Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 febbraio 2020, n. 4886

Pensione di anzianità, Rivalutazione contributiva per
I’esposizione ad amianto ex art. 13,
co. 8, L. n. 257/1992, Mancata presentazione della domanda amministrativa
– Domanda di condanna dell’Inps al risarcimento del danno, patrimoniale e non,
Non sussiste, Perdurante attività lavorativa, Necessaria allegazione e prova
del danno

 

Fatti di causa

 

1. Il signor S.G. presentava all’Inps In data
28/9/2006 domanda di pensione di anzianità, all’esito della quale questa veniva
riconosciuta con decorrenza dal 1/6/2009, non tenendosi conto della
rivalutazione contributiva per I’ esposizione ad amianto ex art. 13 comma 8 della I. n. 257 del
1992 che era stata giudizialmente riconosciuta con sentenza del Tribunale
di Potenza del 2006.

2. All’esito del ricorso presentato al Giudice del
lavoro di Potenza nel 2010, il Tribunale dichiarava il diritto del ricorrente
al trattamento pensionistico a far data dal 28/9/2006, tenendosi conto della
rivalutazione contributiva già riconosciuta, e condannava l’INPS al
risarcimento del danno in favore del ricorrente in misura pari all’ammontare
dei ratei di pensione maturati da tale data fino al 31/5/2009, oltre interessi
legali da tale data al saldo.

3. La Corte d’appello di Potenza, in riforma della
sentenza del Tribunale, rigettava la domanda presentata dal G..

La Corte argomentava che doveva essere disattesa
I’eccezione dell’INPS di inammissibilità e improcedibilità della domanda per
mancata presentazione della domanda amministrativa e per mancato esperimento
dell’iter amministrativo di pensione, argomentando che la domanda azionata in
primo grado non era di accertamento del diritto alla prestazione di previdenza
obbligatoria, bensì una domanda di condanna dell’ente al risarcimento del danno
determinato dalla colpevole la condotta dell’INPS di mancato riconoscimento del
diritto alla rivalutazione della posizione contributiva. Riteneva tuttavia che
nessun danno patrimoniale potesse essere riconosciuto, in quanto il G. fino a
tutto il 2009 aveva continuato a lavorare, né l’appellante aveva allegato la
concreta sussistenza della probabilità di avviare un’attività autonoma o di
intraprendere un nuovo rapporto di lavoro subordinato dopo la maturazione della
pensione.

4. Negava altresì la riconoscibilità di un danno non
patrimoniale, argomentando che tale danno non si pone quale conseguenza
automatica di ogni comportamento illegittimo, gravando sul ricorrente l’onere
non solo di allegare la condotta colposa ma anche di fornire la prova del danno
e del nesso di causalità con l’inadempimento. Aggiungeva che la pretesa di
liquidazione di danno patrimoniale e non patrimoniale rivelava una
contraddizione in termini, nella misura in cui presupponeva da un lato un
pregiudizio economico da impossibilità di cumulare pensione e reddito per un
nuovo lavoro e dall’altro un pregiudizio morale per mancato godimento della
quiescenza.

5. Per la cassazione della sentenza S.G. ha proposto
ricorso, affidato a tre motivi, cui ha resistito l’Inps con controricorso.

6. S.G. ha depositato anche memoria ex 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

7. Il ricorrente deduce come primo motivo la
violazione e falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c. e l’errata qualificazione della domanda giudiziale avanzata dal
signor G., nonché I’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia. Sostiene di aver introdotto due domande,
di cui la prima, concorrente ed autonoma rispetto a quella risarcitoria, era di
accesso alla pensione di anzianità per raggiunti limiti contributivi utili.
Lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di esaminare tale domanda, senza
logica e adeguata motivazione.

8. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa
applicazione di norme di diritto nonché I’ omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Lamenta
il mancato riconoscimento del danno patrimoniale, argomentando di non aver mai
lamentato di non aver potuto cumulare la quiescenza anticipata con un nuovo
lavoro, ma di avere svolto le proprie richieste esclusivamente affinché la
propria posizione contributiva fosse rivalutata in maniera aderente a quanto
statuito con la sentenza del 2006 del Tribunale di Potenza e per poter godere
della pensione spettante dopo tanti anni di lavoro. Sostiene che il danno
patrimoniale nel caso di specie sarebbe stato in re ipsa, dal momento che il
comportamento illegittimo dell’INPS e il ritardo nel riconoscere la pensione
avevano comportato un danno economico derivante: dal mancato godimento della
pensione e della sua rivalutazione, dall’aver dovuto inoltrare numerose
richieste e reclami in via amministrativa dal 2001 al 2009, dall’aver dovuto
introdurre un primo giudizio nel 2004 concluso con una prima sentenza di
accoglimento del 2006 confermata in sede di appello nel 2009, e ciò a
prescindere dalla circostanza che egli avesse continuato o meno lavorare e
percepire reddito.

9. Come terzo motivo deduce l’omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in
particolare in relazione al mancato riconoscimento del diritto al risarcimento
del danno non patrimoniale derivante dal non aver potuto adottare una legittima
scelta di vita, con lesione di diritti costituzionalmente garantiti quali
quelli alla salute e alla pensione.

10. Il primo motivo non è fondato: questa Corte ha
da tempo consolidato il principio secondo cui il giudice del merito,
nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle
domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore
letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso,
avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come
desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte
istante (così, tra le più recenti, Cass. n. 21087 del 2015).

11. Nel caso, la Corte ha premesso che circostanza
pacifica era che il G. avesse continuato a lavorare sino al 2009. Tale
accertamento fattuale non è contrastato in ricorso, ove al contrario si
conferma (pg. 6) che il ricorrente ha lavorato dal novembre 1974 al 31.5.2009,
pur con diversi periodi di mobilità e cassa integrazione. Non rileva quindi in
senso ostativo la circostanza, valorizzata solo nella memoria ex art. 378 c.p.c., che il G. abbia percepito
l’indennità di disoccupazione per il periodo dal 1997 al 2001.

12. Dalla esposta premessa la Corte ha fatto
discendere che non potesse essere richiesta e accolta una domanda che
accertasse con data anteriore al 2009 il collocamento in quiescenza, attesa la
perdurante attività lavorativa, sicché l’accertamento del diritto al
collocamento in quiescenza da data anteriore al 2009 poteva determinare
unicamente il diritto al risarcimento dei danni.

13. Coerentemente dunque la Corte territoriale ha
ritenuto che il contenuto della pretesa fatta valere dall’odierno ricorrente
avesse natura sostanzialmente risarcitoria, sol che si pensi che ancora nel
ricorso introduttivo della presente fase di legittimità il ricorrente ha
sostenuto (pg. 10) che i ratei di pensione asseritamente dovutigli e non
percepiti costituivano «il parametro di riferimento per determinare e
quantificare il danno» da lui patito per non aver potuto godere della pensione
prima del 1/6/2009, epoca in cui gli era stata effettivamente riconosciuta.

14. Parimenti infondato è il secondo motivo di
ricorso.

Il danno patrimoniale non poteva essere collegato
tout court al mancato conseguimento della pensione, considerato che essa non
avrebbe potuto essere erogata in costanza di attività lavorativa e che la
protrazione dell’attività lavorativa di per sé non era stata causa di perdita
patrimoniale. Indipendentemente dalle considerazioni svolte dalla Corte
territoriale circa l’impossibilità di cumulare la pensione di anzianità con la
retribuzione da lavoro dipendente, ciò che rileva in specie è che i giudici di
merito abbiano ritenuto che il pregiudizio patrimoniale lamentato in giudizio
non avesse formato oggetto di compiuta allegazione e prova (cfr. pag. 8 della
sentenza impugnata): e che si tratti di affermazione corretta, prima ancora che
incontestabile in questa sede di legittimità (salvo che per omesso esame circa
un fatto decisivo, che qui non ricorre), emerge dall’assunto perorato anche nel
presente giudizio di cassazione secondo cui il danno patrimoniale, nel caso di
specie, sarebbe in re ipsa, discendendo dal mancato godimento della pensione,
dall’avere il ricorrente dovuto inoltrare richieste e reclami in via
amministrativa dal 2001 al 2009 e dall’aver dovuto introdurre un primo giudizio
per il riconoscimento dei benefici rivendicati e ingiustamente negati
dall’INPS, e dovrebbe pertanto prescindere dalla circostanza che egli abbia nel
frattempo continuato o meno a lavorare autonomamente e a produrre reddito (così
il ricorso per cassazione e la memoria ex art. 378
c.p.c., pag. 12).

