Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3339

Licenziamento ritorsivo, Rapporto plurisoggettivo c.d. di
codatorialità, Atti processuali, Ambito riservato al giudice del merito

Rilevato che

 

La Corte d’appello di Ancona confermò la sentenza
del giudice di primo grado che aveva dichiarato intervenuta la decadenza
dell’opposizione ex art. 1 c. 51
I. n. 92/2012 proposta dalla società G.G. s.r.l. ai fini della revoca
dell’ordinanza resa nella fase sommaria ai sensi dell’art. 1 c. 49 stessa legge,
dichiarativa della nullità del licenziamento ritorsivo intimato alla
lavoratrice G.S. il 22 settembre 2014;

la Corte territoriale, dopo aver rilevato che la
parte non era incorsa in decadenza, operando nella fattispecie in esame
l’istituto della sospensione dei termini processuali introdotto dall’art. 49 d.l. n. 189/2016
(risultava documentata la circostanza che la società aveva sede nel Comune di
Sant’Angelo in Pontano, figurante nell’elenco dei Comuni colpiti dal sisma del
24 agosto 2016), affermava ricorrere un caso di licenziamento ritorsivo,
nell’ambito di un complessivo quadro indiziario in cui erano ravvisabili gli
indici sintomatici dell’esistenza di un unico centro di imputazione di
interessi facente capo a T.E. S.p.a., di cui G.G. s.r.l. appariva satellite;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione
G.G. s.r.l. sulla base di cinque motivi, illustrato con memoria;

G.S. resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata
alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio non partecipata;

 

Considerato che

 

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi
dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 112, 116, 421 c.p.c.art. 2697
c.c., del principio della domanda, del contraddittorio, della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, del diritto di difesa e del giusto
processo, oltre che extrapetizione, osservando che la Corte d’appello aveva
rilevato d’ufficio, in mancanza di specifica deduzione o prova da parte della
ricorrente sul punto e anche mediante l’utilizzo di prove raccolte in altro
processo in assenza di rituale acquisizione, la ricorrenza di un unico centro
d’imputazione di interessi tra T.E. s.p.a. e G.G. s.r.l., e, allo stesso modo,
aveva rilevato d’ufficio che la crisi di ordini, produzione e ricavi di
quest’ultima fosse programmata e provocata dal C. al fine di licenziare la
lavoratrice;

con il secondo motivo la ricorrente deduce nullità
della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., per l’esistenza di litisconsorzio
necessario nei confronti della T.E. s.p.a., omessa integrazione del
contraddittorio (art. 360 n. 4 c.p.c.);

con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 2119 c. 1 c.c.
e 3 I. n. 604/1966 e 7 I. n. 300/1970, 2697 c.c. e 16 c.p.c.,
in presenza di error iuris sostanziale sotto il profilo della erronea
sussunzione della fattispecie concreta, poiché la Corte d’appello, pur in
presenza dei documentali e riconosciuti motivi oggettivi del licenziamento,
prende in esame e valorizza ipotesi di licenziamento per ritorsione, in
contrasto con la costante e conforme giurisprudenza di legittimità;

con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione
e o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in
tema di possibile applicazione del repechage e dell’art.
2729 c.c., deducendo l’assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti;

con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione
e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla condanna alle spese e
dell’art. 13 c. 1 quater DPR
115/2002, in presenza di una seppur parziale riforma della sentenza
appellata (limitatamente alla decadenza pronunciata in primo grado);

il primo motivo, quanto ai rilievi circa le
allegazioni, non è corredato di autosufficienza, mancando la trascrizione e
l’indicazione degli atti processuali salienti, prima di tutto il ricorso
introduttivo, dai quali desumere la presunta omessa allegazione, risultando,
invece, dal controricorso il rimando agli atti della fase di merito nei quali è
stata dedotta l’esistenza di un unico centro di imputazione tra la G.G. e la
T.E., mentre, per quanto attiene la prova, si limita alla contestazione
dell’esercizio discrezionale dei poteri istruttori officiosi garantito dall’art. 421 c.p.c. (cfr. Cass. n. 26117 del
19/12/2016);

anche la seconda censura è infondata, poiché la
Corte, in funzione dell’indagine circa l’illegittimità del licenziamento, ha
effettuato un accertamento incidentale riguardo all’esistenza di un più ampio
centro di interessi in cui si inscrive la società datrice di lavoro, sicché si
versa in un caso diverso rispetto a quello di domanda del lavoratore intesa ad
accertare un rapporto plurisoggettivo c.d. di codatorialità, la quale richiede
l’estensione del contraddittorio a tutti i soggetti contitolari del rapporto di
lavoro, agendo il lavoratore per l’accertamento, con efficacia di giudicato, di
un unico centro d’imputazione dal lato passivo del rapporto (Cass. n. 6664 del
7/3/2019);

il terzo motivo è pure infondato, poiché la Corte
territoriale argomenta in base a ragionamento presuntivo, non contestato sotto
l’aspetto metodologico, l’esistenza di un motivo discriminatorio nei confronti
della lavoratrice, pur in presenza di calo di commesse e di produzione, sicché
l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza
dei requisiti di precisione, gravità e concordanza, richiesti dalla legge per
valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, resta incensurabile in
sede di legittimità (Cass. n. 1234 del 17/01/2019);

del pari infondato è il quarto motivo, poiché il
profilo attinente al repechage è trattato dalla Corte territoriale a
rafforzamento di quello attinente alla discriminazione, che riveste carattere
assorbente, mentre, quanto al ragionamento presuntivo, la critica finisce con
investire l’ambito riservato al giudice del merito, valendo in proposito le
argomentazioni svolte con riferimento al terzo motivo;

non coglie nel segno anche l’ultimo motivo, poiché
la condanna alle spese è rispettosa dell’applicazione della regola della
soccombenza, restando non sindacabile la scelta del giudice di non procedere a
compensazione (Cass. n. 2730 del 23/02/2012);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va
rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della
controricorrente, liquidate in complessivi € 4200,00, di cui € 200,00 per
esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D. P.R. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso articolo
13.

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