Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2020, n. 3581

Accertamento, Imposte dirette 
– IRPEF, Tassazione compensi, Rimborso ritenute subite

 

Fatti di causa

 

E.S., componente di Commissione tributaria, chiese
il rimborso delle ritenute subite, a suo dire, in eccesso nell’anno di imposta
2011, evidenziando che la trattenuta era stata effettuata, sui compensi
variabili relativi al secondo semestre 2010, indebitamente assoggettati a
tassazione ordinaria.

Avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione
finanziaria il contribuente propose ricorso che venne accolto dalla Commissione
di prima istanza con decisione che, appellata dall’Agenzia delle Entrate, è
stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Campania (d’ora in
poi, per brevità, C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe.

In particolare, il Giudice di appello, premessi i
disposti normativi dell’art.17,
comma 1, lett. b) (sul regime di tassazione separata) e dell’art. 50, comma 1, lett. f, del d.P.R.
n. 917/1986 (sull’inclusione tra i redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente dei compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie),
rilevava che l’art. 39, comma 5,
del decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011, convertito nella legge n. 111/2011 (con il quale era stato
stabilito che detti compensi corrisposti entro il periodo di imposta successivo
a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito
imponibile ai sensi dell’art. 11 del
TUIR) era stato dichiarato illegittimo dalla sentenza
n. 142 del 28 maggio 2014 della Corte Costituzionale, con la conseguenza
che i compensi dei giudici tributari corrisposti in periodi successivi a quelli
di riferimento dovevano, comunque, essere assoggettati a tassazione separata
con i limiti della cd.cassa allargata (entro il 12 gennaio dell’anno
successivo).

Il Giudice di appello riteneva non condivisibili i
documenti di prassi in cui l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto che, qualora
il ritardo fosse dovuto ai tempi fisiologici necessari per la determinazione
degli emolumenti, questi dovessero essere assoggettati al regime della
tassazione ordinaria anche se corrisposti nell’esercizio successivo a quello di
competenza in quanto, secondo la C.T.R., il ritardo poteva essere ritenuto fisiologico
solo nella misura in cui i tempi di erogazione risultino conformi a quelli
ordinariamente connessi ad analoghe procedure utilizzate dagli altri sostituti
di imposta rientranti nella prassi comune.

Avverso la sentenza propone ricorso, su unico
motivo, l’Agenzia delle entrate cui resiste con controricorso il contribuente.

 

Ragioni della decisione

 

Preliminarmente vanno rigettate le eccezioni di
improcedibilità e di inammissibilità del ricorso, sollevate dal
controricorrente, sul presupposto che non siano stati depositati gli atti sui
quali è fondata l’impugnazione, che sia stato violato il principio di
autosufficienza e che i motivi non siano specifici.

Il Collegio ritiene, invero, che il ricorso sia
sufficientemente specifico, contenente un’idonea ricostruzione dei fatti e
congrua illustrazione delle censure in diritto mosse alla sentenza impugnata,
oltre al necessario richiamo degli atti necessari per la decisione.

Con l’unico motivo la ricorrente deduce, ai sensi
dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ. la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 17, comma 1, lett. b) e 50, comma 1, lett. f), 51 e 52 del
d.P.R. 917/1986 nonché dell’art.
38 del d.P.R. n. 602/73 laddove la C.T.R. aveva ritenuto dovuto il
rimborso, siccome applicabile agli emolumenti corrisposti il regime di
tassazione separata, mentre, sulla base della normativa di riferimento e delle
precisazioni fornite con i documenti di prassi, il regime della tassazione
ordinaria, applicato dal sostituto di imposta, era l’unico corretto, in quanto
dalla certificazione dei compensi percepiti dal contribuente emergeva che gli
emolumenti erano stati tutti corrisposti in linea con la fisiologica consecutio
temporum in relazione ai periodi di riferimento. In particolare, secondo la
prospettazione difensiva, non vi erano i presupposti per l’applicabilità del
regime di tassazione separata quando, come nel caso in esame, il pagamento
degli emolumenti variabili relativi al quarto trimestre (ottobre-dicembre),
determinabili solo dopo la fine dell’anno solare deve considerarsi fisiologico
se effettuato nel periodo d’imposta successivo a quello di riferimento, ovvero
dopo il 12 gennaio dell’anno successivo.

