Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3632

Contratti d’appalto, Genuinità, Commesse urgenti e picchi di
richieste, Verbali ispettivi e deposizioni testi, Somministrazione illecita
di manodopera

Rilevato che

 

1. B. Legatoria srl proponeva opposizione avverso
due cartelle esattoriali, aventi ad oggetto la prima il pagamento di contributi
previdenziali relativi al periodo dal gennaio 2002 al maggio 2006 e relativi
oneri accessori dovuti all’INPS per il complessivo importo di € 849.866,34, la
seconda il pagamento di premi INAIL relativi ai medesimi periodi e somme
aggiuntive per il complessivo importo di € 23.790,01. La pretesa per contributi
e premi traeva origine da accertamenti ispettivi posti in essere nei confronti
della società appellante da ispettori dell’ INPS, dell’INAIL e della DPL di
Milano, che avevano ritenuto non genuini i contratti d’appalto intercorsi tra
la società, esercente attività di legatoria per conto di editori di libri e
riviste, e diverse cooperative e società per far a fronte a commesse urgenti e
a picchi di richieste.

2. Il primo giudice, richiamata la disciplina
normativa in materia di contratto di appalto e di somministrazione di
manodopera e l’evoluzione della giurisprudenza in materia, aveva ritenuto che
nel caso di specie tra B. Legatoria srl e le cooperative e società
sopraindicate che si erano succedute nel tempo non potessero configurarsi genuini
contratti di appalto ed in proposito aveva evidenziato che dalle risultanze dei
verbali ispettivi e dalle deposizioni dei testi escussi nel corso
dell’istruttoria era chiaramente emerso che dette società non disponevano di
alcuna organizzazione di mezzi idonei al raggiungimento del risultato.

3. La Corte d’appello riteneva che la decisione del
primo giudice fosse fondata su una condivisibile valutazione delle prove orali
e documentali raccolte nel corso dell’istruttoria e delle risultanze dei
verbali ispettivi e della documentazione agli stessi allegata, che avevano
trovato riscontro nelle deposizioni della maggior parte dei testi escussi.
Riteneva che tali risultanze deponessero per la ricorrenza della contestata
ipotesi di somministrazione illecita di manodopera, non potendo configurarsi
tra B. Legatoria srl e le società formalmente datrici di lavoro dei dipendenti
impiegati alcun lecito contratto di appalto. Valorizzava la circostanza che il
potere di organizzazione, direzione e controllo del personale formalmente
assunto dalle cooperative e società esterne ed operante presso la B. Legatoria
srl fosse esercitato da addetti della società utilizzatrice e non da
rappresentanti delle società esterne, che anzi, secondo quando constatato dagli
ispettori, costituivano delle mere scatole vuote prive di un’effettiva
struttura organizzativa. La società appellante neppure aveva prodotto in
giudizio alcuno dei contratti di appalto che la stessa asseriva di avere
stipulato con le diverse società che si erano via via succedute nel tempo al
fine di provarne l’effettiva esistenza, mentre il generico riferimento a
“prestazioni effettuate per vostro ordine” contenuto nelle fatture
rilasciate dalla B. Legatoria srl alle predette società non appariva in alcun
modo riferibile all’oggetto di un lecito contratto di appalto. A fronte delle
risultanze istruttorie doveva ritenersi quindi provato l’impiego da parte di B.
Legatoria srl di personale per lavori svolti all’interno dell’azienda in
contrasto con il disposto dell’articolo
1 della I. n. 1369 del 1960 e dell’articolo 29 del d.lgs n. 276 del 2003,
con conseguente fondatezza della pretesa contributiva di INPS e per premi
INAIL. Aggiungeva in motivazione che era invece fondata la doglianza di parte
appellante relativa al mancato riconoscimento nel dispositivo della sentenza
impugnata dell’efficacia satisfattiva del pregresso versamento di contributi da
parte dei datori di lavoro apparenti e in particolare di quelli corrisposti
dalla C.D.P. s.r.l. e, in accoglimento del detto motivo di appello, dichiarava
non dovuta la somma complessiva di 137.184,52, di cui € 86.719,00 a titolo di
contributi e il residuo a titolo di somme aggiuntive, richiesta con la cartella
di pagamento numero 068 2007 03368903 76000.

4. Confermava nel resto la sentenza impugnata.

5. Per la Cassazione della sentenza B. Legatoria srl
ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui hanno resistito con
controricorso INPS e INAIL.

