Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 5041

Impiego lavoratori dipendenti non risultanti da scritture o da
altra documentazione obbligatoria, Sanzione amministrativa, Irrogazione,
Competenza, Agenzia delle entrate, Direzione Provinciale del lavoro

Rilevato che

 

1. Con ricorso del 24.7.2008 A.A. proponeva, innanzi
al Tribunale di Catania, Sezione di Giarre, opposizione avverso l’atto di
irrogazione delle sanzioni n. RJALST100010/2008, con il quale l’Agenzia delle
Entrate di Giarre, ai sensi dell’art.
3 comma 3 D.L. 22.2.2002 n. 12 conv. dalla legge
23.4.2002 n. 73, aveva irrogato una sanzione amministrativa di euro
76.782,00 per avere il suddetto ricorrente impiegato lavoratori dipendenti non
risultanti da scritture o da altra documentazione obbligatoria.

2. Nel contraddittorio delle parti l’adito
Tribunale, con la pronuncia n. 110 del 2010, accoglieva l’opposizione
dichiarando l’incompetenza dell’Ente intimante (Agenzia delle Entrate) per
essere, invece, competente ad irrogare la sanzione, ai sensi della legge n. 248 del 2006, art. 36 bis
comma 7 lett. B, la Direzione Provinciale del lavoro territorialmente
competente.

3. Proposto appello dalla Agenzia delle Entrate, la
Corte di appello di Catania, con la sentenza n. 1405 del 2013, in riforma della
pronuncia di prime cure, ha rigettato l’originaria opposizione presentata da
A.A., condannandolo anche al pagamento delle spese del doppio grado.

4. La Corte territoriale ha rilevato che, ai sensi
dell’art. 1 comma 54 della legge
di conversione n. 247/2007, correttamente l’adozione dei provvedimenti
sanzionatori era stata disposta dall’Agenzia delle Entrate; inoltre, ha
sottolineato che, in ordine alla applicabilità della sospensione dei termini di
cui all’art. 5 dell’ordinanza del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 29.11.2002 n. 3254 (che secondo
la tesi dell’A. avrebbe dovuto determinare l’annullamento della opposta
ingiunzione perché, nel frattempo, era stata effettuata la regolarizzazione
della posizione dei lavoratori con decorrenza 7.12.2002), in primo luogo
l’appellato (A.) non aveva censurato, con appello incidentale, la omessa
statuizione sul punto del primo giudice; in secondo luogo, la questione di cui
si contro verteva, non atteneva al versamento da parte del datore di lavoro dei
contributi previdenziali nell’ambito delle scadenze previste dalla legge, bensì
al pagamento della sanzione che conseguiva al mancato assolvimento del detto
obbligo previdenziale, la cui sussistenza non era stata mai contestata.

Infine, è stata ritenuta nuova l’eccezione di
prescrizione relativa all’art.
28 della legge n. 689/1981 in quanto in contrasto con l’art. 345 co. 1 cpc, mentre è stata considerata
corretta la quantificazione dell’importo ingiunto.

5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione A.A. affidato a cinque motivi cui ha resistito con
controricorso l’Agenzia delle Entrate e del Territorio con controricorso.

6. Il PG ha rassegnato conclusioni scritte
concludendo per il rigetto del ricorso.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente censura la
statuizione del primo giudice, in ordine alla questione della sospensione dei
termini evidenziando che la sua azienda aveva sede nel Comune di Piedimonte
Etneo, colpito dagli eventi eccezionali verificatisi nel 2002 e, precisamente,
dal 29.10.2002, mentre l’inizio dell’attività con i dipendenti è stata
successiva, ossia in data 7.12.2002 in quanto solo in data 3.12.2002 il Comune
aveva rilasciato la necessaria licenza per l’esercizio del ristorante pizzeria
e alla data dell’accesso ispettivo del 4.2.2003 era in corso la sospensione di
qualsiasi adempimento di natura amministrativa disposto dal 29.10.2002 al
30.3.2004.

3. Con il secondo motivo si invoca l’illegittimità
del comma 7, aggiunto con la legge n. 247 del 2007,
all’art. 36 bis del D.L. n. 223 del
2006, per violazione del principio di irretroattività della disposizione
tanto è che, con l’art. 4 co.
3 del Collegato lavoro (legge n. 183 del 2010)
il termine “contestate” era stato sostituito con quello
“commesse”.

