Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3288

Rapporto di lavoro subordinato, Regolarizzazione della
posizione contributiva, Criteri tabellari di assegnazione delle cause,
Principio del giudice naturale precostituito per legge, Giusto processo

 

Rilevato

 

1. Che la Corte di appello di Roma ha confermato la
sentenza di primo grado che, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato tra P.G. e la casa di cura V.S. s.r.l., ha condannato quest’ultima
al pagamento in favore della prima della somma di € 134.859,95, oltre
accessori, ed alla regolarizzazione della posizione contributiva;

1.1. che il giudice di appello, respinte le
deduzioni della società in tema di inosservanza dei criteri tabellari
nell’assegnazione dei ricorsi relativi ai procedimenti cautelari ante causam
instaurati dalla G., di violazione del principio del giudice naturale
precostituito per legge e dei principi ispiratori del giusto processo, ha
ritenuto provata alla stregua delle emergenze in atti la natura subordinata del
rapporto dedotto e respinto la eccezione di prescrizione quinquennale della
società sul rilievo che all’atto del suo svolgimento il rapporto non risultava
assoggettato al regime di stabilità reale;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso V.S. s.r.l. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito
con tempestivo controricorso;

3. che entrambe le parti hanno depositato memoria ai
sensi dell’art. 380- bis. 1. cod. proc. civ.;

 

Considerato

 

1. Che con il primo motivo parte ricorrente,
denunziando violazione e falsa applicazione dell’art.
111, comma 2 Cost, dell’art. 25, comma 1, Cost.,
dell’ art. 7 bis e dell’art.
7 ter r.d. n. 12 del 1941, dell’art. 158 cod.
proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1,
n. 4 cod. proc. civ., deduce nullità della sentenza o del procedimento per
inosservanza dei criteri tabellari di assegnazione delle cause, per violazione
del principio del giudice naturale precostituito per legge e dei principi
ispiratori del giusto processo;

1.1. che in fatto premette che: a) P.G. con ricorso
ex art. 409 cod. proc.civ. (iscritto con n. RG
n. 25721/2010) adiva il giudice del lavoro chiedendo l’accertamento della
natura subordinata del rapporto intercorso con la casa di cura V.S. s.r.l. e la
condanna di quest’ultima alle differenze retributive ed alla regolarizzazione
della posizione previdenziale; b) in seguito la G. depositava nella cancelleria
del giudice designato per il merito del primo ricorso un ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. (iscritto con il n. RG
25721-1/2010), qualificandolo come ricorso <<in corso di causa>>,
avente ad oggetto una domanda di reintegrazione ex art. 18 legge n. 300 del 1970;
c) il giudice designato, all’udienza fissata per la trattazione, rilevato che
il procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. era da intendersi come <<ante
causam>>, ne disponeva lo stralcio con la formazione di un autonomo
fascicolo avente ad oggetto la trattazione del cautelare ante causam
(dichiarando conseguentemente il procedimento n. RG 25721-1/2010 definito nel
senso di non luogo a provvedere), e disponeva che il procedimento, previa
iscrizione nel registro di cancelleria, fosse rimesso al Presidente coordinatore.
La causa, iscritta d’ufficio con assegnazione del numero 7912 del Registro
generale dell’anno 2011, veniva assegnata ad altro giudice che con decreto
fissava l’udienza e il termine per la notifica; la ricorrente, dopo la scadenza
del termine (il 5.4.2011) assegnato per la notifica, chiedeva di essere rimessa
in termini e la relativa istanza era accolta. All’udienza fissata per la
trattazione la difesa del ricorrente rappresentava di avere, in data 6.4.2011,
depositato un ricorso ante causam (RG n. 15182/2011), identico a quello
precedente, chiedendo la riunione dei due procedimenti cautelari e, quindi, la
trattazione unitaria innanzi al giudice già designato per il merito del
giudizio principale. Il giudice designato per il primo ricorso cautelare, preso
atto di tale dichiarazione, rimetteva gli atti al Presidente per quanto di
competenza; d) il secondo ricorso cautelare conteneva un istanza di riunione al
ricorso di merito e taceva del primo ricorso cautelare ante causam per cui il
Presidente disponeva l’assegnazione del secondo cautelare ante causam “per
connessione impropria” al giudice designato per la causa di merito; con
provvedimento 6.5.2011 altro Presidente, rilevato che i due procedimenti
cautelari concernevano la medesima fattispecie e che il giudizio di merito era
quello dei tre procedimenti iscritto per primo disponeva l’assegnazione del
procedimento (recante numero di iscrizione RG 7912/2011) al giudice del merito
del primo procedimento. Questi decideva il ricorso ante causam disponendo il
ripristino del rapporto; procedeva, quindi, alla ^ trattazione nel merito di
quello avente ad oggetto l’accertamento della natura subordinata del rapporto e
la condanna al pagamento della società alle connesse differenze retributive;