6. La società ricorrente ha depositato anche memoria
ex art. 380- bis. 1 c.p.c.

 

Considerato che

 

7. B. Legatoria srl deduce come primo motivo la
violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697
c.c. sull’onere della prova in relazione all’articolo
420 comma 5 e seguenti c.p.c. e dell’articolo 29 del d.lgs n. 276 del 2003,
la nullità del procedimento per mancato svolgimento di attività istruttoria e
l’ illogica motivazione e in subordine l’ omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che la
Corte d’appello non abbia deciso in base alla regola legale di riparto
dell’onere della prova e, oltre a non dar peso alle evidenze contrarie delle
prove testimoniali, abbia attribuito decisivo valore probatorio alle
valutazioni di carattere presuntivo espresse dagli ispettori, omettendo
l’istruttoria giudiziale intesa a verificare le dichiarazioni e/o chiarirne il
contenuto, come sarebbe stato necessario stante la presenza di difformi deposizioni
testimoniali.

8. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 2697 c.c., la
nullità della sentenza e del procedimento e in subordine l’omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti. Lamenta la sommarietà dell’accertamento ispettivo e la mancata
indicazione delle generalità complete dei lavoratori, che non consentirebbe
l’accredito della contribuzione.

9. I primi due motivi, che possono essere esaminati
congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

Il d.lgs n. 276 del 2003
ha disciplinato la figura dell’appalto, che ai sensi dell’art. 29 si distingue dalla
somministrazione di lavoro sulla base dei criteri, già enucleati con
riferimento alla disciplina previgente, dell’autonomia organizzativa e
funzionale dell’attività dell’appaltatore, precisandosi che questa può anche
risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in
contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti
dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per l’ assunzione, da parte del
medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.

10. Nel caso in cui il potere organizzativo e
direttivo nei confronti  dei lavoratori
utilizzati nell’appalto sia invece svolto dall’appaltante, potrà configurarsi
un appalto illecito, ovvero una somministrazione irregolare.

11. Già nel vigore della I.
n. 1369 del 1960, in caso di appalto caratterizzato da uno scarso apporto
di mezzi materiali -comunemente definiti a bassa intensità organizzativa e ad
alta intensità di lavoro – per accertare la sussistenza della fattispecie vietata
dall’articolo 1 della legge 1369 del 1960 la giurisprudenza di questa Corte
aveva attribuito rilievo preponderante alla diretta organizzazione, direzione
di controllo dei dipendenti assunti dall’interposto da parte del committente
(v. Cass. n. n.12201 del 06/06/2011, Cass. n. 15693 del 03/07/2009).

12. Si è poi precisato che nell’interposizione
illecita le disposizioni impartite debbano essere riconducibili al potere
direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di
svolgimento delle prestazioni lavorative, e non al solo risultato di tali
prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto
(v. Cass. 12/4/2018 n. 9139).

13. In caso di somministrazione irregolare, la
previsione di cui all’art. 27 del
d.lgs n. 276 del 2003, secondo cui legittimato a far valere l’illegittimità
della somministrazione è il solo lavoratore somministrato, non preclude poi
agli enti previdenziali o assicurativi di agire nei confronti dell’effettivo
utilizzatore della manodopera, per l’accertamento della sussistenza dei
presupposti delle obbligazioni contributive gravanti in capo a quest’ultimo (v.
Cass. 02/07/2019, n. 17705).

14. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha
fatto coerente applicazione dei principi sopra enunciati, valorizzando il
potere direttivo ed organizzativo esercitato direttamente dalla società
committente sui lavoratori impiegati negli appalti, suffragata anche
dall’assenza dei rappresentanti dei datori di lavoro nel corso dell’attività
lavorativa, e dell’assenza in capo alle appaltatrici di alcuna struttura
produttiva.

15. Il motivo, nella parte in cui formula una
critica della ricostruzione delle risultanze fattuali, è parimenti infondato.

Occorre premettere che al presente giudizio si
applica ratione temporis la formulazione dell’art.
360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n.
83, conv. dalla I. n. 134 del 2012, che ha
ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla
motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la
lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate
solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale
omissione, né può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una
risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata
comunque valutata dal giudice del merito. Secondo le S.U., l’omesso esame deve
quindi riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e,
quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o primario (ossia
costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato)  o secondario (cioè dedotto in funzione
probatoria), non un mezzo di prova il cui esito si lamenti travisato e male
interpretato.

16. E’ però da escludere che nel caso ci si trovi
innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo,
considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati
dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o
comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può
dirsi omessa, né può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle
medesime circostanze.

