Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 febbraio 2020, n. 4871
Licenziamento per giusta causa, Divieto di eseguire
interrogazioni sui conti correnti non sostenute da ragioni di servizio,
Pregiudizio alla riservatezza e alla sicurezza della clientela, Idonea notizia
al lavoratore delle modalità d’uso degli strumenti di lavoro
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1997/2018, depositata il 15
maggio 2018, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza, con la
quale il Tribunale della stessa sede aveva dichiarato legittimo il
licenziamento per giusta causa intimato a D.C., con lettera del 19 ottobre
2015, dalla Banca Popolare di M. soc. coop. a r.l. per avere la lavoratrice, in
data 3 e 6 agosto 2015, mentre era temporanea “referente” di
un’agenzia, effettuato interrogazioni di conti correnti non giustificate da
ragioni di servizio.
2. La Corte di appello ha, in primo luogo, rilevato
a sostegno della propria decisione che era da considerarsi accertato, sulla
base dei documenti prodotti e delle dichiarazioni testimoniali, il corretto
adempimento, da parte della Banca, dell’obbligo informativo di cui al comma 3
dell’art. 4 I. n. 300/1970,
come sostituito dall’art. 23
d.lgs. n. 151/2015, in tema di modalità d’uso degli strumenti informatici,
a protezione dei dati personali dei clienti, e di effettuazione dei controlli
sui dipendenti incaricati del loro trattamento; ha inoltre ritenuto che i fatti
ascritti fossero stati dimostrati nella loro sussistenza e gravità e che essi,
esclusa la possibilità di applicare una sanzione conservativa, risultassero
tali da giustificare l’intimato licenziamento per giusta causa, avuto riguardo
alla rilevanza del divieto di eseguire interrogazioni sui conti correnti non
sostenute da ragioni di servizio, come egualmente era da considerarsi accertato
nel caso di specie, in quanto divieto volto a prevenire pregiudizi alla
riservatezza e alla sicurezza della clientela ed il rischio di azioni
risarcitorie per l’ipotesi di condotte lesive di tali beni.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza la lavoratrice con tre motivi, cui ha resistito il Banco BPM S.p.A.,
società nata dalla fusione tra l’originaria convenuta e il Banco Popolare soc.
coop..
4. La Banca Popolare di M. S.p.A., terza chiamata
nel giudizio di appello, è rimasta intimata.
5. La ricorrente e Banco BPM hanno depositato
memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2119 e 2103, comma 3, cod. civ. nonché la violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., la ricorrente
censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello ritenuto
sussistente la giusta causa di licenziamento senza esaminare la questione,
espressamente posta con il ricorso in appello, della novità dell’incarico di
“referente” di agenzia, nel corso del quale si erano verificati i
fatti oggetto di contestazione, e della mancanza di formazione (obbligatoria)
della dipendente allo svolgimento di tale incarico.
2. Con il secondo motivo, deducendo i vizi di cui ai
nn. 4 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., la
ricorrente si duole dell’omesso esame del fatto decisivo, oggetto di
discussione tra le parti, costituito dalla novità dell’incarico di
“referente” e dalla mancanza della formazione necessaria
all’espletamento delle relative mansioni.
3. Con il terzo motivo viene denunciata la
violazione e falsa applicazione dell’art. 4 I. n. 300/1970 nonché
l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) per avere la Corte
di appello erroneamente ritenuto adeguata la nota prodotta in giudizio dal
datore di lavoro, ai fini della dimostrazione dell’intervenuto adempimento
dell’obbligo informativo, sebbene detta nota, da un lato, fosse antecedente
l’entrata in vigore della norma nella sua nuova formulazione e, dall’altro,
riguardasse le modalità di effettuazione dei controlli sui dipendenti ma non
anche le modalità di uso degli strumenti di lavoro.
4. Il primo e il secondo motivo, da esaminarsi
congiuntamente in quanto connessi, non possono trovare accoglimento.