Il tema, devoluto con la controversia, all’esame di
questa Corte attiene al regime di tassazione, ordinaria o separata, cui
assoggettare, qualora corrisposti nell’anno successivo a quello di riferimento,
i compensi “aggiuntivi” percepiti dai membri delle Commissioni
tributarie. Ai sensi dell’art.
13 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545, infatti, per i
componenti delle Commissioni Tributarie, oltre al compenso fisso mensile, viene
determinato un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito
ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che debbono tener conto delle
funzioni e dell’apporto di attività di ciascuno alla trattazione della
controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonché,
per i residenti in comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede
la commissione, delle spese sostenute per l’intervento alle sedute della
commissione. Il compenso è liquidato in relazione ad ogni provvedimento emesso.

Ai sensi dell’art. 50, co 1, lett. f) del d.P.R. 22
dicembre 1986 n. 917, i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni
tributarie, cosi come quelli corrisposti ai Giudici di pace e agli esperti del
Tribunale di sorveglianza, sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente.

In virtù di tale assimilazione trovano, quindi,
applicazione, con riferimento a tali compensi:

l’art. 17
del d.P.R. n. 917/1986 il quale, alla lettera b) prevede che l’imposta si
applica separatamente sugli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro
dipendente riferibili a anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di
contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per
altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, compresi i compensi e le
indennità di cui al comma 1 dell’art.
47 (ora 50) e al comma 2
dell’art. 46 (ora 49);

in virtù del richiamo effettuato dall’art. 52 stesso d.P.R., il
precedente art. 51 che, nel
dettare le regole per la determinazione del reddito di lavoro dipendente,
prevede che lo stesso è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a
qualunque, titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di
erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano
percepiti nel periodo di imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti
dai datori di lavoro entro il 12 gennaio del periodo successivo a quello cui si
riferiscono.

Va, poi, rammentato che, nella specifica materia, il
legislatore era intervenuto con l’art.
39, comma 5, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 15 luglio 2011 n. 111 prevedendo che “i compensi
corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie entro il periodo di imposta
successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del
reddito imponibile ai sensi dell’art.
11 del testo unico delle imposte dirette di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.

La norma è stata espunta dall’ordinamento, a seguito
dell’intervento della Corte Costituzionale che,
con la sentenza n. 142 del 28 maggio 2014, ne ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale in riferimento all’art. 3 e all’art. 53 Cost., in ragione del diverso e più
sfavorevole trattamento previsto per gli emolumenti spettanti ai membri delle
commissioni tributarie.

Questo il quadro normativo di riferimento, la
soluzione adottata dalla C.T.R., con la sentenza impugnata, è quella per cui, a
seguito e in virtù della predetta sentenza della Consulta, tutti i compensi
ricevuti, dai componenti le Commissioni tributarie, dopo il 12 gennaio
dell’anno successivo a quello di riferimento, termine fissato dal citato art. 51 per la cd. “cassa
allargata”, siano da considerarsi arretrati e come tali debbano essere
assoggettati al regime di tassazione separata, ai sensi dell’art. 17, co 1, lett. b) del d.P.R. n.
917/86, in virtù della loro assimilazione ai redditi di lavoro dipendente.

