Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3287

Direttore di sala, Somme a titolo di differenze retributive e
tfr, Accertamento del credito opposto in compensazione, Credito vantato dalla
datrice di lavoro, Autovettura

Rilevato

 

1. Che la Corte d’appello di Roma ha confermato la
sentenza di primo grado di rigetto della domanda di G.C. intesa alla condanna
de l’O. s.a.s., al pagamento di somme a titolo di differenze retributive e tfr,
rivenienti dal pregresso rapporto di lavoro intrattenuto quale direttore di
sala con la società, titolare di attività di ristorazione.

2. che il giudice di appello, premessa
l’ammissibilità della domanda riconvenzionale della società intesa a far valere
la esistenza di un proprio credito nei confronti del C., ha confermato la
valutazione di prime cure in ordine alla compensazione del credito vantato dal
lavoratore con quello della società nei confronti del dipendente, credito
quest’ultimo scaturente dal pagamento delle rate di acquisto di autovettura Mercedes
formalmente intestata alla società ma di fatto in uso esclusivo del C. il quale
la aveva rivenduta ed incassato il relativo prezzo di acquisto secondo quanto
emergente dalla prova orale e documentale;

3. che per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso G.C. sulla base di quattro motivi; la parte intimata non ha svolto
attività difensiva;

 

Considerato

 

1. Che con il primo motivo parte ricorrente,
deducendo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e
4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 36
cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto
ammissibile la domanda riconvenzionale fondata su un titolo del tutto
indipendente dal rapporto di lavoro dedotto in causa;

2. che con il secondo motivo, deducendo, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.,
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,
censura la sentenza impugnata per avere compensato il credito azionato dal
lavoratore (per tfr, differenze retributive e permessi non goduti) con il
credito del datore di lavoro relativo al prezzo di vendita dell’autovettura
risultato incassato dal C.. L’errore che ascrive al giudice di appello è di non
avere, in sintesi, nel dichiarare l’intervenuta compensazione tra le somme
erogate dalla società per l’acquisto dell’autovettura formalmente alla stessa
intestata ma in uso esclusivo al ricorrente, tenuto conto della somma di €
19.500,00 incassata dal C. al momento della rivendita del veicolo e ciò in
quanto lo riteneva proprietario del mezzo e, quindi, titolato all’incasso; la
Corte di appello, infatti, pur in assenza di specifica censura sul punto da
parte della società, accertato che il credito del lavoratore ammontava a €
31.000,00, rilevato l’avvenuto versamento da parte della datrice di lavoro dei
ratei di leasing per € 13.600,00, aveva ritenuto sussistente anche il diritto
alla restituzione della somma di € 19.500,00 incassata dal C. all’atto della
rivendita del veicolo, procedendo alla relativa sommatoria;

3, che con il terzo motivo, deducendo ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1241,
1243, 1414, 2697 cod. civ., censura la sentenza impugnata per
avere ritenuto sussistente la proprietà del mezzo in capo al C., pur in assenza
dei presupposti stabiliti in tema di simulazione dall’art. 1414 cod. civ. ed in contrasto con il regime
probatorio di cui all’art. 1417 cod. civ..
Sotto il primo profilo evidenzia che nell’interposizione fittizia di persona la
simulazione richiede come presupposto indispensabile la partecipazione
all’accordo simulatorio non solo dell’interposto e dell’interponente ma anche
del terzo contraente, circostanza quest’ultima neppure dedotta prima ancora che
provata da controparte. Sotto il secondo profilo deduce che la prova della
simulazione non avrebbe potuto essere data per testimoni o presunzioni;

4. che con il quarto motivo di ricorso, deducendo,
ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod.
proc. civ., violazione dell’art. 1246 n. 3 cod.
civ., dell’art. 545 cod. proc. civ., nonché
omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, censura
la sentenza impugnata argomentando dal fatto che anche ove il credito di €
13,600.00, pari alle somme versate dalla società per il pagamento delle rate di
leasing dell’autovettura, dovesse ritenersi fondato, la possibilità di
compensazione sarebbe comunque preclusa stante il divieto di cui al combinato
disposto dell’art. 1246 cod. civ. e dell’art. 545 cod. proc. civ.; in questa prospettiva
assume l’errore del giudice di appello per avere omesso di verificare se le
rate del contratto di leasing dell’autovettura superavano o meno la quota pignorabile
dello stipendio; infine, deduce che il pagamento delle rate di leasing era
inidoneo alla totale estinzione del credito del C. pari a € 31.000,00;