5. Essi infatti, nella loro comune premessa (e cioè
la mancata considerazione, da parte del giudice di merito, della novità
dell’incarico di “referente” e dell’assenza di formazione
professionale necessaria al suo corretto svolgimento), difettano di
riferibilità rispetto alla decisione impugnata, là dove la Corte di appello –
all’esito di un ampio esame delle risultanze di causa, sia di fonte
documentale, sia tratte dall’istruzione probatoria – ha accertato, a sostegno
della ritenuta legittimità del licenziamento, come la datrice di lavoro avesse
assolto l’obbligo di informazione di cui all’art. 4, comma 3, I. n. 300/1970,
come sostituito dall’art. 23
d.lgs. n. 151/2015, il quale prevede l’utilizzabilità, “a tutti i fini
connessi al rapporto di lavoro”, delle informazioni raccolte ai sensi dei
precedenti commi 1 e 2, purché sia fornita idonea notizia al lavoratore delle
modalità di uso degli strumenti di lavoro “e di effettuazione dei
controlli”, nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs.
30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati
personali”): obbligo di informazione specificamente assolto dalla Banca
nei confronti della generalità dei propri dipendenti, indipendentemente dalla
loro qualifica, attività o funzione, stabile o temporanea (secondo quanto
emerge con chiarezza nell’ambito dell’accertamento svolto: cfr. pp. 10-12), e
ciò in ragione della stretta ed essenziale inerenza all’attività bancaria, nel
complesso delle sue funzioni, della tutela della riservatezza della clientela e
del rischio diffuso di indebiti accessi alle relative posizioni tramite
l’utilizzo dei sistemi informatici.
6. E’ conseguente a tali rilievi la radicale assenza
di “decisività”, con riguardo al secondo motivo, di entrambi i fatti,
il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito, posto che né la
“novità” dell’incarico, né la più volte sottolineata carenza di
“formazione” della ricorrente, potrebbero – ove pure oggetto di
considerazione – sovvertire la conclusione, cui lo stesso giudice è pervenuto,
non inserendosi nella ricostruzione del processo informativo seguito
dall’azienda nei confronti dei propri dipendenti per renderli edotti delle
modalità di controllo dell’utilizzo degli strumenti informatici.
7. Anche il terzo motivo di ricorso non può trovare
accoglimento. 8. La norma, di cui al comma 3 dell’art. 4 I. n. 300/1970, nella
sua nuova formulazione, contiene invero la sola previsione della utilizzabilità
delle informazioni raccolte ai sensi dei precedenti commi 1 e 2, per tutti i
fini connessi al rapporto di lavoro, “a condizione che sia data al
lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di
effettuazione dei controlli”, senza alcuna distinzione – purché ne sia
accertata l’idoneità – tra informative precedenti e posteriori all’entrata in
vigore del d.lgs. n. 151/2015: con la
conseguenza che l’invocato affidamento su di una futura e successiva condotta
del datore di lavoro, volta a dare esecuzione alla norma sopravvenuta, non può
che risolversi in una condizione di mero fatto, estranea al perimetro
applicativo della norma, e che la sentenza impugnata, ritenendo ininfluente il
tempo in cui si è realizzata l’informativa, si sottrae chiaramente alla censura
che con il profilo in esame le viene mossa.
9. Il motivo deve essere disatteso anche nel secondo
profilo dedotto, risolvendosi in un diverso apprezzamento di fatto circa
l’adeguatezza dell’informativa, che la Corte di merito ha esattamente
ricondotto, in relazione alle peculiarità del caso concreto, all’esigenza che
al dipendente sia data comunicazione “del tipo e della finalità del
controllo, in modo che quest’ultimo possa averne consapevolezza e regolarsi di
conseguenza” (cfr. sentenza, p. 12).
10. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio nei confronti della controricorrente, spese
liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi
professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
ove dovuto.