119 c.c. … per il quale non valgono le
tutele previste per il lavoratore dall’art. 7 dello Statuto dei
Lavoratori”.
La Corte ha poi condannato la società “alla
rifusione di 1/3 delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, con
la compensazione della parte rimanente”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso G. M. con tre motivi, cui ha resistito la società con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione
e falsa applicazione dell’art.
7 della I. n. 300 del 1970, degli artt. 48 e 49 del d. Igs. n. 276 del
2003, degli artt. 2118 e 2119 c.c..
Si deduce che durante il periodo di svolgimento
dell’apprendistato il rapporto, pur nella sua specialità, è assimilabile
all’ordinario rapporto di lavoro, tanto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 169 del 1973, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della I. n. 604 del 1996
nella parte in cui escludeva gli apprendisti dall’applicabilità della
disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.
Si sostiene che, dunque, anche in tale fase trova
applicazione l’art. 7 dello
Statuto dei lavoratori, con la conseguente illegittimità del licenziamento
impugnato stante la natura ontologicamente disciplinare di esso e la pacifica
mancanza di ogni contestazione dell’addebito.
Con il secondo motivo si critica la pronuncia della
Corte di Appello in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio in
violazione del d.m. n. 55 del 2014 e delle
allegate tabelle.
Con il terzo si denuncia la violazione dell’art. 92 c.p.c. sull’assunto che “in virtù
dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, le spese del giudizio andranno
interamente poste a carico della Officina Tecnica Ortopedica”.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
2.1. Giova premettere che la fattispecie di causa è
regolata ratione temporis dalla normativa di cui alla legge 19 gennaio 1955 n. 25, dagli articoli 21 e 22 I. n. 56 del 1987,
dall’articolo 16 I. n. 196 del
1997, dagli articoli da 47 a
53 d. Igs. n. 276 del 2003.
Non si applica invece la disciplina introdotta dal d. Igs. 14 settembre 2011, n. 167, che, all’articolo 1, nel definire
l’apprendistato, ne ha riconosciuto la natura di rapporto a tempo indeterminato
(qualificazione confermata anche dall’articolo 41 del decreto legislativo
15 giugno 2015 n. 81, abrogativo del decreto
legislativo n. 167 del 2011).
Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
pur in mancanza di una espressa previsione, deve affermarsi che anche il
contratto di apprendistato disciplinato dalla I. 19
gennaio 1955, n. 25 dà origine ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato (Cass. n. 17373 del 2017; Cass. n. 5051 del 2016).
L’articolo
19 della I. n. 25 del 1955 prevede, infatti, che in caso di mancata
disdetta a norma dell’art. 2118 c.c. al termine
del periodo di apprendistato l’apprendista sia «mantenuto in servizio» con la
qualifica conseguita mediante le prove di idoneità e con il computo del periodo
di apprendistato ai fini dell’anzianità di servizio del lavoratore. La stessa
previsione normativa della disdetta ai sensi dell’art.
2118 c.c., cioè con periodo di preavviso, corrisponde all’esigenza, propria
di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di evitare che la parte che
subisce il recesso si trovi improvvisamente di fronte allo scioglimento del rapporto.
Il contratto di apprendistato, pur nel regime
normativo di cui alla I. n. 25 del 1955, è
dunque un rapporto dì lavoro a tempo indeterminato bi-fasico, nel quale la
prima fase è contraddistinta da una causa mista (al normale scambio tra
prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge, con funzione specializzante,
lo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale) mentre la
seconda fase – soltanto eventuale, perché condizionata al mancato recesso ex
art. 2118 c.c. – rientra nell’ordinario assetto del rapporto di lavoro
subordinato. Tale qualificazione non è contraddetta dall’articolo 7 della I. n. 25 del 1955
– a tenore del quale l’apprendistato non può avere una durata superiore a
quella stabilita dai contratti collettivi di lavoro e, comunque, a cinque anni
– giacché il termine finale della formazione professionale non identifica un
termine di scadenza del contratto ma un termine di fase all’esito de! quale, in
assenza di disdetta, il rapporto (unico) continua con la causa tipica del
lavoro subordinato.