5. che il primo motivo di ricorso è infondato. La
sentenza impugnata ha affermato che la domanda di accertamento del credito
opposto in compensazione pacificamente rientrava nella competenza del giudice
adito, ai sensi dell’art. 36 cod. proc. civ..,
in quanto fondata su un titolo appartenente alla causa come mezzo di eccezione.
Premesso che la natura di mezzo di eccezione del titolo dedotto in
compensazione, idonea a radicare, ai sensi dell’art.
36 cod. proc. civ, la competenza del giudice della causa principale anche
per la causa riconvenzionale, non è stata specificamente censurata dalla
società ricorrente che ha incentrato le proprie difese sull’assenza di
connessione oggettiva tra i due titoli in quanto scaturenti da rapporti
indipendenti fra loro, la decisione sul punto risulta conforme alla
giurisprudenza di legittimità secondo la quale la relazione di dipendenza della
domanda riconvenzionale <<dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da
quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione», comportante, ai
sensi dell’art. 36 cod. proc. civ. – purché la
riconvenzionale non ecceda la competenza per materia o valore del giudice adito
– la trattazione simultanea delle cause, deve essere intesa, non già come
identità della “causa petendi” (richiedendo, appunto, la norma un
rapporto di mera dipendenza), ma come comunanza della situazione o del rapporto
giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti,
ovvero come comunanza della situazione o del rapporto giuridico sul quale si
fonda la riconvenzionale, con quello posto a base di una eccezione, sì da
delinearsi una connessione oggettiva qualificata della domanda riconvenzionale
con l’azione o con l’ eccezione proposta (Cass. n. 312 del 2003, Cass. 14520
del 2002, Cass. n. 9656 del 1999);

6. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata ha ritenuto provato il credito opposto in compensazione
dalla datrice di lavoro rappresentato dal pagamento da parte della società del
prezzo dell’autovettura, formalmente intestata alla prima ma in uso esclusivo
al C., per un importo complessivo di € 33.000,00 a fronte di un credito del
lavoratore pari a € 31.000,00; il riferimento alla documentazione relativa al
pagamento delle rate di leasing nonché all’assegno incassato per la vendita
della vettura dal C., così come alle deposizioni testimoniali, è stato
utilizzato, nella economia della motivazione, in funzione di prova della
vicenda dalla quale sarebbe scaturito il credito vantato dalla datrice di
lavoro. La censura del ricorrente non coglie, quindi, nel segno laddove ritiene
che il giudice di appello avrebbe ritenuto sussistente il diritto della società
alla restituzione delle somme incassate dal C. per la vendita dell’autovettura;
la decisione non contiene, infatti, alcuna affermazione in tal senso; la
verifica della misura del credito vantato in compensazione dalla datrice di
lavoro è frutto, infatti, di accertamento autonomo (v. pag. 2, sesto capoverso)
che prescinde dall’importo versato dal terzo per l’acquisto dell’autovettura.
Tanto è sufficiente a determinare la inammissibilità, per difetto di pertinenza
con le ragioni della decisione, del motivo in esame, risultandone assorbito
l’ulteriore profilo di inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n 6, cod. proc. civ.,
scaturente dalla mancata trascrizione degli atti rilevanti al fine della
verifica, sulla base della sola lettura del ricorso per cassazione, del
denunziato error in procedendo per violazione del principio di corrispondenza
tra chiesto e pronunziato (Cass. n. 11738 del 2016, Cass. n. 12664 del 2012, Cass. n. 4840 del 2006);

7. che il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono
inammissibili. La questione della esistenza e della prova di un accordo
simulatorio e dei limiti della relativa prova, non è stata specificamente
affrontata dal giudice di appello il quale ai fini della verifica della
esistenza del credito opposto in compensazione ha ritenuto sufficiente la prova
del pagamento da parte della società del prezzo di un’ autovettura in uso
esclusivo al C. e della quale questi, in sostanza, aveva disposto uti dominus
incassando il relativo prezzo di vendita; analogamente la questione dei limiti
alla possibilità di compensazione dei crediti da lavoro, in base al combinato
disposto dell’art. 1246 n. 3 cod. civ. e dell’art. 545 cod. proc. civ., non è stata in alcun
modo trattata dal giudice di merito;

7.1. che secondo la condivisibile giurisprudenza di
questa Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi
accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza
impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di
legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità
della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della
questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex
actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la
questione stessa (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 3845 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008,
Cass. n. 22540 del 2006);

7.2. che parte ricorrente si è sottratta agli oneri
prescritti al fine della valida censura della decisione in quanto non ha allegato
di avere sollevato la relativa questione nei gradi di merito né, tanto meno,
dedotto se ed in che termini la stessa era stata comunque affrontata dal
giudice di merito;

8. che alle considerazioni che precedono segue il
rigetto del ricorso e che non si fa luogo al regolamento delle spese di lite
non avendo l’intimata svolto attività difensiva;

9. che ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti
processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma
1- bis dello stesso art. 1 sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio
a spese dello Stato non risulta revocata dal giudice competente (Cass. 02/09/2014 n. 18523);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

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