Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2020, n. 2854
Accertamento ispettivo, Cartella di pagamento Inps,
Pagamento di contributi, Contratti di lavoro a progetto, Progetti o programmi
specifici, Presunzione di subordinazione
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Brescia, con sentenza n.
60/2014, ha accolto parzialmente (solo con riferimento al rapporto di lavoro
relativo a M.S.) l’appello proposto da C.T. s.r.l. contro la sentenza di primo
grado di rigetto della opposizione alla cartella di pagamento emessa dall’Inps,
a seguito di accertamento ispettivo, con cui si chiedeva il pagamento di
contributi per gli anni 2004-2007 relativi alla posizione di 111 lavoratori
subordinati, con i quali erano stati stipulati contratti di lavoro a progetto
nell’ambito di una attività aziendale di cali center;
2. la Corte territoriale, confermando sul punto la
decisione di primo grado, ha riscontrato la mancanza di un progetto, di un
programma o di una fase dello stesso sufficientemente specifico, al cospetto di
una attività strumentale e continuativa attinente al normale ciclo produttivo
dell’impresa rispetto alla quale non era prospettabile il raggiungimento di un
risultato concreto e definitivo;
la sentenza impugnata ha dedotto da tali
considerazioni, sul piano interpretativo, l’essenzialità del progetto nel
rapporto di lavoro in questione, la cui conoscenza è necessaria perché il
lavoratore abbia contezza dell’oggetto della propria attività e realizzi lo
scopo della collaborazione; ciò giustifica l’interpretazione adottata in ordine
alla natura assoluta della presunzione di subordinazione, in mancanza di valido
progetto o programma, derivante dal testo dell’art. 69, primo comma, d.lgs. n. 276
del 2003;
peraltro, la sentenza impugnata -pur non
condividendo la teoria della presunzione relativa sulla natura subordinata del
rapporto in esame adottata dalla sentenza di primo grado- ha per completezza
rilevato che le risultanze istruttorie avevano dimostrato comunque la natura
subordinata dei rapporti lavorativi in questione;
infatti, l’istruttoria espletata (19 testimoni),
diversamente da quella relativa al rapporto di M.S., aveva dimostrato che i
lavoratori operavano nella struttura aziendale della C., avevano una propria
posizione di lavoro ed utilizzavano strumenti aziendali, erano seguiti da
supervisori di sala che li controllavano ogni volta che rendevano la
prestazione, percepivano una retribuzione proporzionata alle ore di lavoro e,
se una volta data la disponibilità a lavorare non si presentavano al lavoro ciò
era avvenuto solo per fatti sopravvenuti che comunicavano a C.T. s.r.l.;
tali lavoratori non seguivano una determinata
campagna o un certo cliente ma si mettevano a disposizione di C.T. s.r.l., non
essendo rilevante che i lavoratori fossero presenti secondo le loro
disponibilità comunque manifestate alla società;
avverso tale sentenza C.T. s.r.l. ha proposto
ricorso per cassazione sostenuto da due motivi, al quale ha resistito l’Inps
con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si denuncia
violazione o falsa applicazione dell’art. 61 d.lgs. n. 276 del 2003,
nella parte in cui prevede che i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa debbano essere riconducibili ad uno o più progetti o programmi
specifici determinati dal committente o gestiti autonomamente dal
collaboratore; si addebita alla sentenza impugnata di aver errato in punto di
accertamento della genericità dei progetti (in considerazione del testo vigente
ratione temporis anteriore alla modifica di cui alla legge n. 92 del 2012), posto che non aveva
distinto il progetto dal programma e non aveva considerato che i contratti in
questione riportavano uno specifico programma, rispondendo a due effettive
tipologie;
inoltre, l’erronea sovrapposizione della nozione di
progetto a quella di programma di lavoro aveva comportato l’assenza di
accertamento sulla sussistenza di quest’ultimo ed, in ogni caso, la sentenza
era errata anche laddove aveva sostenuto che il progetto indicato coincideva
con l’oggetto societario;
con il secondo motivo si deduce violazione sempre
dell’art. 61 d.lgs. n. 276 del
2003 in relazione all’art. 2094 c.c.,
stavolta sotto il profilo della erroneità dell’interpretazione che aveva
sminuito la rilevanza del dato che ciascun lavoratore, in concreto, aveva reso
una prestazione di lavoro coordinata e continuativa e le risultanze istruttorie
avevano dimostrato la mancanza del suo inserimento nella struttura aziendale e
degli altri indici della subordinazione;
i due motivi, in quanto connessi, vanno trattati
congiuntamente e sono infondati;
questa Corte ha statuito che: «In tema di lavoro a
progetto, l’art. 69, comma 1, del
d.lgs. n. 276 del 2003 (ratione temporis applicabile, nella versione
antecedente le modifiche di cui all’art.
