Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3625

Premio di fedeltà previsto dalla contrattazione collettiva
aziendale, Computo nel TFR, Determinazione del trattamento di fine rapporto,
Collegamento tra un certo evento correlato al rapporto lavorativo e
l’emolumento stesso

Rilevato

che la Corte territoriale di Venezia, con sentenza
pubblicata il 25.3.2015, ha confermato la pronunzia n. 1093/2014 resa dal
Tribunale della stessa sede, con la quale era stata accolta la domanda proposta
da L.P., nei confronti della Cassa di Risparmio di V. S.p.A., della quale era
dipendente, volta ad ottenere l’accertamento del diritto al computo nel TFR del
c.d. premio di fedeltà previsto dalla contrattazione collettiva aziendale;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa
sede rileva, ha osservato che il premio di fedeltà doveva essere computato
nella base del calcolo del TFR, in quanto trovava la propria fonte nella
protrazione dell’attività lavorativa per un certo lasso di tempo ed era altresì
rigorosamente collegato allo svolgimento del rapporto di lavoro: per la qual
cosa, aveva i requisiti di dipendenza da quest’ultimo e di non occasionalità di
cui all’art. 2120 c.c.; inoltre, dalle
disposizioni dei CCNL del 1994 e del 1991 non discendeva in modo certo ed
inequivoco la volontà di escludere il predetto premio dal TFR, anche in
considerazione del fatto che lo stesso era contraddistinto da uno scopo
gratificativo ed altresì connesso alla protrazione dell’attività lavorativa per
un certo tempo;

che per la cassazione della sentenza ricorre la
I.S.P. S.p.A.( quale società incorporante la Cassa di Risparmio di V. S.p.A.)
articolando due motivi, cui resiste con controricorso L.P.;

che sono state depositate memorie nell’interesse di
entrambe le parti;

che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2120
c.c. e 12, primo comma, delle disposizioni
della legge in generale, in combinato disposto con l’art. 28 CIA Carive del
3.4.1992 ed in sostanza si lamenta che la sentenza impugnata abbia interpretato
il requisito della «non occasionalità» dell’erogazione ai sensi dell’art. 2120 c.c. come componente necessaria della
natura retributiva e generalizzata dell’erogazione stessa in connessione con il
rapporto di lavoro;

2) in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 45 CCNL ACRI
19.12.1994 in relazione all’art. 2120 c.c.,
nonché la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 in
relazione all’art. 45 del CCNL ACRI 19.12.1994 e si deduce che, «in subordine,
ove l’esclusione del premio di fedeltà dal computo del TFR non sia accertata
già ai sensi di legge, deve riconoscersi che tale esclusione discende comunque
dalla norma contrattuale applicabile ratione temporis al caso di specie (art.
45 CCNL ACRI 1994), a ciò legittimata dall’art.
2120, comma 2, c.c.»;

che i motivi – da esaminare congiuntamente per
ragioni di connessione – non sono fondati. E’ da premettere che la sentenza
della Corte di merito è del tutto in linea con gli ormai granitici arresti
giurisprudenziali nella materia (cfr., ex plurimis, Cass. 23856/2015; 24373/2015; 24166/2015; 24937/2015; 24058/2015; 25297/2015; 23855/2015; 23799/2015; 24061/2015), del tutto condivisi da questo
Collegio che non ravvisa alcuna ragione per discostarsene;

che, ciò premesso – e facendo integrale riferimento
alle motivazioni delle pronunzie innanzi citate – si ribadisce in questa sede
che «l’abbandono da parte del legislatore del 1982 della nozione di continuità
ravvisabile nel vecchio testo dell’art. 2120 c.c.
e la sostituzione del sistema di determinazione del trattamento di fine
rapporto non più basato, come in passato, sull’ultima retribuzione percepita,
ma sulla sommatoria di quote di retribuzione annue accantonate, ha condotto la
prevalente giurisprudenza a non assegnare rilievo alla ripetibilità e/o alla
frequenza delle erogazioni, ma a fare leva sulla qualità dell’emolumento corrisposto,
dando così rilevanza al titolo della erogazione, riscontrando detta connessione
ogni volta che vi sia un collegamento tra un certo evento correlato al rapporto
lavorativo e l’emolumento stesso: è stato dato, così, decisivo rilievo, come da
ultimo annotato da Cass. 21 luglio 2014, n. 16591,
alla derivazione eziologica tra erogazione della prestazione e rapporto
lavorativo escludendo solo quelle prestazioni collegate a ragioni aziendali del
tutto eventuali, imprevedibili e fortuite (cfr., ex plurimis, Cass. 5 giugno 2000, n. 7488; Cass. 2 agosto 2002, n. 11607; Cass. 5 febbraio 2003, n. 1693; 9 aprile 2008, n. 9252; 21 aprile 2008, n.
10303)» (v. Cass. n. 23854/2015);

che, nella fattispecie, è indubbio che
«l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale delle disposizioni
contrattuali indicate dalla ricorrente, e cioè gli artt. 40 del CCNL ACRI del
19.3.1987 e 45 del CCNL ACRI del 19.12.94, non contrastando con il loro tenore
letterale, sia corretta per quanto riguarda l’identificazione della comune
intenzione delle parti trovando questa riscontro, ex art.
1362 ult. comma c.c., nel successivo CCNL del 1999 (art. 65) le parti, a
differenza della precedente contrattazione collettiva, definiscono la
retribuzione di riferimento per il calcolo del TRF con analitica elencazione
dei singoli elementi utili» (Cass. n. 23854/2015, cit.);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,00,
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso articolo 13.

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