Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2020, n. 4094

Licenziamento, Rapporto di lavoro subordinato, Mansioni di
impiegata d’ordine, Vincolo di soggezione della lavoratrice al potere
direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, Regolarizzazione
della posizione assicurativa e previdenziale

Rilevato

 

che, con sentenza depositata in data 11.6.2014, la
Corte di Appello di Lecce, accogliendo il gravame interposto da M.A. nei
confronti di V.D., avverso la pronunzia del Tribunale di Brindisi – che aveva
integralmente rigettato la domanda della lavoratrice -, ha dichiarato che «la
A. ha lavorato alle dipendenze della ditta D. dal 28.2.1998 al 31.12.2007 con
un rapporto di lavoro subordinato>> e, per l’effetto, ha condannato la parte
datrice a corrispondere alla dipendente, per il predetto periodo, la somma di
Euro 78.374,00, oltre accessori di legge, nonché alla regolarizzazione della
posizione assicurativa e previdenziale della stessa A. presso gli enti
competenti;

che per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso V. D. articolando due motivi;

che M. A. è rimasta intimata;

che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che con il ricorso si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2094
e segg. e 2697 e segg. c.c. e si deduce che la
Corte territoriale avrebbe accolto la domanda della A., «pur difettando la
prova che la medesima abbia lavorato con il vincolo della subordinazione in
maniera continuativa per tutto il periodo dal 28.2.1998 alla data del
licenziamento del 31.12.2007…, svolgendo le mansioni di impiegata d’ordine
(addetta alla ricezione clienti, addetta alla segreteria, alla acquisizione e
compilazione degli ordini, alla compilazione e registrazione delle fatture,
bolle e/o ricevute fiscali, alla compilazione dei registri, rapporti con i
clienti, redazione preventivi, pagamenti postali, incassi dai clienti,
inventario annuale>>; in particolare, a parere della parte datrice, i
giudici di Appello avrebbero erratamente fondato il proprio convincimento sulla
produzione documentale acquisita agli atti del giudizio e, precisamente, sulle
fatture a firma della A. come destinatario della ditta e sulle affermazioni di
alcuni testi che, secondo il ricorrente, non sarebbero del tutto attendibili»;

2) in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo che è
stato oggetto di discussione tra le parti e si lamenta che la Corte di merito
avrebbe dato per pacifici fatti, quali l’assoggettamento della A. al potere
direttivo del D., assolutamente non dimostrati, evitando di svolgere una
attività istruttoria adeguata;

che il primo motivo non è fondato, in quanto la
Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi che regolano il
rapporto di lavoro subordinato, reputando, all’esito dell’espletata
istruttoria, che, nella fattispecie, vi fosse il vincolo di soggezione della
lavoratrice al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di
lavoro, date, appunto, le ricostruite e condivisibili concrete modalità di
svolgimento della prestazione lavorativa, dalle quali, inequivocabilmente, si
evince che sussistesse l’inserimento della A. nella organizzazione della ditta
di cui il D. era titolare, mediante la messa a disposizione, in favore della
medesima, delle proprie energie lavorative (operae) ed iI contestuale
assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro (ex multis, Cass. nn. 12926/1999; 5464/1997; 2690/1994; e, più
di recente, Cass. n. 4770/2003; 5645/2009). Al
riguardo, si osserva che i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che la
A. ha fornito elementi dai quali emergono i connotati tipici di un rapporto di
lavoro subordinato (si veda, in particolare, pagg. 6-12 della sentenza
impugnata): tra i detti elementi, in particolare, sono state esaminate
analiticamente le fatture, firmate dalla dipendente in qualità di
«destinatario» per conto della ditta, considerate «un sicuro indice
dell’esistenza tra le parti di un rapporto lavorativo molto più pregnante e
qualitativo della semplice adibizione a lavori di semplice pulizia», questi
ultimi soltanto ammessi dal datore di lavoro; inoltre, nella sentenza oggetto
del presente giudizio, si riscontra un esame approfondito delle dichiarazioni
rese dai testi escussi, addotti da entrambe le parti, all’esito del quale, si è
pervenuti a ritenere il «quadro probatorio imponente» ai fini della delibazione
della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nei termini dedotti
dalla A., anche in considerazione dell’assenza di elementi che inducano a dubitare
dell’attendibilità dei testimoni (v. pagg. 9-11 della sentenza); peraltro, la
valutazione delle emergenze istruttorie, alla stregua delle quali il giudice di
merito ha operato la qualificazione del rapporto controverso, implica un
apprezzamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità se sorretta,
come nel caso di specie, da motivazioni ed argomenti esaurienti ed immuni da
vizi logici e giuridici (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 21424/2015; 14160/2014);

che il secondo motivo è inammissibile, in quanto,
come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della
riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella «mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione
apparente», nel <<contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili>> e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
«sufficienza» della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata
depositata, come riferito in narrativa, in data 11.6.2014, nella fattispecie si
applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art.
360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la
sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio
motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere
di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la
Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento,
alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza
«così radicale da comportare>> in linea con «quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza
per mancanza di motivazione». E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la
riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza,
rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del
percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato
condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del
tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, ai sensi dell’art. 348-ter, co. 4 e 5, del codice di rito, «in
caso di doppia conforme, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto
operata dai giudici di merito, sicché il sindacato di legittimità del  provvedimento di primo grado è possibile
soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi
del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro
manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente
incomprensibili» (così testualmente – e tra le molte -, Cass., Sez. VI, n.
26097/2014); che, pertanto, in tali ipotesi, «il ricorso per cassazione può
essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4)
del primo comma dell’art. 360»; e tale disposizione,
inserita dall’art. 54, co. 1,
lett. a), del Dl. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella I. 7.8.2012, n. 134, è applicabile al caso di
specie, ai sensi del co. 2 dello stesso articolo (che stabilisce che le norme
in esso contenute si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso
depositato dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della
legge di conversione del citato decreto), essendo stato introdotto il gravame
con atto in data 29.3.2013;

che, per le osservazioni svolte, i motivi di ricorso
non sono in grado di scalfire l’iter motivazionale posto a base della decisione
oggetto del giudizio di legittimità;

che nulla va disposto in ordine alle spese, poiché
la A. non ha svolto attività difensiva;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso articolo 13.

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