Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 febbraio 2020, n. 3917

Contratto di agenzia, Svolgimento di mansioni ulteriori sotto
il vincolo della subordinazione, Rivendicazione avanzata dall’agente, Recesso
del preponente privo di giusta causa, Minaccia di far valere un diritto quale
causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi
ingiusti, Non sussiste, Vantaggio perseguito sia solo quello del
soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento

 

Fatti di causa

 

1. G.S. adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di
Brescia per ottenere la condanna della società S. s.p.a. al pagamento di
spettanze connesse al recesso, che assumeva privo di giusta causa, dal rapporto
di agenzia da parte della società resistente, nonché per ottenere il pagamento
delle provvigioni maturate durante il rapporto e per l’accertamento dello
svolgimento di mansioni ulteriori rispetto a quelle proprie dell’agente, da
qualificare come relative ad un rapporto di lavoro subordinato, che si affiancava
a quello di agenzia, con conseguente condanna della società convenuta al
pagamento, per tale titolo, della somma di euro 260.000,00 per retribuzioni non
corrisposte, ferie, permessi non goduti e TFR.

2. Con sentenza parziale il Tribunale di Brescia
dichiarava la nullità del ricorso introduttivo in relazione alle domande
correlate al dedotto svolgimento di mansioni ulteriori sotto il vincolo della
subordinazione. Avverso tale sentenza non veniva proposta dalla ricorrente
riserva di appello ai sensi dell’art. 340 c.p.c..
Proseguito il giudizio, all’esito della prova testimoniale il giudice adito
accoglieva parzialmente le domande avanzate alla S. e riteneva sorretto da
giusta causa il recesso della società resistente. Seguiva sentenza definitiva,
con la quale la società convenuta veniva condannata al pagamento, in favore
della ricorrente, delle differenze dovute per provvigioni.

3. G.S. proponeva appello avverso la sentenza
definitiva per impugnare la statuizione con cui era stata ritenuta sussistente
la giusta causa ex art. 2119 cod. civ.
unicamente nella pretesa, avanzata dalla ricorrente e qualificata
“pesante” dal primo giudice, diretta al riconoscimento di un rapporto
di lavoro subordinato in aggiunta al rapporto di agenzia, ossia una pretesa di
regolarizzazione di un rapporto di lavoro.

4. La Corte di appello di Brescia, con sentenza n.
62/2018, respingeva l’impugnazione sulla base delle seguenti considerazioni:

– le pretese formulate dall’appellante si fondavano
su una rilettura del rapporto in essere, tale da portare a rivendicare
corrispettivi di ingente entità, nascenti da fattispecie incompatibili, ossia
la coesistenza del contratto di agenzia e del rapporto di lavoro subordinato;
in tal senso doveva essere letta l’argomentazione del primo giudice;

– si era in presenza di un conflitto tra le
rivendicazioni avanzate, restando irrilevante che le pretese avessero
costituito oggetto di due distinte domande;

– può essere richiamato in via analogica l’art. 1438 cod. civ., fattispecie che si realizza
quando il fine ultimo perseguito da una delle parti consiste nella
realizzazione di un risultato abnorme, incompatibile con i principi giuridici;

– nel caso di specie, è giuridicamente inconcepibile
che un unico rapporto sia caratterizzato dalla compresenza di due fattispecie
diverse per natura e presupposti e dia luogo a pretese di natura economica che
non possono essere cumulate;

– la minaccia di far valere il diritto di
corrispettivi asseritamente spettanti per entrambe le fattispecie, del tutto
differenti e non compatibili tra loro, non poteva che essere considerata
ingiusta ed iniqua e come tale costituire giusta causa di recesso da parte del
soggetto destinatario di tali rivendicazioni.

5. Per la cassazione di tale sentenza G.S. ha
proposto due distinti ricorsi, il primo, articolato in cinque motivi,
notificato il 15 settembre 2018, cui ha fatto seguito in data 30.10.2018 il
deposito di istanza di ammissione a gratuito patrocinio. Su tale ricorso la
società si è difesa con controricorso notificato in data 29.10.18.