1.2. che parte ricorrente, sulla base di tale
esposizione, assume che la situazione processuale venutasi a creare è frutto di
un vizio genetico del procedimento (avente il numero di iscrizione RG
7912/2011) determinata dalla violazione dei principi di attribuzione delle
cause e dei criteri tabellari, in quanto, in concreto, si sarebbe consentito a
controparte di scegliere il giudice del procedimento cautelare, designato per
una causa diversa dal merito;

2. che con il secondo motivo, deducendo omesso esame
di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti,
censura la sentenza impugnata per non avere, a fronte della accertata carenza
di prova della eterodirezione, escluso la natura subordinata del rapporto;

3. che con il terzo motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione dell’art. 2984 cod. civ., censura la sentenza impugnata per
avere escluso la decorrenza del termine prescrizionale in corso di rapporto
stante la mancanza di stabilità reale dello stesso. Chiede, in sintesi, un
ripensamento della questione connessa alla decorrenza del termine
prescrizionale alla luce della legge n. 92 del
2012 e del cd. Job act;

4. che il primo motivo di ricorso è infondato. La
sentenza impugnata, premesso che le regole di distribuzione degli affari civili
all’interno di un ufficio giudiziario e quindi del potere di provvedere non
integrano questioni di competenza ai sensi degli artt.
42 e 43 cod. proc. civ., ha osservato che
secondo le deduzioni della società appellante la violazione dei criteri
tabellari riguardava la fase cautelare ed i provvedimenti in quella fase
adottati, destinati ad essere caducati dalla decisione di merito e non aventi
alcuna incidenza sulla sentenza di primo grado; correttamente il primo giudice
aveva escluso che l’autorità del provvedimento giurisdizionale cautelare fosse
invocabile in un diverso processo e ritenuto che l’accertamento contenuto
nell’ordinanza cautelare di reintegra della G. nel posto di lavoro, confermata
in sede di reclamo, insuscettibile di passare in giudicato sostanziale, facesse
stato nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della natura subordinata
del rapporto e la condanna alle connesse differenze retributive; nel caso in esame,
inoltre, la assegnazione dei procedimenti era stata adottata dal titolare
dell’ufficio cosicché la eventuale violazione dei criteri tabellari di
assegnazione degli affari e la erronea individuazione, indotta dalla
prospettazione di una delle parti, del titolare del procedimento, non dava
luogo, in assenza di deduzione di violazione del diritto di difesa, ad alcun
vizio della sentenza;

4.1. che le deduzioni articolate dall’odierno
ricorrente non inficiano le ragioni indicate dal giudice d’appello alla base
del rigetto del primo motivo di gravame, alla luce della giurisprudenza di
questa Corte la quale ha chiarito che: a) l’assegnazione di un affare ad uno
piuttosto che ad altro magistrato in imprecisa applicazione dei relativi
criteri stabilite dalle tabelle (da ultimo, Cass. ord. n. 4261 del 2018; in
precedenza: Cass. Sez. Un. n. 19512 del 2008) non involge giammai una questione
di competenza; b) un difetto di costituzione del giudice, ai sensi dell’art. 158 cod. proc. civ., è ravvisabile unicamente
quando gli atti giudiziari siano posti in essere da persone estranee
all’ufficio (Cass. n. 8174 del 2006, Cass. n. 12012 del 2004, Cass. n. 10952
del 2003), ipotesi questa estranea alla fattispecie in esame, alla stregua
delle medesime prospettazioni di parte ricorrente;

