Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3631
Cartella di pagamento, Contributi, Contratto di appalto,
Cessione ramo di azienda, Committente utilizzatrice, Fittizietà del rapporto
d’appalto
Rilevato che
1. con ricorso al Tribunale di Vercelli la s.r.l. I
R. conveniva in giudizio l’INPS ed Equitalia Sestri s.p.a chiedendo
l’annullamento della cartella di pagamento emessa per l’importo di €
319.531,80. I contributi si riferivano al periodo ottobre 2004 – dicembre 2006
e la contestata evasione derivava da un accertamento in esito al quale l’INPS
aveva ritenuto che il contratto di appalto stipulato il 14/7/2004 tra la s.r.l.
Residenza I.P. con sede in Bologna, unico socio della s.r.l. I R. – alla quale
aveva ceduto il 28/7/2004 il ramo di azienda concernente la gestione della casa
di riposo per anziani di C. denominata Residenza I R. – e la P.S. s.c.a.r.l., i
cui lavoratori venivano impiegati per la gestione integrata dei servizi
all’interno della suddetta casa di riposo, non soddisfacesse quanto previsto in
materia di appalti dall’art. 29
comma 1 del d.lgs n. 276 del 2003, realizzando piuttosto la previsione del
combinato disposto degli articoli
18 e 24 del suddetto
decreto e che pertanto, ai sensi dell’articolo 27 comma 1, i lavoratori
in tal modo impiegati dovessero essere considerati alle dipendenze della
committente utilizzatrice s.r.l. I R. sin dall’inizio della somministrazione,
con conseguente suo obbligo di pagamento della differenza tra la contribuzione
da lei direttamente dovuta e quella già pagata dall’appaltatore P.S. s.c.a.r.l.
2. La Corte territoriale, in riforma della sentenza
del Tribunale, riteneva fondato l’addebito contributivo. A sostegno del decisum
ripercorreva le risultanze delle dichiarazioni rese dai lavoratori sia in sede
di accertamento ispettivo che in giudizio e concludeva che dalle risultanze
istruttorie era emersa la fittizietà del rapporto d’appalto per l’assenza del
requisito necessario, normativamente individuato, dell’esercizio del potere
organizzativo e direttivo da parte dell’appaltatore P.S. s.c.a.r.l. nei
confronti dei propri dipendenti, risultando invece il positivo accertamento
dell’esercizio di tale potere da parte della committente s.r.l. I R..
Aggiungeva che risultavano peraltro commistioni tra le due società, in quanto
la legale rappresentante della s.r.l. I R. era socia lavoratrice della P.S.,
per la quale si occupava di certificazione della qualità, e che altra
lavoratrice, dopo essere stata dipendente della s.r.l. I R. come direttrice
della struttura, era transitata senza soluzione di continuità alle dipendenze
della P.S.. Concludeva osservando che l’accertamento del potere direttivo e
organizzativo esercitato dalla committente nei confronti dei dipendenti
dell’appaltatrice era requisito sufficiente per ritenere nel caso configurati i
presupposti assunti dall’INPS alla base della pretesa contributiva.
3. Per la cassazione della sentenza I R. s.r.l. (ora
I.F. s.r.l.) in persona del legale rappresentante ha proposto ricorso, cui
l’INPS ha resistito con controricorso.
4. I.F. s.r.l ha depositato anche memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c.
Considerato che
5. come primo motivo la società ricorrente deduce la
violazione dell’art. 18, dell’art. 27 e dell’art. 84 in relazione all’articolo 4 comma 1 del d.lgs n. 276
del 2003, nonché dell’art. 29
dello stesso d.lgs n. 276 del 2003 e dell’art.
1655 del c.c. Ripercorre le risultanze di causa che a suo avviso deponevano
nel senso, già evidenziato dal Tribunale, che l’organizzazione dei mezzi
necessari e il rischio di impresa gravassero interamente sull’appaltatore,
dotato di notevole struttura (circa 3000 soci lavoratori), che aveva assunto in
appalto tutti i servizi socio-assistenziali all’interno della R.S.A., a parte
la reception, la Direzione sanitaria e la Direzione amministrativa, assumendone
il rischio d’impresa.
6. Come secondo motivo deduce l’omesso esame circa
più fatti decisivi per il giudizio e lamenta che non sia stata considerata la
documentazione già oggetto del precedente motivo, oltre che le deposizioni
testimoniali di alcuni dei lavoratori escussi, che avevano riferito in ordine
alle modalità dei gestione dei relativi rapporti di lavoro in senso difforme da
quanto ritenuto dalla Corte territoriale.