5.1. Con il secondo ricorso, basato su dieci motivi,
notificato l’8 novembre 2018, la S. ha inteso “ovviare a possibili vizi
formali del medesimo”. Il secondo ricorso è stato depositato il 22
novembre 2018. Ha fatto seguito un secondo controricorso della società, in cui
si è eccepita l’inammissibilità nuovo ricorso.

6. La ricorrente ha altresì depositato memoria di
replica ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente, quanto alla ammissibilità dei
ricorsi, va premesso che la sentenza impugnata è stata depositata il 13.7.2018
e trova applicazione ratione temporis l’abbreviazione del c.d. termine lungo a
sei mesi ex art. 327 cod. proc. civ.. La
scadenza del termine per impugnare era dunque il 13.1.2019, da cui
l’ammissibilità del primo ricorso.

Anche il secondo ricorso è ammissibile, in quanto
notificato l’8.11.18 e dunque tempestivo, oltre che rispetto al termine lungo
(sei mesi decorrenti dal 13.7.2018), altresì rispetto al termine di sessanta
giorni decorrenti dalla notifica del primo ricorso (15.9.2018). Non è
intervenuta alcuna pronuncia di inammissibilità o improcedibilità del primo
ricorso.

1.1. Nel caso in cui una sentenza sia stata
impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, la seconda impugnazione
deve essere notificata entro la scadenza del termine breve decorrente dalla
notificazione della prima impugnazione, che dimostra la conoscenza legale della
decisione da parte del ricorrente (Cass. S.U. n. 10266 del 2018).

Nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con
due successivi ricorsi per cassazione, è ammissibile la proposizione del secondo,
anche quando contenga nuovi e diversi motivi di censura, purché la
notificazione dello stesso abbia avuto luogo nel rispetto del termine breve
decorrente dalla notificazione del primo, e l’improcedibilità di quest’ultimo
non sia stata ancora dichiarata, non comportando la mera notificazione del
primo ricorso la consumazione del potere d’impugnazione (cfr. Cass. n. 21145
del 2016; conforme Cass. n. 11513 del 2018).

1.2. Nel caso in esame, non sono stati neppure
introdotti con il secondo ricorso nuovi motivi, ma si è provveduto a scindere i
motivi unitari, originariamente formulati, nelle articolazioni riferibili agli
specifici vizi denunciati. Il primo ricorso recava cinque motivi, mentre il
secondo, sostitutivo del precedente, è articolato su dieci motivi, con riguardo
alle medesime violazioni di legge.

2. Tanto premesso, esaminando il secondo ricorso,
sostitutivo del primo, si rileva che, con il primo motivo, è denunciata
violazione degli artt. 24 e 36 Cost. e falsa applicazione degli artt. 1751 e 2119 cod.
civ.. Si contesta che possa costituire giusta causa di recesso la
formulazione di una rivendicazione economica, da parte del lavoratore, anche se
particolarmente onerosa, stante il preminente diritto costituzionale di cui
all’art. 24 Cost.. La ricorrente aveva chiesto
di essere regolarizzata e remunerata per il lavoro dipendente che aveva svolto
per la società in aggiunta a quello di agenzia. Neppure il Tribunale aveva
fatto allusioni ad una incompatibilità con le altre pretese avanzate.

3. Con il secondo motivo si denuncia violazione
dell’art. 132 n. 4 e 118
cod. proc. civ. per avere la sentenza impugnata affermato di condividere
l’assunto del primo giudice circa la pretesa incompatibilità delle richieste
epistolari della lavoratrice, mentre invece il Tribunale non aveva fatto tale
affermazione limitandosi ad affermare che le richieste erano soltanto
“pesanti”.

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 1751 e 2119 cod.
civ. in quanto il giudice di appello ha affermato che la ricorrente aveva
avanzato una domanda basata su presupposti tra loro incompatibili, mentre la
ricorrente aveva inequivocabilmente dedotto non uno, bensì due rapporti di
lavoro coesistenti, quello di lavoro subordinato in aggiunta e coesistente a
quello di agenzia.