Pertanto questa Corte, con la sentenza n. 17373 del 2017, ha ribadito
“l’inapplicabilità al contratto di apprendistato, in caso di licenziamento
intervenuto in pendenza del periodo di formazione, della disciplina relativa al
licenziamento ante tempus nel rapporto di lavoro a termine”.
2.2. La sentenza n. 14
del 1970 della Corte costituzionale ha delineato la struttura e la natura
giuridica del rapporto di apprendistato, precisando che la specialità di questo
“è data dal fatto che il periodo di tirocinio deve essere
dall’imprenditore utilizzato anche per impartire o far impartire all’apprendista
l’insegnamento necessario affinché diventi lavoratore qualificato. É
questa”, prosegue la sentenza, “una causa del contratto che non si
sovrappone all’altra riguardante la prestazione di lavoro, vanto da assorbirla.
Si tratta di un rapporto complesso, costituito da elementi che, componendosi,
non perdono la loro individualità”. E la Corte, indicando la sostanziale
differenza fra l’assunzione in prova che “ha una funzione di conferma di
qualificazioni tecniche che si presuppongono già formalmente acquisite” e
l’apprendistato che ha per funzione l’acquisizione di tali qualificazioni, ha
affermato che il rapporto di apprendistato è assimilabile all’ordinario
rapporto di lavoro.
Da queste premesse la stessa Corte costituzionale (sent. n. 169 del 1973) ha ritenuto “evidente
l’incostituzionalità dell’art.
10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, anche nella parte in cui non
comprende gli apprendisti fra i beneficiari delle norme di cui agli artt. 1-8, 11-13 della legge citata e in
particolare degli artt. 6 e 8”.
Secondo il giudice delle leggi, data
l’assimilabilità del rapporto di apprendistato all’ordinario rapporto di
lavoro, non sussiste alcun razionale motivo per giustificare l’esclusione del
rapporto di apprendistato dalla tutela di cui alle richiamate norme”.
Resta integra – precisa la Corte costituzionale –
solo “la facoltà del datore di lavoro di avvalersi del diritto di cui all’art. 19 della legge 19 gennaio
1955, n. 25, e di dare disdetta a norma dell’art.
2118 del codice civile al termine del periodo di apprendistato”.
2.3. Una volta acclarato che nel periodo di
svolgimento dell’apprendistato il rapporto è “assimilabile” a quello
di lavoro subordinato, che la causa del contratto di apprendistato
caratterizzato dalla funzione formativa si sovrappone ma non assorbe quella del
rapporto di lavoro subordinato contratto di apprendistato caratterizzato dalla
funzione formativa si sovrappone ma non assorbe quella del rapporto di lavoro subordinato,
che durante il tirocinio il rapporto è assoggettato alla disciplina prevista
per i licenziamenti individuali, ne discende coerente l’applicabilità, anche
nella fase dell’apprendistato e salvo il recesso al termine però del periodo
contrattualmente prestabilito, dell’art. 7 della I. n. 300 del 1970.
Invero il giudice delle leggi, per quanto attiene
alla individuazione della ratio di tale disposizione, ha fornito talune
indicazioni capaci di orientare la soluzione del problema in oggetto.
Infatti la Corte Costituzionale al riguardo ha
evidenziato: che devono essere assicurate tutte le garanzie procedurali della I. n. 300 del 1970, art. 7,
nel caso di lavoratore investito dalla più grave delle sanzioni disciplinari ed
indipendentemente dal numero dei dipendenti del datore di lavoro “perché
non vi è dubbio che il licenziamento per motivi disciplinari, senza
l’osservanza delle garanzie suddette, può incidere sulla sfera morale e
professionale del lavoratore e crea ostacoli o addirittura impedimenti alle
nuove occasioni di lavoro che il licenziato deve poi necessariamente
trovare” (Corte Cost. n. 427 del 1989);
che la I. n. 300 del 1970, art.