7. Il primo motivo non è fondato.
Il d.lgs n. 276 del 2003
ha disciplinato la figura dell’appalto, che ai sensi dell’art. 29 si distingue dalla
somministrazione di lavoro sulla base dei criteri, già enucleati con
riferimento alla disciplina previgente, dell’autonomia organizzativa e
funzionale dell’attività dell’appaltatore, precisandosi che questa può anche risultare,
in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto,
dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei
lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per I’ assunzione, da parte del
medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.
8. Nel caso in cui il potere organizzativo e
direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto sia invece
svolto dall’appaltante, potrà configurarsi un appalto illecito, ovvero una
somministrazione irregolare.
9. Già nel vigore della I.
n. 1369 del 1960, in caso di appalto caratterizzato da uno scarso apporto
di mezzi materiali – comunemente definiti a bassa intensità organizzativa e ad
alta intensità di lavoro – per accertare la sussistenza della fattispecie
vietata dall’articolo 1 della
legge 1369 del 1960 la giurisprudenza di questa Corte aveva attribuito
rilievo preponderante alla diretta organizzazione, direzione e controllo dei
dipendenti assunti dall’ interposto da parte del committente (v. Cass. n. 12201 del 06/06/2011, Cass. n. 15693 del 03/07/2009).
10. Si è poi precisato che nell’interposizione
illecita le disposizioni impartite debbano essere riconducibili al potere
direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di
svolgimento delle prestazioni lavorative, e non al solo risultato di tali
prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto
(v. Cass. 12/4/2018 n. 9139).
11. In caso di somministrazione irregolare, la
previsione di cui all’art. 27 del
d.lgs n. 276 del 2003, secondo cui legittimato a far valere l’illegittimità
della somministrazione è il solo lavoratore somministrato, non preclude poi
agli enti previdenziali o assicurativi di agire nei confronti dell’effettivo
utilizzatore della manodopera, per l’accertamento della sussistenza dei
presupposti delle obbligazioni contributive gravanti in capo a quest’ultimo (v.
Cass. 02/07/2019, n. 17705).
12. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha
fatto coerente applicazione dei principi sopra enunciati, valorizzando il
potere direttivo ed organizzativo esercitato direttamente dalla società
committente sui lavoratori impiegati nell’appalto, quale emerso con riferimento
ai colloqui per l’assunzione, alle direttive sul lavoro ed alla concessione di
ferie e permessi. La natura dell’appalto, avente ad oggetto i servizi
socio-assistenziali all’interno della struttura sanitaria, rendeva del resto
preponderante l’attività lavorativa rispetto all’ apporto di mezzi materiali da
parte dell’appaltatore, né rileva in senso contrario il fatto che la società
sia di grandi dimensioni ed abbia alle proprie dipendente circa 3000
lavoratori, dovendosi avere riguardo alle modalità di gestione ed esecuzione
dello specifico appalto di cui si discute. Il tipo di intervento esercitato dal
committente, avente ad oggetto anche i colloqui per l’assunzione e quindi un
aspetto direttamente incidente sull’attività imprenditoriale dell’appaltatrice,
rendeva inoltre il potere direttivo ed organizzativo esercitato dalla
committente esorbitante dal mero controllo sui risultati delle prestazioni
oggetto dell’appalto.
13. Il terzo motivo, con il quale si formula una
critica della ricostruzione delle risultanze fattuali, è parimenti infondato.
Occorre premettere che al presente giudizio si
applica ratione temporis la formulazione dell’art.
360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n.
83, conv. dalla I. n. 134 del 2012, che ha
ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla
motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la
lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate
solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale
omissione, né può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una
risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata
comunque valutata dal giudice del merito. Secondo le S.U., l’omesso esame deve
quindi riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e,
quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o primario (ossia
costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o
secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), non un mezzo di prova il cui
esito si lamenti travisato e male interpretato.
14. E’ però da escludere che nel caso ci si trovi
innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo,
considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati
dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o
comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può
dirsi omessa, né può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle
medesime circostanze.
15. Segue coerente il rigetto del ricorso.
16. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono
la soccombenza.
17. L’esito del giudizio determina la sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30
maggio 2002 in. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019), ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi €
7.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso
delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
ove dovuto.