17. Occorre inoltre qui ribadire che il verbale di
accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con
riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua
presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti,
nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle
dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli
apprezzamenti ed alle valutazioni  del
verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da
altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di
presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass. n. 23800 del
07/11/2014). Pur non essendo forniti di efficacia probatoria privilegiata in
ordine alle circostanze di fatto che essi segnalino di aver accertato nel corso
dell’inchiesta per averle apprese da terzi, né in ordine alla veridicità del
contenuto di quanto agli ispettori riferito, i verbali dei pubblici ufficiali
possono fornire utili elementi di valutazione anche sotto tale aspetto
nell’eventuale successivo giudizio di opposizione, costituendo elementi di
convincimento con i quali il giudice deve criticamente confrontarsi (Cass. n. 15208 del 03/07/2014).

18. Ne deriva che sfugge al sindacato di legittimità
la valutazione compiuta dal giudice di merito che ha valorizzato le
dichiarazioni rese dagli informatori agli ispettori, confrontandole con le
ulteriori emergenze processuali, tra cui le deposizioni testimoniali rese in
giudizio, e fornendo dell’esito di tale valutazione compiuta  motivazione, sindacabile nei soli limiti del
novellato articolo 360 n. 5 c.p.c.

19. Non vi è stata pertanto alcuna violazione
dell’onere della prova, ma una valutazione complessiva delle risultanze
acquisite.

20. In merito poi alla mancata indicazione
nominativa dei lavoratori, basta qui ribadire che «I’ interposizione illecita
di manodopera in un contratto di appalto determina l’ instaurazione del
rapporto contributivo tra l’ente previdenziale e l’utilizzatore, restando
irrilevante la mancanza di una specifica indicazione, da parte di quest’
ultimo, del nominativo dei lavoratori dell’impresa fornitrice, posto che l’
individuazione dell’ importo dovuto si ricava dal numero dei lavoratori
impiegati nell’appalto e dai minimali contributivi fissati dal c.c.n.l. e
configurandosi l’ imputazione soggettiva dei contributi da parte dell’ INPS
come adempimento successivo al sorgere dell’obbligazione e al pagamento
dell’importo dovuto da parte del datore di lavoro» (Cass.
n. 19098 del 01/08/2017, conf. Cass. n. 28312 del 07/11/2018).

21. Come terzo motivo la ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697
cc e l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti e lamenta che la Corte d’Appello abbia
rigettato la richiesta di detrazione di ulteriori € 67.227,55 corrispondenti
agli importi addebitati per i lavoratori extracomunitari della P.M.C. srl e
regolarizzati dalla stessa ai sensi del DL numero 195 del 1992, motivando sulla
mancata produzione di attestazioni di pagamento da parte dell’opponente,
trascurando il fatto che il pagamento 
sarebbe stato attestato addirittura nel verbale ispettivo di
riferimento.

22. Il terzo motivo è inammissibile in quanto la
parte, nel contestare la motivazione della Corte che ha ritenuto non provata la
regolarizzazione di ulteriori posizioni contributive per un ammontare di €
67.227,55, valorizza un passaggio del verbale ispettivo che conterrebbe il
riconoscimento del pagamento, che non viene trascritto, né riportato, né
allegato al ricorso, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso
che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute
negli artt. 366, co.1, n.6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc. civ.

23. In particolare la norma di cui all’art. 366 n.6 cod. proc. civ., ponendo come
requisito di ammissibilità «la specifica indicazione degli atti processuali,
dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si
fonda», richiede la specificazione dell’avvenuta produzione in sede di
legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all’interno
di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili. Merita
puntualizzare che le SS. UU. (sentenza 3 novembre
2011 n. 22726), intervenendo sull’esegesi dell’ onere di cui all’art. 369 comma 2, n. 4 cod. proc. civ., hanno
confermato, anche per gli atti processuali, l’esigenza di specifica indicazione,
a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod.
proc. civ., del contenuto degli stessi atti e dei documenti sui quali il
ricorso si fonda, nonché dei dati necessari al loro reperimento. Invero il
tenore della disposizione non lascia adito a dubbi sull’estensione dell’onere
di «specifica indicazione» di cui al n.6 della norma a tutti gli atti e
documenti (negoziali e non) necessari alla decisione sul ricorso, espressamente
ricomprendendo nel relativo ambito oggettivo gli «atti processuali»
generalmente intesi.

24. Segue coerente il rigetto del ricorso.

25. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono
la soccombenza.

26. L’esito del giudizio determina la sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R.
30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di
ciascuno dei controricorrenti in complessivi € 13.000,00 per compensi
professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali
nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

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