Di opposto avviso, invece, l’Amministrazione
erariale la quale, con l’odierno ricorso, ribadisce, confermando i suoi
documenti di prassi, che non possano considerarsi emolumenti arretrati e, come
tali, esulino dal regime della tassazione separata di cui al citato art. 17, gli emolumenti percepiti,
comunque, nell’intero anno successivo a quello di spettanza, quando tale
ritardo, nella corresponsione, possa considerarsi fisiologico rispetto ai tempi
tecnici occorrenti per l’erogazione, degli emolumenti stessi.

Appare opportuno premettere che il regime della cd.
“tassazione separata” fu introdotto nell’ordinamento dal legislatore
-al fine di equamente contemperare o, comunque, attenuare gli effetti della
congiunta applicazione del principio di imputazione per cassa (quale
rinvenibile dall’art. 7 TUIR,
cui pacificamente sono soggetti i redditi di lavoro dipendente e quelli ad essi
assimilati) e di quello di proporzionalità dell’IRPEF- con l’art. 12, comma 1, lett. d) del
d.P.R. n. 597/1973 il quale ne individuava l’oggetto con esclusivo
riferimento agli “arretrati riferibili ad anni precedenti”.

La disposizione venne, poi, trasfusa nell’art. 16, comma 1, lett. b) TUIR
(vecchia numerazione) per essere, quindi modificata, anche a seguito della
contrapposta interpretazione della norma da parte della prassi e della
prevalente giurisprudenza (che ne forniva una lettura strettamente letterale a
prescindere dalle ragioni alle quali fosse riconducibile il ritardo),
nell’attuale formulazione del citato art.17,
dall’art. 3, comma 82, lett.
a), n. 1 della legge 549/1995.

Nella relazione illustrativa di detta legge si
esponeva che le situazioni che possono rilevare per l’applicazione del
particolare regime di tassazione sono di due tipi: a) quelle di “carattere
giuridico” che consistono nel sopraggiungere di norme legislative, di
sentenze o di atti amministrativi, ai quali è sicuramente estranea l’ipotesi di
un accordo tra le parti in ordine ad un rinvio del tutto strumentale nel
pagamento delle somme spettanti; b) quelle consistenti in “oggettive
situazioni di fatto” che impediscono il pagamento delle somme riconosciute
come spettanti entro i limiti ordinariamente adottati dalla generalità dei
sostituti di imposta.

Secondo il dettato letterale della disposizione
normativa, (sopra integralmente riportata), dunque, affinché un provento da
reddito di lavoro dipendente (o assimilato) possa essere assoggettato a
tassazione separata occorre, innanzitutto, che. gli emolumenti siano
“arretrati” e cioè, come chiarito dalla medesima norma, riferibili a
anni precedenti rispetto a quello nel quale sono percepiti.

In particolare, poi, si consente l’applicazione
della tassazione separata soltanto ai proventi percepiti in ritardo per effetto
di ragioni di carattere giuridico, consistenti nel sopraggiungere di norme di
legge, di sentenze, di provvedimenti amministrativi o, comunque, per effetto
“di altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti” idonee a
far ritenere che il ritardo nel pagamento non sia conseguenza di uno strumentale
accordo delle parti volto a far beneficiare il percettore della più favorevole
tassazione separata sui proventi in oggetto.

In base all’attuale formulazione della norma,
pertanto, è evidente (come del resto confermano la relativa relazione
illustrativa e la dottrina maggioritaria) che -escluse le ipotesi (estranee
alla presente controversia) in cui ricorrano le “cause di carattere
giuridico”- il regime della tassazione separata non è più applicabile a
qualunque “emolumento arretrato” (secondo l’accezione del precedente art. 16 cit.), occorrendo invece,
a tal fine, individuare la causa dell’intervallo temporale tra periodo di
imposta di maturazione e periodo di imposta di percezione dello stesso, e cioè
distinguere tra cause di ritardo indipendenti o dipendenti dalla volontà delle
parti; sicché (ed è quanto accade nella presente vicenda tributaria) ove la
liquidazione e la corresponsione di un certo emolumento, in quanto soggette a
determinate procedure, implichino necessariamente un disallineamento
cronologico rispetto al dato di maturazione del compenso, tale iato assume
rilevanza, come presupposto della tassazione separata, soltanto quando il
ritardo non sia fisiologico ma esorbiti dalla normale dinamica del rapporto
“contrattuale”, cui l’emolumento accede.

