Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2020, n. 3998
Infortunio sul lavoro, Congiunto, Risarcimento del danno per
perdita parentale, Responsabilità, Normativa in materia di sicurezza sui
cantieri, Non corretto funzionamento di un macchinario
Ritenuto che
1. G. e R.C. e M.D.L. ricorrono, affidandosi a due
motivi, per la cassazione della nonchè sentenza della Corte d’Appello di
Firenze che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Siena che – in
relazione al gravissimo infortunio sul lavoro a seguito del quale era deceduto
il congiunto D.C. – aveva condannato al risarcimento del danno per perdita
parentale da loro subita soltanto la società presso la quale egli prestava la
sua attività lavorativa in un cantiere edile, omettendo di affermare anche la
responsabilità del direttore dei lavori M.L. che, unitamente alla T. Srl, era
pure proprietario dell’immobile sul quale si svolgeva l’attività di
ristrutturazione.
2. Ha resistito l’intimato con controricorso e
memoria.
Considerato che
1. Con il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi
congiuntamente essendo parzialmente sovrapponibili quanto alla rubrica ed alle
argomentazioni articolate, il ricorrente deduce, ex art.
360 co 1 n° 3, 4 e 5, in relazione al D.lgs. 494/1996 (art. 1, 2 n° 1
lett. a) All. 1, 6), al
DL 626/1996, alla L. 64/74, agli artt. 112,
113, 115, 116, 132 e 228 cpc, gli artt.
2702, 2730, 2733
e 2735 c.c., nonché all’art. 12 delle Disp. Legge in generale artt. 91 e 92 cpc,
violazione o falsa applicazione di norme di diritto e/o nullità della sentenza
e/o omesso esame circa un fatto decisivo per ili giudizio che è stato oggetto
di discussione fra le parti.
1.1. Lamenta che la Corte territoriale,
nell’escludere la responsabilità del L. in qualità di proprietario e direttore
dei lavori e della società committente, aveva omesso di rendere una compiuta
motivazione che, invece, doveva essere articolata proprio in applicazione delle
norme sopra richiamate (D.lgs.
494/1996, art. 1, 2 n° 1 lett. a All.
1, 6 e D.L. 626/1996),
visto che i lavori ai quali era addetto il lavoratore deceduto rientravano nel
campo di responsabilità concorrente del committente, del direttore dei lavori e
del progettista, senza alcuna esclusione: segnala, a riguardo, la contraddittorietà
fra le pratiche edilizie aperte dal direttore dei lavori nelle quali si
affermava che esse non ricadevano nell’applicazione delle previsioni del D.lgs. 494/1996 e la relazione tecnica asseverata
nella quale si dichiarava che le opere da eseguire consistevano nel restauro
del tetto, esigendo pertanto misure di sicurezza per la protezione contro le
cadute dei carichi, proprie degli interventi di straordinaria manutenzione (la
cui natura era stata anche ammessa dallo stesso direttore dei lavori in sede di
interrogatorio formale), che non erano state apprestate: sottolineavano che,
anzi, la gestione del cantiere denotava negligenza ed imprudenza soprattutto in
relazione alle operazioni di carico e scarico.
2. Le censure sono inammissibili sotto più profili.
2.1. In primo luogo esse difettano di specificità.
Si osserva al riguardo che i ricorrenti riconducono
entrambi i motivi a tre vizi concomitanti (art. 360
co 1 n° 3, n° 4, e n° 5 cpc) formulando argomentazioni non specificamente
ricollegate a ciascuno di essi.
Si osserva al riguardo che il giudizio di
legittimità è caratterizzato dalla critica vincolata: in relazione a ciò, è
stato condivisibilmente affermato che i motivi di ricorso – che assumono una
funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con
riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito – esigono
una precisa enunciazione sicché è inammissibile la critica della sentenza
impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra
loro confusi e inestricabilmente combinati, non espressamente collegati alle
fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito (cfr. al riguardo Cass.
11603/2018; Cass. 19959/2014).
2.2. Tanto premesso, il Collegio rileva anche che:
a. il vizio enunciato, di cui all’art. 360 co 1 n° 5 cpc, è inammissibile ex art. 348 ter cpc, ratione temporis applicabile al
caso in esame, in quanto la sentenza impugnata è conforme alla pronuncia di
primo grado;
b. quello ascritto all’art.
360 co 1 n° 4 cpc – che sembrerebbe lamentare il mancato esame della
condotta del L. – maschera la richiesta di rivalutazione di questioni di merito
che in realtà sono state compiutamente esaminate dalla Corte territoriale:
infatti sono state espresse analitiche argomentazioni (cfr. pag. 7, 8 e 9 della
sentenza impugnata) in ordine alla esclusione della pericolosità del cantiere, in
quanto l’incidente in esame era stato motivatamente ricondotto ad un singolo
episodio ascrivibile alla responsabilità del datore di lavoro che era stato,
per tale ragione, condannato. I giudici d’appello hanno correttamente
ricostruito la vicenda (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) escludendo, in
base ad accordi contrattuali con la committenza, che l’incidente fosse derivato
da omissioni o dalla specifica ingerenza del tecnico nel momento meramente
esecutivo delle opere.
La motivazione, pertanto, risulta congrua e non
presenta profili di illogicità o di apparenza.
c. con la censura ricondotta all’art. 360 co 1 n° 3 cpc si avanzano critiche
generiche e prive di autosufficienza, in quanto viene adombrata la violazione
della normativa in materia di sicurezza sui cantieri per contrasto con le
pratiche edilizie depositate (non trascritte nel corpo del ricorso né v
specificamente ricondotte ad una sede processuale individuabile, visto che è
stata indicata soltanto una numerazione inidonea a rinvenirle) e quelle
effettivamente realizzate: ma in tal modo, si omette di considerare che tale
contrasto, già denudato dinanzi alla Corte territoriale, è stato esaminato e
valutato con motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale con la
quale è stato affermato che l’incidente, secondo la ricostruzione degli
ispettori della ASL 7 di Siena intervenuti sul luogo del sinistro, era stato
ascritto, secondo una ricostruzione priva di contraddizioni, ad un non corretto
funzionamento del gancio elevatore della carrucola (cfr. pag. 10, secondo cpv.
della sentenza impugnata) la cui responsabilità non poteva che essere
circoscritta alla sola negligenza del datore di lavoro. Anche la critica su
tale punto prospettata maschera una richiesta di rivalutazione di merito su
argomentazioni incensurabili contenute nella sentenza impugnata.
3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002
da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto , a norma del comma Ibis
dello stesso art. 13, se
dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in € 4000,00 per compensi ed € 200,00 per
esborsi, oltre accessori e il rimborso forfettario spese generali nella misura
di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002
da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto , a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.