1, comma 23, lett. f) della I. n. 92 del 2012), si interpreta nel senso
che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia
instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro
o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il
rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della
subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso» (Cass. 31/8/2016, n. 17448; Cass. 17/08/2016, n. 17127; Cass. 21/6/2016, n. 12820; Cass. 10/5/2016, n. 9471);
nei precedenti citati si è precisato che: a) il
primo comma dell’art. 69, introduce una vera e propria disposizione
sanzionatoria per il caso di mancata riconducibilità del rapporto coordinato e
continuativo ad uno specifico progetto o programma, disponendo tout court che
il rapporto «è considerato» di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin
dall’origine, espressione tipica dei casi di c.d. «conversione» del rapporto
ope legis (quali ad es. le fattispecie interpositorie o di illegittima
apposizione del termine finale di durata al contratto di lavoro); b) una
diversa interpretazione, volta a ritenere ammissibile la prova diretta a
dimostrare l’insussistenza della subordinazione <<presunta>>
finirebbe per legittimare la perpetuazione delle collaborazioni coordinate e
continuative anche in assenza di uno specifico progetto e programma, ogni
qualvolta il committente riuscisse a dimostrare il carattere autonomo del
rapporto contrattuale, che è proprio l’effetto che il legislatore del 2003
intendeva scongiurare; c) questa opzione interpretativa spiega anche la
differenza tra la previsione del comma 1 di cui all’art. 59 rispetto al meccanismo
sancito dal comma 2 di detta disposizione: benché, invero, entrambe siano
sanzionate con l’applicazione della disciplina propria dei rapporti di lavoro
subordinato, si tratta di fattispecie strutturalmente differenti, giacché nella
prima rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte
di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema
generale del lavoro autonomo, laddove nella seconda rilevano le modalità di
tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto,è
stata di fatto resa la prestazione lavorativa (vedi in tal senso, in
motivazione Cass. 10/5/2016 n.9471); questa
interpretazione della norma non induce dubbi di legittimità costituzionale, con
riguardo sia agli artt. 3 e 38 Cost che con riguardo agli artt. 101 e 104 Cost.
in quanto la Corte costituzionale, con la sentenza
n. 399 del 5 dicembre 2008, pervenendo alla declaratoria di illegittimità
costituzionale dell’art. 86 d.lgs.
n. 276/2003, ha rimarcato come la novità introdotta dagli artt. 61 e seguenti del d.lgs.
cit. risieda proprio nel divieto di instaurare rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di
lavoro autonomo, non siano riconducibili ad un progetto, divieto che risulta
giustificato dalla contrarietà di detti rapporti alla norma imperativa che
prescrive l’obbligo di utilizzare il nuovo tipo legale di contratto (ex art. 1418 c.c.);
in altri termini, la conversione del contratto di lavoro
autonomo continuativo, instaurato senza progetto, in rapporto di lavoro
subordinato è la conseguenza della valutazione legale tipica compiuta dal
legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, attraverso la previsione
dell’art. 69, comma 1°, d.lgs. n.