Così identificati contenuto e ratio della norma in
esame, emerge, altresì, l’erroneità della tesi, quale quella fatta propria
dalla C.T.R., che ancora la qualità di “arretrato” dell’emolumento,
idoneo, come tale, ad essere assoggettato al regime di tassazione separata di
cui all’art. 17 cit., al mero
superamento, nella sua corresponsione, della data del 12 gennaio dell’anno
successivo a quello di riferimento, come previsto nell’art. 51 d.P.R. n. 917/86.

Le due norme (art. 17 e art. 51 TUIR), infatti, sono nate e
convivono, trovando ratio e applicazione in ambiti diversi; in altri termini la
limitata deroga al regime di cassa, introdotta dal citato art. 51, non soltanto è scissa, sul
piano sistematico, dall’art.17
cit., ma, risponde a obiettivi diversi rispetto a quelli che hanno indotto il
legislatore ad adottare il meccanismo della tassazione separata, al fine di
mitigare i possibili effetti distorsivi della sincronica applicazione del
principio di cassa e di proporzionalità dell’IRPEF.

L’art. 51 esprime si la deroga al principio di
cassa, introducendo il cd. regime di “cassa allargata” ma ai fini e
in ambiti diversi e estranei rispetto a quelli per cui il legislatore è
intervenuto, attraverso il meccanismo della tassazione separata a correggere
gli effetti distorsivi della contemporanea applicazione del principio di cassa
e di proporzionalità dell’Irpef.

Il regime della cd. “cassa allargata”,
infatti, è astato introdotto nell’ordinamento nell’art. 48 (oggi 51) dall’art. 3, comma 190, della legge n.
549/1995, senza alcun richiamo e/o rinvio all’allora vigente art.16 (oggi 17) TUIR.

La sua stessa collocazione all’interno dell’art. 51, TUIR, e la sua rubrica,
rendono palese che la norma è dettata ai fini della determinazione
dell’imponibile, laddove il regime di tassazione separata opera sull’aliquota,
e che la deroga, ivi statuita, al principio di cassa, con
“l’allargamento” della stessa sino al 12 gennaio dell’anno successivo
-per come ritenuto da condivisibile dottrina- non risponde a ragioni di ordine
sistematico ma soltanto a quella, unanimemente riconosciuta, della presa d’atto
di prassi aziendalistiche, originate dall’ordinaria corresponsione delle
retribuzioni mensili al personale dipendente all’inizio del mese successivo,
piuttosto che alla fine del mese di riferimento, con l’esigenza di
contemperare, con riguardo alla chiusura dell’esercizio annuale, il principio
di competenza con quello di cassa (e, in tale ottica, va letta la
“perentorietà” attribuita, dai documenti di prassi, alla data del 12
gennaio).

Le ragioni, sopra svolte, consentono, quindi, di
escludere che il mero superamento della data del 12 gennaio (dell’anno
successivo a quello di riferimento) nella corresponsione di un emolumento, sia
sufficiente a qualificare lo stesso come un “arretrato”, ai sensi
dell’art. 17, T.U.I.R., sempre
che il ritardo nel pagamento sia connaturato, ovvero fisiologico, all’indole
stessa del rapporto da cui quell’emolumento derivi.