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che, in
relazione alla eccezione di prescrizione, la stessa, fondata sul fatto che il
verbale era stato redatto il 4.2.2003 e l’atto di ingiunzione era stato
notificato in data 27.6.2008, si era verificata , non essendo stato prodotto
alcun atto interruttivo e potendo essere eccepita anche per la prima volta in
appello.

5. Con il quarto motivo si denunzia, in ordine alla
questione sulla quantificazione della sanzione, che il giudice aveva trattato
con superficialità il problema omettendo di valutare le prove documentali da
cui si desumeva l’infondatezza, sotto il profilo della responsabilità, della
condotta e la non corretta quantificazione che avrebbe dovuto essere limitata
dal 3.12.2002 (giorno in cui era stata rilasciata la licenza del Comune) al
7.12.2002 (giorno di assunzione riferito al primo giorno in cui l’attività di
ristorante era iniziata).

6. Con il quinto motivo, testualmente, il ricorrente
si limita a sostenere: «chiaramente sulle spese è inutile qualsiasi
dissertazione».

7. Il ricorso non è meritevole di accoglimento
presentando molteplici profili di inammissibilità.

8. In particolare, in tutti i motivi manca
l’indicazione di parametri normativi entro cui veicolare le doglianze.

9. Il giudizio di cassazione, infatti, è un giudizio
a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono
trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di
cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un
controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di
riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass. n. 25332 del 2014; Cass. n. 6519 del 2019).

10. Nel caso in esame, è assente il riferimento alla
tipologia del singolo motivo di censura (che assume funzione identificativa
condizionata della sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi
tassative formalizzate dal codice di rito cfr. Cass. n. 19959 del 2014) di
talché il ricorso, solo per questo, è inammissibile.

11. A ciò va, poi, aggiunto, con riguardo al primo
motivo, che la gravata pronuncia è fondata su una dupliceratio decidendi;
ciascuna idonea da sola a sorreggere la decisione: la prima fondata sulla
circostanza che, sul punto della applicabilità della sospensione dei termini,
la omessa statuizione del primo giudice non era stata impugnata con l’appello
incidentale; la seconda, basata sul fatto che la sospensione dei termini veniva
invocata non in relazione al versamento dei contributi previdenziali bensì con
riguardo al pagamento della sanzione.

12. Solo detta ultima ‘ratio ‘è stata impugnata per
cui, anche in ipotesi di accoglimento della censura, essendo divenuta
definitiva la prima autonoma motivazione non impugnata, comunque non si
potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. n. 3386
del 2011).

13. E’, pertanto, ravvisabile un profilo di carenza
di interessi (Cass n. 22753 del 2011).

14. Il secondo motivo non è accoglibile in quanto,
in materia di sanzioni amministrative pecuniarie, non trova applicazione il
principio di retroattività della legge più favorevole, previsto dall’art. 3 del D.Igs. n. 472 del 1997
con riguardo alle infrazioni valutarie e tributarie, in quanto il differente e
più favorevole trattamento, non irragionevolmente riservato dal legislatore
alla disciplina di tali infrazioni, trova fondamento nella innegabile
peculiarità sostanziale che caratterizza le rispettive materie.

15. Il terzo motivo, oltre a presentare carenze di
specificità perché non viene riportato il testo degli atti e dei documenti da
cui rilevare gli elementi di fatto indicati nella censura, contrasta con il
principio espresso in sede di legittimità (Cass. n. 6519 del 2005) circa la
tardività della eccezione di prescrizione, in tema di giudizio di opposizione
ad ordinanza-ingiunzione, non formulata nel ricorso in opposizione bensì
successivamente.

16. Con riguardo al quarto motivo, deve rilevarsi
che, con lo stesso, si chiede in sostanza una rivisitazione del merito della
vicenda, attraverso la doglianza relativa ad una omessa valutazione delle prove
che non è consentita in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 27197 del 2011;
Cass. n. 6694 del 2009).

17. Il quinto motivo è inammissibile perché, come
testualmente formulato (e riportato nello storico), non è individuabile la
censura, che si intende muovere alla sentenza impugnata.

18. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve,
pertanto, essere dichiarato inammissibile.

19. Alla declaratoria di inammissibilità segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità che si liquidano come da dispositivo.

20. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del
presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi,
oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi
liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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