7, commi 2 e 3, raccoglie poi “il ben noto sviluppo – ad un tempo
sociopolitico e giuridico formale – che ha indotto ad esigere come essenziale
presupposto delle sanzioni disciplinari lo svolgersi di un procedimento, di
quella forma cioè di produzione dell’atto, che rinviene il suo marchio
distintivo nel rispetto della regola del contraddittorio: audiatur et altera
pars; rispetto che tanto più è dovuto per quanto competente ad irrogare la
sanzione è (non già – come avviene nel processo giurisdizionale – il giudice,
per tradizione e legge, super partes) ma una pars (Corte
Cost. n. 204 del 1982); che nell’esercizio di un potere disciplinare –
riferito allo svolgimento di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato (di
diritto privato o di pubblico impiego) ovvero di lavoro autonomo e
professionale – al principio di proporzione deve coniugarsi la regola del
contraddittorio, “secondo cui la valutazione dell’addebito,
necessariamente prodromica all’esercizio del potere disciplinare, non è un mero
processo interiore ed interno a chi tale potere esercita, ma implica il
coinvolgimento di chi versa nella situazione di soggezione, il quale – avendo
conosciuto l’addebito per essergli stato previamente contestato – deve poter
addurre, in tempi ragionevoli, giustificazioni a sua difesa, sicché – sotto
questo secondo profilo – è necessario il previo espletamento di un procedimento
disciplinare che, seppur variamente articolabile, sia rispettoso della regola
audiatur et altera pars” (cfr. Corte Cost. n. 220 del 1995).
Così la giurisprudenza dei giudici costituzionali si
è caratterizzata per una generalizzata estensione delle procedure di
contestazione dei fatti posti a base del recesso, che trova la sua effettiva
ratio non nelle caratteristiche intrinseche del rapporto di lavoro (v. al
riguardo, per la compatibilità delle garanzie procedurali con posizioni
lavorative pur aventi caratteri peculiari, Corte
Cost. n. 96 del 1987 per i naviganti marittimi; Corte
Cost. n. 41 del 1991 per i naviganti aerei; Corte
Cost. n. 193 del 1995 per il lavoro domestico), ma piuttosto nella idoneità
dei suddetti fatti di incidere direttamente, al di là dell’aspetto economico,
sulla stessa “persona del lavoratore”, ledendone talvolta, con il
decoro e la dignità, anche la sua stessa immagine in modo irreversibile.
La capacità espansiva dell’art. 7 S.d.L. ha condotto la
Corte Costituzionale, seppure in una pronuncia di carattere interpretativo, a
ritenere applicabili le garanzie procedimentali al rapporto di lavoro
dirigenziale (cfr. Corte Cost. n. 309 del 1992).
Sulla scorta di tali principi, le Sezioni unite di
questa Corte, ravvisando il tratto caratterizzante della disciplina in esame,
nell’esigenza di garantire ad ogni lavoratore – nel momento in cui gli si addebitano
condotte con finalità sanzionatorie – il diritto di difesa, hanno ritenuto
“che non risponde a consequenzialità logica una lettura restrittiva del
dato normativo che finisca per penalizzare i dirigenti, i quali – specialmente
se con posizioni di vertice e se dotati di più incisiva autonomia funzionale –
possono subire danni, con conseguenze irreversibili per la loro futura
collocazione nel mercato del lavoro, da un licenziamento, che non consentendo
loro una efficace e tempestiva difesa, può lasciare ingiuste aree di dubbio
sulla trasparenza del comportamento tenuto e sulla capacità di assolvere a quei
compiti di responsabilità correlati alla natura collaborativa e fiduciaria
caratterizzante il rapporto lavorativo” (Cass. SS.UU. n. 7780 del 2007).