Peraltro, il principio per cui l’applicazione del
regime di tassazione separata può essere esclusa, a prescindere dal superamento
del termine di cui all’art. 51, TUIR,
qualora la corresponsione degli emolumenti in un periodo d’imposta successivo a
quello della loro maturazione, possa considerarsi fisiologica rispetto ai tempi
tecnici o giuridici occorrenti per l’erogazione degli emolumenti stessi non è
nuovo, essendo già stato affermato da questa Corte, seppure con riferimento ai
compensi incentivanti dei dipendenti della P.A. (v. Cass.
18.04.2019 n.10887, in tema di tassazione degli arretrati relativi alla
pensione di invalidità corrisposta dall’INPS, la quale richiama Cass. 25.2.2002
n. 7677; id Cass. 20.8.2004 n. 16467, riguardanti gli incentivi riconosciuti
dal MEF al proprio personale dipendente) e degli stessi giudici tributari nel
regime previgente negli anni ’80 (v. Cass. 16.07.2004 n. 13228).

Né lo stesso principio è stato sconfessato, nella
citata sentenza n.142/2014, dalla Corte
Costituzionale la quale, come dinanzi accennato, pur confermando
l’assoggettabilità dei compensi dei giudici al regime della tassazione separata
(art. 17, comma 1, TUIR), della
quale ha ribadito la ratio (necessità di attenuare gli effetti negativi che
deriverebbero dalla rigida applicazione del criterio di cassa in quei casi in
cui la tassazione di un reddito formatosi nel corso di più anni, ma corrisposto
in unica soluzione, risulti eccessivamente onerosa per il contribuente), non
ha, però, disconosciuto l’interpretazione fornitane dal Ministero dell’economia
e della finanze (a partire dalla circolare n. 23/E
del 5 febbraio 1997 secondo cui non può farsi luogo a tassazione separata
quando il pagamento in ritardo debba considerarsi una “conseguenza
fisiologica” insita nelle modalità di erogazione degli emolumenti stessi)
che, anzi il Giudice delle leggi, espressamente cita, nel ricostruire il
“contesto” nel quale era intervenuta la norma censurata.

Al contrario il Giudice delle leggi esplicitamente
riferisce di tale prassi applicativa, laddove (pag. 13) afferma che la finalità
di limitare in qualche modo gli effetti delle modalità temporali di
liquidazione viene, nella sostanza, neutralizzata dall’introduzione di una
disposizione (la norma censurata n.d.r.) idonea a rendere ininfluenti, a danno
del contribuente, anche tempi tecnici anomali come quelli che raggiungono la
durata di un anno.

Del resto è significativo che, nella motivazione
della declaratoria di incostituzionalità, la Consulta non richiami mai il principio
di cassa allargata ovvero il disposto di cui al secondo comma dell’art. 51 TUIR che, pure, era stato
invocato dall’ordinanza remittente.

Può, quindi, affermarsi il seguente principio di
diritto << in materia di redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente, corrisposti nell’anno successivo a quello di riferimento, non sono
ricompresi tra i redditi arretrati assoggettabili a tassazione separata, ai
sensi dell’art. 17 d.P.R. 21
dicembre 1986 n. 917, gli emolumenti per i quali il ritardo nella loro
corresponsione, nell’anno successivo a quello di riferimento, sia fisiologico
alla natura del rapporto dal quale derivano, e cioè sia la necessaria
conseguenza dell’espletamento di particolari procedure per la loro
quantificazione e effettiva liquidazione>>.

Per dirimere la controversia è necessario, ora,
compiere un ulteriore passaggio e dare concretezza, definendola in termini
oggettivi, alla nozione, sin qui astratta, di “ritardo fisiologico”
oppure, in altri termini e per converso, stabilire quando il ritardo nella
corresponsione, in favore dei membri delle Commissioni tributarie, dei compensi
aggiuntivi e variabili, superi tale connotazione, per il suo carattere anomalo,
rispetto ai tempi tecnici normalmente occorrenti, e, quindi, valga a rendere
l’emolumento “arretrato”, ai sensi del più volte citato art. 17, e come tale
assoggettabile, qualora il contribuente si avvalga di tale opzione, al regime
di “tassazione separata”.