5. Con il quarto motivo si denuncia falsa
applicazione degli artt. 1751-e 2119 cod. civ., dell’art. 5 legge 204 del 1985 e
violazione degli artt. 1 e 36 Cost. L’incompatibilità giuridica prospettata
dalla sentenza allude all’art.
5, comma 3, della legge 204 del 1985 che disciplina la professione degli
agenti di commercio e che dichiara che la condizione di lavoratore dipendente è
incompatibile con l’iscrizione all’albo degli agenti di commercio. Tuttavia ciò
non comporta che, ove ciò nei fatti avvenga, ne consegua la perdita dei diritti
spettanti al dipendente, perché ciò contrasterebbe con gli artt. 1 e 36 Cost..

6. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli
artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. perché non è stato
motivato – o comunque non in modo comprensibile – come la ricorrente possa
avere prospettato con riguardo ad un unico rapporto di lavoro pretese in parte
riferibili al rapporto di agenzia e in parte riferibili al rapporto di lavoro
dipendente. Si trattava di due distinte domande con diverse causae petendi.

7. Con il sesto motivo si denuncia violazione degli artt. 132 n. 4 e 118
disp. att. cod. proc. civ. per non avere la Corte di appello esaminato il
fatto decisivo costituito dall’avere la ricorrente reso prestazioni ulteriori
rispetto ai compiti di agente, ossia prestazioni esulanti dallo schema
negoziale dell’agenzia. Si denuncia altresì la violazione delle medesime
disposizioni per avere la sentenza omesso di motivare in ordine al procedimento
logico-giuridico con cui era arrivata a ritenere pretestuose ed inique le
richieste di un compenso per prestazioni aggiuntive diverse rispetto a quelle
rivendicate per lo svolgimento dell’attività di agente.

8. Con il settimo motivo si denuncia violazione
degli artt. 1751 e 2119
cod. civ. nonché dell’artt. 132 n. 4 cod. proc.
civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
nella parte in cui la sentenza ha affermato che le due pretese erano state
avanzate con due azioni giudiziali distinte sennonché al tempo del recesso,
ossia al 30 marzo 2012, nessuna azione giudiziaria era ancora stata avviata in
quanto l’unico ricorso, relativo ad entrambe le pretese, venne depositato il 19
ottobre 2012. Dunque il recesso non poteva fondarsi sulla circostanza
dell’introduzione del giudizio, che a tale data non era ancora avvenuta. La
Corte ha applicato falsamente gli artt. 1751 e 2119 cod. civ., che presuppongono un fatto
verificatosi prima del recesso e non dopo di esso.

9. Con l’ottavo motivo si denuncia violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in quanto con la
medesima motivazione oggetto del precedente motivo la Corte territoriale ha
erroneamente ritenuto che sussistesse la giusta causa di recesso, mentre la
data del recesso era anteriore a quella dell’avvio delle cause di lavoro per
cui il giudizio espresso dal giudice di appello deve ritenersi del tutto
assente in ordine alla giusta causa di recesso.

10. Con il nono motivo si denuncia falsa
applicazione dell’art. 1438 cod. civ. nella
parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto applicabile tale norma per
analogia. Innanzitutto, ai fini dei criteri di applicabilità dell’analogia di
cui al secondo comma dell’art. 12 cod. civ. le
lacune della disciplina codicistica del rapporto di agenzia di cui agli artt. 1742 e seguenti cod. civ., per costante
giurisprudenza, sono integrate dall’applicazione analogica delle norme sul
rapporto di lavoro dipendente ed in particolare, per quanto riguarda il recesso,
dall’art. 2119 cod. civ.. In secondo luogo,
nessuna analogia è ravvisabile nella concreta fattispecie rispetto all’ipotesi
regolata dall’art. 1438 cod. civ.. Tale norma
tutela la libera volontà delle parti nel contrarre; essa concerne la fase
genetica dei contratti e contempla un vizio della volontà pattizia comportante
la possibilità di annullare il contratto per un vizio scaturente da un ricatto.
Nel caso di specie, invece, non viene in considerazione la stipulazione di
alcun contratto, né un vizio della volontà, né alcuna causa di annullabilità.
Neppure potrebbe invocarsi l’art. 1438 cod. civ.
come espressione del generale principio inteso a sanzionare atti emulatori.
Infatti non vi è stato alcun accertamento che l’azione della ricorrente,
attinente al rapporto di lavoro dipendente, fosse infondata o temeraria e
comunque restano prevalenti i diritti costituzionali di tutela del lavoro
garantiti dall’art. 36 Cost., anche in
relazione all’art. 1 Cost..

