Le valutazioni dei dipendenti pubblici vanno motivate secondo buona fede e correttezza e devono essere adottate secondo i parametri previsti dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva.
Nota a Trib. Trento 22 ottobre 2019, n. 168
Sonia Gioia
In ordine al sindacato giudiziale sulle valutazioni datoriali circa le prestazioni e i relativi risultati dei dipendenti di un’Università, il Tribunale di Trento (22 ottobre 2019, n. 168) ha sottolineato alcuni rilevanti principi, in linea con la giurisprudenza di legittimità.
Nello specifico, la Corte ha affermato che il lavoratore dipendente ha un diritto soggettivo (cui corrisponde il relativo obbligo a carico del datore) “di ottenere che le valutazioni datoriali in ordine alle prestazioni e ai relativi risultati del lavoratore siano formulate nel rispetto dei parametri oggettivi previsti dalla legge e dal contratto collettivo nonché dei canoni di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., che, inverandosi nel principio di trasparenza, impongono al datore di motivare quelle valutazioni, indicando le circostanze di fatto positive e negative che ha ritenuto a tal fine rilevanti” e che è compito del giudice esaminare (v. fra tante, Cass. n. 6775/2016, in questo sito con nota di F. IACOBONE, Diritto di accesso al fascicolo personale e motivazione delle valutazioni sul rendimento del lavoratore e Cass. n. 19710/2011).
La valutazione relativa alle prestazioni e ai relativi risultati del lavoratore, qualora sia stata espressa illegittimamente dal datore di lavoro, deve considerarsi come non avvenuta (Cass. n. 11207/2001). Tuttavia, non è possibile attribuire per via giudiziale i benefici collegati a una valutazione positiva tranne che nell’ipotesi di predisposizione di criteri integralmente vincolanti (Cass. n. 18198/2005). Il giudice, infatti, non può sostituirsi al datore di lavoro nell’esercizio di valutazioni discrezionali a lui riservate.
Quanto al risarcimento del danno patito dal dipendente, nell’ipotesi di perdita di chances, il datore di lavoro è tenuto a risarcirgli i danni patrimoniali “quantificabili, anche in via equitativa, sulla base della percentuale di probabilità che il lavoratore aveva di ottenere una valutazione positiva o maggiormente positiva qualora si fosse in modo corretto e trasparente” (Cass. n. 19710/2011, cit. e Cass. n. 13001/2003).