L’art.
13 d.lgs. 545/1992, sopra citato, non indica per i compensi aggiuntivi
(variabili) un termine temporale di pagamento e tale dato non è fissato nemmeno
nei documenti di prassi: per la circolare
11.03.1998 n. 80 del Ministero delle finanze – dip. Entrate affari
giuridici serv II, infatti, “la liquidazione dei compensi avviene
mensilmente; nel mese successivo sono operati gli eventuali conguagli e a fine
anno viene operato il conguaglio relativo all’anno medesimo. Particolari
esigenze delle singole commissioni consentono, comunque, di prevedere una
diversa cadenza temporale. Il compenso fisso mensile va conteggiato unitamente
a quello aggiuntivo”; per la nota n. 48710 dell’11 marzo 2004 della
Direzione centrale dell’Agenzia delle entrate, i compensi dei giudici tributari
relativi al secondo semestre dell’anno sono corrisposti nel mese di maggio
dell’anno successivo a quello cui si riferiscono” precisando che la
predetta corresponsione nel mese di maggio costituisce “ritardo
fisiologico rispetto ai tempi tecnici ordinariamente occorrenti per la
corresponsione dei compensi variabili”‘, per la direttiva del Ministero
dell’Economia e delle Finanze n. 39616 del 20 giugno 2005 (come riportata in
ricorso e nell’ordinanza n. 276 dell’11.11.2013 con la quale la C.T.P. di
Campobasso ha sollevato questione di legittimità costituzionale) le scadenze
per la chiusura contabile periodica vengono individuate dopo il 15 luglio per
il primo semestre (periodo 1 gennaio/30 giugno); dopo il 15 ottobre per il
terzo trimestre (periodo 1 luglio/30 settembre); dopo il 15 gennaio per il
quarto trimestre (periodo 1 ottobre/31 dicembre), anche in tal caso, senza
alcuna previsione di termine finale.

Più in dettaglio <<alle scadenze previste deve
essere effettuata la chiusura contabile periodica e/o annuale (15 luglio per il
periodo 01 gennaio-30 giugno anno corrente; 15 ottobre per il periodo 01
luglio-30 settembre anno corrente; 15 gennaio per il periodo 01 ottobre-31
dicembre anno precedente): il rispetto di tale tempistica costituisce
inderogabile propedeuticità per potere procedere alla rilevazione de!
fabbisogno dei compensi aggiuntivi ed al pagamento dei medesimi; 2. entro i 15
giorni successivi alle singole chiusure contabili la Segreteria del Consiglio
di Presidenza della Giustizia tributaria provvede alla rilevazione dei dati
contabili e, dopo avere definito con le singole Commissione tributarie casi di
particolari difformità, procede alla predisposizione del parere da parte
dell’Organo consiliare; 3. Le Segreteria delle Commissioni tributarie, dopo
avere ricevuto la comunicazione dell’avvenuta emissione del parere positivo del
Consiglio di Presidenza sui definitivi importi spettanti per compensi
aggiuntivi, procederanno alla predisposizione dei mandati individuali di
pagamento, inoltrandoli alle rispettive Commissioni Regionali, per l’esecuzione
di quanto dir loro competenza > >.

In assenza di un’espressa previsione normativa circa
il termine finale di corresponsione o, meglio, circa l’individuazione dei tempi
tecnici mediamente occorrenti, cd.”fisiologici”, la lacuna può essere
colmata attraverso l’intervento surrogatorio di questo Giudice, che trova la
sua legittimazione negli artt. 1183 cod. civ. e
97 Cost.

Premesso che il parametro costituzionale di
“buona amministrazione” consente una programmata allocazione delle risorse
finanziarie pubbliche (C. Cost. n. 75 del 1987 e n.
285 del 1995) è pacifico che sia consentita una valutazione giudiziale del
congruo termine entro il quale la P.A. sia tenuta a provvedere sui diritti
patrimoniali spettanti ai privati (Cass. s.u. 11/04/1963 n. 927). Il che vale
laddove la prestazione non sia condizionata ad alcuna valutazione degli
interessi e degli strumenti pubblicistici dell’amministrazione (Cass., Sez.u.,
11/04/1963 n. 3233), ma soggetta ai normali principi di contabilità pubblica
dettati in tema di debiti pecuniari della P.A. con l’espletamento di controlli
e accertamenti a tutela del pubblico interesse (Cass. 12/12/1983 n. 6738).