15. Questa Corte di legittimità ha costantemente
escluso che una domanda risarcitoria di un danno patrimoniale possa prescindere
dall’allegazione e prova del danno, sulla scorta della chiara disposizione
contenuta nell’art. 1223 c.c.; la nozione di
danno in re ipsa perviene infatti ad identificare il danno con l’evento dannoso
e a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto
sia con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui ciò che rileva
ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato,
sia con l’ulteriore e più recente precisazione secondo cui un danno punitivo
può essere ritenuto compatibile con l’ordinamento vigente solo in caso di sua
espressa previsione normativa, in applicazione dell’art.
23 Cost. (così da ultimo Cass. n. 31233 del 2018, dove il richiamo a Cass. S.U. nn. 26972 del 2008 e 16601 del 2017).

16. Tali considerazioni depongono per I’
infondatezza anche del terzo motivo di ricorso.

Questa Corte nella sentenza
n. 3023 del 2010 ha chiarito che qualora il lavoratore, a causa
dell’illegittimo diniego della domanda di pensionamento, sia costretto a
protrarre la propria attività lavorativa, è configurabile un danno non
patrimoniale risarcibile, determinato dalle ripercussioni di segno negativo
conseguenti alla condotta dell’ente previdenziale che ha causato la lesione di
specifici interessi costituzionalmente protetti, fra cui quello di poter
realizzare liberamente una propria legittima scelta di vita.

17. Il danno da ritardato pensionamento rientra
nella categoria unitaria del danno non patrimoniale, potendo poi essere
specificato nella sua accezione di danno esistenziale (quando il lavoratore non
ha potuto realizzare sé stesso nella propria scelta di vita legata alla volontà
di andare in pensione) e/o di danno biologico (quando il pregiudizio è
consistito in una vera e propria lesione dello stato di salute e benessere
psico-fisico).

18. Incombe però sul lavoratore, in ossequio ai
principi generali sopra esposti e richiamati anche dal giudice di merito,
dimostrare, oltre alla colpa dell’istituto previdenziale, che il ritardato
pensionamento ha provocato un danno, non potendosi configurare secondo i
principi del nostro ordinamento giuridico, di un danno risarcibile in re ipsa
in ragione degli imprescindibili oneri di allegazione e di prova che gravano
sul soggetto che vanti pretese risarcitorie, come già chiarito dalle Sezioni
Unite con la pronuncia n. 26972/08 sopra richiamato e dai successivi arresti
conformi.

19. Nessuna dispensa dall’onere probatorio circa la
sussistenza del danno non patrimoniale può quindi ricavarsi da Cass. n. 3023 del 2010, essendosi questa Corte
colà pronunciata esclusivamente sull’astratta configurabilità di un danno non
patrimoniale alla persona che, a causa del ritardo nella concessione della
prestazione pensionistica, non aveva potuto esercitare una legittima scelta di
vita, ciò che nella specie non è stato negato in radice, ma semplicemente
ritenuto non provato (così la sentenza impugnata, pagg. 8-9).

20. Il ricorso, pertanto, va rigettato.

21. Le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

22. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente
alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in €
3.500,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali
al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 febbraio 2020, n. 4886
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