Ai sensi dell’art. 13 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell’Unione Europea, l’Agente UE che abbia stabilito la propria residenza sul territorio di uno Stato membro dell’Unione diverso da quello italiano esclusivamente per l’esercizio delle sue funzioni al servizio dell’Unione deve essere considerato ex lege ancora fiscalmente residente in Italia, nonostante l’iscrizione all’AIRE. Ne deriva che il funzionario UE non può accedere al regime di favore previsto per i lavoratori impatriati.

Nota a AdE Risposta 8 novembre 2019, n. 475

Marialuisa De Vita

Con la risposta ad interpello n. 475 del 2019, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’applicabilità del regime fiscale di favore previsto dall’art. 16, D.LGS. 147/2015 per i lavoratori impatriati nell’ipotesi in cui il lavoratore sia un funzionario UE.

In particolare, il contribuente esponeva all’Amministrazione finanziaria di:

  • essersi trasferito in Lussemburgo dal 16 ottobre 2017 per lavorare presso la Banca Europea degli Investimenti;
  • essersi iscritto all’AIRE dal 4 gennaio 2018;
  • essere soggetto all’art. 13 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell’Unione Europea;
  • aver maturato l’intenzione di rientrare in Italia.

L’istante si rivolgeva all’Agenzia delle Entrate per verificare se fosse in possesso dei requisiti per accedere al regime speciale previsto per i lavoratori impatriati.

Nell’argomentare la propria soluzione l’Amministrazione finanziaria ricorda che, ai sensi dell’art. 16, D.LGS.  n. 147/2015, come modificato dal D.L. 34 del 2019, ai soggetti che acquistano dal periodo di imposta 2020 la residenza fiscale in Italia è riconosciuta la possibilità di assoggettare ad imposizione i redditi di lavoro autonomo, i redditi di lavoro dipendente ed i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente prodotti in Italia limitatamente al 30% del loro ammontare. Il beneficio fiscale è riconosciuto per un quinquennio a partire dal periodo di imposta in cui avviene il trasferimento a condizione che i lavoratori:

  • non siano stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni;
  • svolgano l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

Ciò premesso, l’Agenzia delle Entrate ritiene dirimente nel caso di specie stabilire la residenza fiscale del contribuente, in particolare se, in base alla particolare occupazione dell’istante, costui potesse effettivamente considerarsi fiscalmente residente all’estero.

A tal proposito l’Ufficio ricorda che è ben vero che, ai sensi dell’art. 2, co. 2, TUIR, sono fiscalmente residenti in Italia le persone che, per la maggior parte del periodo di imposta, alternativamente (cfr. Cass. 25 marzo 2011, n. 6934; Cass. 7 novembre 2001, n. 13803) sono iscritte nelle Anagrafi della popolazione residente o hanno in Italia il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile; ma, laddove il lavoratore sia, come nel caso di specie, un funzionario UE occorre tenere conto anche di quanto disposto dall’art. 13 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell’Unione Europea.

In base a quest’ultima disposizione, “ai fini dell’applicazione delle imposte sul reddito […], i funzionari e gli altri agenti dell’Unione, i quali, in ragione esclusivamente dell’esercizio delle loro funzioni al servizio dell’Unione, stabiliscono la loro residenza sul territorio di uno Stato membro diverso dal Paese ove avevano il domicilio fiscale al momento dell’entrata in servizio presso l’Unione, sono considerati sia nello Stato di residenza che nello stato del domicilio fiscale, come tuttora domiciliati in quest’ultimo Stato qualora esso sia membro dell’Unione”. Il dipendente in questione doveva, dunque, considerarsi avere il proprio domicilio fiscale in Italia in quanto Stato nel quale lo aveva al momento dell’entrata in servizio presso l’Unione.

Posto che il trasferimento all’estero della residenza fiscale del contribuente istante risultava essere avvenuto esclusivamente per l’esercizio delle sue funzioni al servizio dell’Unione, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 13 del citato Protocollo e per l’effetto ha affermato che la sola iscrizione all’AIRE del funzionario UE non fosse sufficiente ad integrare il requisito della residenza fiscale all’estero necessario per l’accesso al regime speciale dei lavoratori impatriati essendo egli ancora ex lege fiscalmente residente in Italia (in quanto Stato ove aveva il domicilio fiscale al momento dell’entrata in servizio presso l’Unione). Di conseguenza non aveva i requisiti per accedere al regime di vantaggio.

È precluso ai funzionari UE l’accesso al regime speciale dei lavoratori impatriati
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