Si tratta di apprezzamento che, nei variegati
contesti processuali, va fatto all’atto stesso in cui si valuta, ai più diversi
fini, il protrarsi ingiustificato del ritardo della P.A. (C. Stato, sez. 5
12/11/1992 n. 1277).

Non è contestato che i compensi variabili dei
giudici tributari, in linea generale, vengono liquidati con una cadenza
all’incirca trimestrale; del resto, la controversia riguarda esclusivamente i
compensi variabili per l’attività espletata nell’ultimo trimestre che include
il mese di dicembre, sicché, necessariamente, il tempo occorrente per
l’espletamento delle procedure di quantificazione e liquidazione determina lo
spostamento del termine di effettiva percezione nell’anno successivo a quello
di maturazione.

Dato per acquisito che, come suaccennato, la stessa
Agenzia delle entrate riconosce che la scadenza fisiologica per l’erogazione
dei compensi variabili del terzo trimestre, è successiva al 15 ottobre senza
travalicare l’anno di maturazione, con riferimento ai compensi variabili
maturati nel quarto trimestre (periodo 1° ottobre/31 dicembre) ritiene il Collegio
che un termine possa ragionevolmente individuarsi, in aggiunta a quello fissato
come iniziale dalla suddetta Direttiva (dopo il 15 gennaio), in quello di 120
giorni, in parametro con quello previsto, dopo la novella del 2000 (art. 147 della legge n. 388 del 2000),
dall’art. 14 del decreto legge 31
dicembre 1996 n. 669 (in tema di esecuzione forzata nei confronti delle
pubbliche amministrazioni), quale idoneo spatium adimplendi da concedere
all’Amministrazione per l’approntamento dei controlli e dei mezzi finanziari
occorrenti al pagamento dei compensi variabili.

Se quel termine è ritenuto congruo dal legislatore
per svolgere un complesso e impegnativo insieme di attività necessario per
eseguire un provvedimento giudiziario nella patologia dei rapporti coi privati,
può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo ai problemi
derivanti dai plurimi controlli predisposti dal MEF nella ridetta direttiva (e
positivamente apprezzabili ex art. 97 Cost.),
ben possano essere similmente contenuti nel ridetto arco temporale di
centoventi giorni ulteriori, salvo circostanze eccezionali di cui sia data
prova rigorosa (v. Cass. Sez. u. 15/07/2016 n. 14594 per un caso
d’individuazione “pretoria” di termini processuali).

Applicando tali principi al caso di specie, il
motivo di impugnazione va rigettato, in quanto si controverte degli emolumenti,
relativi al secondo semestre 2010, corrisposti il 30 maggio dell’anno
successivo a quello di maturazione, sicché è stato superato, senza circostanze
giustificative eccezionali (neppure prospettate), il limite del “ritardo
fisiologico”, oltre il quale i compensi sono qualificabili come redditi
arretrati, soggetti a tassazione separata, come ha riconosciuto la Commissione
tributaria regionale, sia pure seguendo un erroneo percorso argomentativo, che
va, quindi, emendato, ai sensi dell’art. 384 cod.
proc. civ., perché non conforme a quello appena esposto.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa
alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione
pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30
maggio 2002 n. 115 (v. Cass. 29/01/2016 n. 1778).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione in
favore del contro ricorrente delle spese che liquida in complessivi euro 1.500
oltre euro 200 per esborsi, rimborso forfetario nella misura del 15%, e
accessori di legge.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2020, n. 3581
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