276/2003;
come è stato osservato anche in dottrina, la tecnica
usata è quella della nullità del contratto, che sia stato in concreto posto in
essere senza progetto (o senza un progetto specifico), accompagnata dalla sua
cd. conversione o trasformazione ope legis mediante la sostituzione di diritto
delle clausole invalide con la disciplina inderogabile del rapporto, né si
giustificano dubbi di legittimità costituzionale con riguardo alla regola dell’indisponibilità
del tipo contrattuale (secondo i principi espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 115 del 1994
e 121 del 1993) posto che la Corte costituzionale ha stabilito il principio
secondo cui «spetta al legislatore stabilire la qualificazione giuridica dei
rapporti di lavoro, pur non essendo allo stesso consentito negare la qualifica
di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale
natura»; la definizione legale del contratto a progetto, fornita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61
(abrogato del D.Lgs. n. 81 del
2015, art. 52), prevede, per la configurazione della fattispecie, oltre
alla presenza di tutti i caratteri della già nota figura delle collaborazioni
continuative e coordinate, anche la riconducibilità dell’attività “a uno o
più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal
committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del
risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente
e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività
lavorativa”; la norma in esame non richiede che il progetto specifico
debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa
rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, tuttavia è
necessaria la riconducibilità dell’attività “a uno o più progetti
specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e
gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto
del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal
tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”;
il risultato diventa così un fattore chiave che
giustifica l’autonomia gestionale del progetto o del programma di lavoro, sia
nei tempi sia nelle modalità di realizzazione, e ciò perché l’interesse del
creditore è relativo al perfezionamento del risultato convenuto che, pur non
necessariamente identificandosi in uno specifico opus, deve in ogni caso
assumere una sua precisa connotazione, differenziandosi dalla mera
disponibilità, da parte del committente, di una prestazione di lavoro
eterodiretta, tipica del rapporto di lavoro subordinato;
conseguentemente, al committente viene richiesto di
esplicitare ex ante, in forma scritta (su cui cfr. Cass. 19 aprile 2016, n.
7716), l’obiettivo che il contratto si prefigge di raggiungere ed il risultato
della prestazione richiesta al collaboratore, che deve essere necessariamente
rivolta a quell’obiettivo; non viene, invece, richiesto che il progetto abbia
ad oggetto un’attività altamente specialistica o di particolare contenuto
professionale, e tanto meno che sia unica e irripetibile;
in questa chiave interpretativa, il requisito della
specificità deve riguardare tanto il progetto quanto il programma (o la fase di
lavoro), non ravvisandosi differenze concettuali tra i due termini;
e la riprova che per il legislatore
“programma” e “progetto” siano sostanzialmente sinonimi si
rinviene nel successivo art. 62,
che nel disciplinare la forma ed il contenuto del contratto dispone alla lett.
b) che il contratto debba contenere la “indicazione del progetto o
programma di lavoro, o fase di esso, individuata nel suo contenuto
caratterizzante, che viene dedotto in contratto”, così ponendo sullo
stesso piano, indifferentemente, programmi e progetti i quali devono essere
entrambi caratterizzati dalla esatta individuazione della prestazione richiesta
al lavoratore e dalla relativa indicazione nell’atto scritto; la
“specificità del progetto, programma o fase” diviene dunque
l’elemento caratterizzante un legittimo rapporto di lavoro a progetto; nel caso
di specie, il suddetto requisito della specificità non è stato previsto nei
contratti in relazione ad un progetto o programma, bensì con riferimento ad
attività certamente prive di specificità, trattandosi ( come riporta la stessa ricorrente
alla pag. 10 del ricorso) di attività di gestore di contatti telefonici
definendo per contatto una relazione instaurata con il cliente tramite
telefono, email, fax ed altri strumenti a disposizione dell’agente telefonico,
con l’obiettivo di gestire – secondo criteri di qualità stabiliti – i contatti
telefonici che si presentano durante l’attività lavorativa, oppure di
rispondere o effettuare telefonate per fornire informazioni relative a
prodotto/evento/servizio utilizzando gli strumenti messi a disposizione della
società su liste di clienti acquisiti o clienti potenziali; tali indicazioni,
in mancanza di qualsiasi ulteriore descrizione, determinano la sostanziale mera
coincidenza con la normale attività di impresa del call center, e, dunque risultava
rivolta a soddisfare esigenze ordinarie e continuative della committente; in
definitiva, il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza nella misura
liquidata in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore
dell’INPS, in Euro 13.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi,
spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a
carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso ex art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.