Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2020, n. 2219

Tributi, IRAP, Avvocato, Presupposto autonoma
organizzazione, Impiego di un collaboratore part-time, Concreto apporto
fornito allo svolgimento dell’attività professionale, Esame da parte del
giudice, Necessità, Affidamento a terzi dell’esecuzione di prestazioni
riferibili all’attività professionale, Effettivo apporto fornito al
professionista, Esame da parte del giudice, Necessità

 

Rilevato che

 

Con sentenza in data 9 febbraio 2018 la Commissione
tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, confermava
la decisione della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva
rigettato il ricorso proposto da S.D.R., esercente la professione di avvocato,
contro il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’IRAP versata
per gli anni 2008, 2010 e 2011. La CTR riteneva sussistere il presupposto
impositivo dell’autonoma organizzazione in quanto il professionista si era
avvalso di un collaboratore che, ancorché part-time, aveva comportato una spesa
rilevante rispetto al reddito dichiarato e aveva demandato a terzi, taluni dei
quali esercenti la professione di avvocato, l’esecuzione di prestazioni
riferibili all’attività professionale come dimostrato dalle fatture in atti.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 7
settembre 2018, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a
due motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente
costituito il contraddittorio camerale.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc.
civ., la violazione degli artt.
2, comma 1, e 3, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 446/1997 e dell’art. 49 d.P.R. n. 917/1986, per
avere la CTR ritenuto la sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma
organizzazione, valorizzando erroneamente l’apporto fornito da un solo
collaboratore nonché la circostanza di aver demandato a terzi lo svolgimento di
prestazioni professionali.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di
inammissibilità del motivo di ricorso, non potendosi ravvisare, nella
fattispecie, un’ipotesi di c.d. «doppia conforme» prevista dall’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., posto che
la censura involge un vizio di violazione di legge – e non un vizio
motivazionale – e non risulta volta ad ottenere un riesame del merito della
controversia.

Il motivo è fondato.

Giova premettere che l’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997
prevede quale presupposto per l’applicazione dell’IRAP «l’esercizio abituale di
un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di
beni ovvero alla prestazione di servizi». La Corte costituzionale, con sentenza n. 156 del 2001, ha ritenuto legittima
l’imposta in quanto non colpisce il lavoro autonomo in sé, ma la capacità
produttiva che deriva dalla «autonoma organizzazione», non coincidente con
l’autorganizzazione ma intesa come elemento impersonale ed aggiuntivo rispetto
all’apporto del professionista. Alla luce della pronuncia della Consulta, nella
giurisprudenza di questa Corte si è consolidato il principio secondo cui il
requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice
di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato,
ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile
dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative
riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali
eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per
l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in
modo non occasionale di lavoro altrui. La nozione di autonoma organizzazione si
definisce, secondo l’orientamento giurisprudenziale in materia, come «contesto
organizzativo esterno», diverso ed ulteriore rispetto al mero ausilio
dell’attività personale e costitutivo di un quid pluris che secondo il comune
sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado
di fornire un apprezzabile apporto al professionista.

Le Sezioni Unite (sent.
n. 9451 del 2016) hanno chiarito che «In tema di imposta regionale sulle
attività produttive, il presupposto dell’ “autonoma organizzazione”
richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n.
446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile
dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo
indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non
eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive. (In applicazione
del principio, la S.C. ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che
aveva escluso l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di
un segretario e di beni strumentali minimi)».

Si è, poi, precisato che «In tema di IRAP, l’elevato
ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali,
non integra di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione» (Cass. n. 8728 del 2018).

Ciò posto, osserva il Collegio che la sentenza
impugnata ha ravvisato la sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma
organizzazione in considerazione del fatto che il professionista si fosse
avvalso di un collaboratore che, ancorché part-time, aveva comportato una spesa
rilevante rispetto al reddito dichiarato nonché della circostanza di aver
demandato a terzi l’esecuzione di prestazioni riferibili all’attività
professionale.

Siffatta motivazione non si rivela conforme ai
principi di diritto innanzi richiamati.

La CTR, difatti, ha ritenuto rilevante, ai fini
della sussistenza del presupposto impositivo, la circostanza che il
professionista si fosse avvalso delle prestazioni di un collaboratore, peraltro
part-time, senza tuttavia prendere in considerazione le specifiche deduzioni
del contribuente in merito all’attività svolta dai collaboratori che si erano
succeduti negli anni in contestazione ed omettendo così di effettuare un esame
del concreto apporto fornito dagli stessi allo svolgimento dell’attività
professionale, verificando in particolare se essi espletassero o meno mansioni
esecutive; nel contempo, nella sentenza impugnata risulta valorizzata la
circostanza di avere il contribuente demandato a terzi lo svolgimento di
prestazioni riferibili all’attività professionale, senza alcuna precisazione in
merito all’effettivo apporto fornito al professionista.

Il secondo motivo – con il quale si denuncia, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc.
civ., la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, in
violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod.
proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.
– è infondato, in quanto le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata –
come sopra riassunte – si palesano idonee a rendere percepibile il ragionamento
seguito dalla CTR per la formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U.,
n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017).

In conclusione, deve essere accolto il primo motivo
di ricorso e rigettato il secondo. La sentenza impugnata va dunque cassata in
relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale
della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, la
quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il
secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia
alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di
Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese
del giudizio di legittimità.

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