4.2. che in base alla richiamata giurisprudenza
deve, a fortiori, escludersi la nullità della sentenza o del procedimento in
relazione al ricorso ex art. 409 cod. proc. civ.
rispetto al quale non è prospettata alcuna violazione dei criteri tabellari
nella designazione del giudice di primo grado per la relativa trattazione; che
neppure è ravvisabile violazione dei principi di terzietà, imparzialità e di
obiettiva formazione del libero convincimento per avere il giudice di merito
trattato anche i ricorsi cautelari ante causam avendo i relativi provvedimenti
natura strumentale ed essendo, conseguentemente, gli stessi inidonei ad
assumere efficacia di cosa giudicata, sia dal punto di vista formale, che da
quello sostanziale (Cass. Sez. Un. 6039 del 2019, Cass. Sez. Un. 27187 del
2007) risultando giuridicamente infondata, in assenza di vincolatività del
provvedimento adottato sul ricorso cautelare, oltre che generica e non
argomentata, l’affermazione secondo la quale il giudice del merito, dopo avere
accertato incidenter tantum nell’ambito del giudizio cautelare la natura
subordinata del rapporto, si era trovato <<di fatto costretto a non
smentirsi>> nella valutazione delle deposizioni testimoniali del giudizio
di merito;

5. che il secondo motivo è inammissibile. La
giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata (da ultimo, Cass., Sez. Un.
33679 del 2018) nell’affermare che: – il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (come riformulato
dall’art. 54 del decreto-legge 22
giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7
agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, ha introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; – l’omesso esame di elementi
istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se
il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie; – neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle
prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante
ai sensi della predetta norma; – nel giudizio di legittimità è denunciabile
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali,
risolvendosi nella violazione dell’art. 132, comma
2, n. 4, cod. proc. civ. (non denunciata nella fattispecie);

5.1. che la <<mancanza di prova
dell’eterodirezione>> non è ascrivibile all’ambito dei fatti percepibili
nella loro dimensione storica fenomenica, come richiesto al fine della
configurabilità del vizio motivazionale, ma rappresenta l’espressione di un
giudizio formulato all’esito dell’apprezzamento del compendio istruttorio, ed
in quanto tale intrinsecamente valutativo. Al di là di tale dirimente rilievo è
ancora da osservare che la censura in esame scaturisce dalla non corretta
lettura della parte motiva della decisione la quale, laddove afferma che
<<per quanto riguarda la mancanza di prova della eterodirezione della
prestazione va considerata la natura professionale dell’attività prestata che
rendeva superflua la impartizione di specifiche direttive laddove, come
riferito dal teste L., le direttive impartite – nei confronti
dell’interlocutore più vicino, la D.P., erano di carattere generale e
metodogico>>, risulta del tutto coerente con la giurisprudenza di questa
Corte secondo la quale l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione
aziendale e il suo assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari del
datore di lavoro (con conseguente limitazione di autonomia), che connotano la
subordinazione, sono i medesimi per qualunque tipo di lavoro, pur potendo essi
assumere aspetti e intensità diversi in relazione alla maggiore o minore
elevatezza delle mansioni esercitate o al contenuto (più o meno intellettuale
e/o creativo) della prestazione (Cass. n. 16997 del 2002). Nel caso di specie,
infatti, il contenuto della prestazione della G., che svolgeva attività di
tecnico di laboratorio analisi cliniche secondo turni predeterminati, non
richiedeva l’assoggettamento a puntuali e specifiche direttive della parte
datoriale;

6. che il terzo motivo è inammissibile in quanto si
limita ad una generica richiesta di ripensamento della questione relativa alla
decorrenza della prescrizione in corso di rapporto – con prospettazione
dell’eventuale rimessione al giudizio della Consulta – argomentata con
riferimento a norme di legge non ancora in vigore all’epoca dello svolgersi del
rapporto e quindi, nello specifico, prive di concreto rilievo;

6.1. che la sentenza impugnata, laddove ha escluso
la decorrenza, in corso di rapporto, del termine prescrizionale è conforme alla
giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, ai fini dell’individuazione
del regime di prescrizione applicabile ai crediti retributivi, il presupposto
della stabilità del rapporto di lavoro deve essere verificato in relazione al
concreto atteggiarsi del rapporto stesso nel corso del suo svolgimento, e non
già alla stregua della qualificazione ad esso attribuita dal giudice all’esito
del processo, con un giudizio necessariamente “ex post” (Cass. n. 29774 del 2017, Cass. n. 12553 del 2014, Cass. Sez. Un, n. 4942 del 2012);

7. che le spese di lite seguono la soccombenza;

8. che sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13
(Cass. Sez. Un. 23535 del 2019);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 6.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge. Con distrazione.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3288
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