11. Con il decimo motivo si censura la sentenza per
violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e
dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e
violazione dell’art. 6 CEDU,
dell’art. 111 comma 6, Cost. E’ nulla la
sentenza di appello, funzionalmente inesistente, ossia inidonea a raggiungere
il suo scopo, per non avere spiegato le ragioni della decisione. Seppure
graficamente esistente, la sentenza è assente o meramente apparente e trova
applicazione nel caso di specie l’orientamento interpretativo secondo cui
(Cass. 10157 del 2017 e 1861 del 2018) la motivazione tautologica o apodittica
diviene meramente apparente.

12. E’ fondato il nono motivo, restando assorbito
nel relativo accoglimento l’esame dei restanti.

12.1. Premesso che l’eventuale
“conflittualità” in punto di ricostruzione giuridica del rapporto (o
dei due coesistenti rapporti, secondo la prospettazione della ricorrente) è
questione rilevata in sede giudiziale e non poteva costituire, in tali termini,
una ragione posta a base del recesso, all’evidenza anteriore alla introduzione
del giudizio, tale preliminare rilievo non comporta comunque la nullità della
sentenza per essere questa comunque argomentata in ordine al richiamo dell’art. 1438 cod. civ., su cui la sentenza si fonda
per avvalorare la tesi della preponente della giusta causa di recesso.

13. Sul punto, il ricorso per cassazione è fondato e
va accolto.

13.1. A norma dell’art.
1438 cod. civ., “la minaccia di far valere un diritto può essere causa
di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi
ingiusti”. Non solo tale situazione si verifica quando il fine ultimo
perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere
abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto
medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall’oggetto di quest’ultimo, e non quando il
vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi
previsti dall’ordinamento (v. Cass. 20305 del 2015, v. pure Cass. 17523 del
2011, n. 28260 del 2005), ma la minaccia rilevante ai sensi di legge è
concretamente ravvisabile, sotto il profilo dell’effettiva funzione
intimidatoria del comportamento, soltanto se venga prospettato un uso
strumentale del diritto o del potere diretto al condizionamento della volontà
dell’altro contraente (o del dichiarante negli atti unilaterali) (cfr. Cass. n.
6426 del 1996).

13.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha
ritenuto sussumibile la fattispecie concreta in quella astratta di cui all’art. 438 cod. civ., ritenuta applicabile per
analogia, senza chiarire quale fosse il condizionamento della volontà del
destinatario della richiesta e se vi fosse un negozio, posto in essere dalla
preponente, viziato e suscettibile di annullamento per tale motivo.

13.3. Per quanto risulta dalla sentenza impugnata, è
stata invece la preponente che, a fronte della rivendicazione avanzata dalla
S., ha esercitato il proprio potere di recesso, la cui giusta causa ex art. 2119 cod. civ.

– venuto meno il fondamento giuridico su cui la
decisione impugnata si fonda, a fronte di una situazione che, all’evidenza,
esula dallo schema legale delineato dall’art. 438
cod. civ. – resta ancora da accertare in giudizio.

14. Deve quindi essere cassata la sentenza impugnata
e rimessa al giudice di rinvio la questione della verifica della sussistenza o
meno della giusta causa di recesso ex art. 2119
cod. civ..

14.1. Si designa quale giudice di rinvio la Corte di
appello di Brescia in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al
regolamento delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il nono motivo di ricorso, assorbiti gli
altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 febbraio 2020, n. 3917
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