L’insegnamento ha avuto seguito e, più di recente,
conferma con la pronuncia n. 2553 del 2015 di
questa Corte secondo cui, ferma l’Insussistenza di una piena coincidenza tra le
ragioni di licenziamento di un dirigente e di un licenziamento disciplinare,
“le garanzie procedimentali (di previa contestazione e di tutela del
diritto di difesa, nel contraddittorio) dettate dalla I. n. 300 del 1970, art. 7,
commi 2 e 3, in quanto espressione di un principio di generale garanzia
fondamentale, a tutela di tutte le ipotesi di licenziamento disciplinare,
trovano applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente, a
prescindere dalla sua specifica collocazione nell’impresa, sia se il datore di
lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o colpevole in senso lato, sia
se a base del recesso ponga condotte comunque suscettibili di pregiudicare il
rapporto di fiducia tra le parti, con la conseguenza che la violazione di dette
garanzie esclude la possibilità di valutare le condotte causative del
recesso”.
2.4. Ciò posto, considerato che non è possibile
negare al lavoratore in regime contrattuale di apprendistato né la titolarità
del diritto di difendersi né l’esigenza di tutelare decoro, dignità e immagine,
anche professionale, della propria persona, devono ritenersi necessariamente
applicabili, anche a questa fase del rapporto, le garanzie procedimentali
previste dall’art. 7 della I.
n. 300 del 1970 in tutti i casi in cui il datore di lavoro voglia recedere
per ragioni “ontologicamente” disciplinari.
Come noto, sin da Corte
costituzionale n. 204 del 1982, il licenziamento motivato da una condotta
colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua
inclusione o meno tra le misure disciplinari previste dallo specifico regime
del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare (cfr.: Cass. SS.UU. n. 4823 e n.
9302 del 1987). In altri termini, da quel momento in poi, è diventato jus
receptum che qualunque tipo di licenziamento – i cui presupposti si
caratterizzino non esclusivamente in ragione della loro riferibilità o meno ad
un comportamento del lavoratore, quanto per l’incidenza (immediata o differita)
che essi hanno di per sé sulla possibilità di prosecuzione del rapporto (sia
quindi esso irrogato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo o situazioni
simili) – è da considerare di tipo disciplinare e, come tale, assoggettato alle
garanzie di cui all’art. 7 St.
lav.. Si è, pertanto, pervenuti ad affermare la natura
“ontologica” del licenziamento disciplinare, come riferito ai
comportamenti imputabili a titolo di colpa (intesa in senso generico) al
lavoratore e destinato a coprire sia l’area del licenziamento per giustificato
motivo soggettivo (notevole inadempimento), sia quella del licenziamento per
giusta causa (cfr. tra molte: Cass. n. 14326 del
2012; Cass. n. 18287 del 2012; Cass. n. 8642 del 2010; Cass. n. 25743 del 2010;
Cass. n. 17652 del 2007; Cass. n. 3618 del 2007).
2.5. Conclusivamente ha errato la Corte territoriale
a escludere, nella specie, l’applicabilità dell’art. 7 della I. n. 300 del 1970,
pur in una ipotesi di recesso del datore di lavoro determinato da comportamenti
attuati nell’esecuzione della prestazione lavorativa e riconducibili alla sfera
volitiva del lavoratore tali da aver determinato “numerose lamentele”
dei clienti.
3. Pertanto il primo motivo di ricorso deve essere
accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato
in dispositivo che si uniformerà al seguente principio di diritto:
“Al rapporto di lavoro in apprendistato si
applicano le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, legge n. 300 del 1970,
in ipotesi di licenziamento disciplinare nel quale il datore di lavoro addebiti
all’apprendista un comportamento negligente ovvero, in senso lato,
colpevole”.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso
attinenti alle spese di giudizio che andranno riliquidate dal giudice del
rinvio sulla base dell’esito della lite, comprese quelle della fase di
legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la
sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catania, in diversa
composizione, anche per le spese; dichiara assorbiti gli altri motivi.