Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 5049
Prepensionamento, Indennità mensile, Computo, Retribuzione
globale di fatto, Lavoro supplementare
Rilevato che
1. A.C., dopo avere lavorato presso l’EMS fino al
31.10.1986, fu posto in prepensionamento sulla base delle leggi regionali in
materia;
l’art. 6, co. 2, Legge Regione Sicilia 42/1975
prevedeva in particolare che al personale prepensionato fosse corrisposta
un’indennità mensile pari all’80% della retribuzione globale di fatto, da
determinarsi, secondo quanto poi stabilito dall’art. 10 Legge Regione Sicilia
46/1984, sulla base della retribuzione percepita in uno dei mesi precedenti la
risoluzione del rapporto di lavoro «secondo richiesta dell’interessato»;
il C., su tali basi normative, ha quindi ottenuto
dal Pretore di Agrigento, sez. distaccata di Casteltermini, la declaratoria,
nei confronti dell’EMS, del diritto ad avere computato nella base di calcolo
del predetto assegno il compenso mensile per il lavoro supplementare svolto nel
mese prescelto di giugno 1986;
tale sentenza passava in giudicato e l’EMS
provvedeva al pagamento del dovuto calcolato sulla base di otto ore di lavoro
supplementare, ma il C., sul presupposto che nella motivazione la sentenza
pretorile aveva fatto riferimento ad un lavoro supplementare di 24 ore, ha
intimato precetto nei confronti di R. s.p.a.. medio tempore subentrata nella
gestione delle predette indennità;
2. R. proponeva opposizione al menzionato precetto,
che veniva, per quanto qui interessa, respinta dal Tribunale di Palermo, con
pronuncia poi riformata dalla Corte d’Appello della stessa città, che la
accoglieva, dichiarando la nullità del precetto e l’illegittimità della
procedura esecutiva intrapresa dal C.; la Corte territoriale valorizzava
l’autonomia del dispositivo nel rito del lavoro e sosteneva che la
determinazione quantitativa contenuta nella motivazione non potesse valere alla
pretesa determinazione delle giornate da contabilizzare, in quanto tale dato
numerico era incompatibile con la produzione documentale, acquisita nel corso
del processo svoltosi davanti al Pretore di Agrigento, ove erano indicate otto
ore di lavoro supplementare;
3. il C. ha proposto ricorso per cassazione sulla
base di cinque motivi, resistiti da controricorso di R. s.p.a.
Considerato che
1. con il primo motivo, formulato ex 360 n. 3 c.p.c. il ricorrente adduce la violazione
e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. e dei principi in materia di giudicato,
perché la Corte d’Appello in luogo di interpretare il titolo esecutivo aveva
effettuato un nuovo accertamento dei fatti posti a fondamento della sentenza
pretorile azionata;
il secondo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., afferma l’errata
applicazione degli artt. 429 e 474 c.p.c., per essere stato mal governato il
principio secondo cui il dispositivo avrebbe prevalenza sulla motivazione,
valendo altresì il concomitante principio per cui quanto stabilito nel
dispositivo dovrebbe essere coordinato con quanto enunciato in motivazione; il
terzo motivo denuncia invece la violazione dell’art.
112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) per non
avere la Corte di merito pronunciato sull’eccezione di giudicato formulata dal
C. nel giudizio di appello e argomentata sulla base del complessivo contenuto
di dispositivo e motivazione;
il quarto motivo afferma invece che la sentenza
impugnata sarebbe nulla per violazione dell’art.
132 n. 3 c.p.c., stante l’omessa o incompleta trascrizione delle
conclusioni assunte dall’appellato, cui era poi conseguito l’omesso esame delle
eccezioni dal medesimo proposte;
infine, il quinto ed ultimo motivo è rubricato sub art. 360 n. 5 c.p.c., sostenendosi che la Corte
territoriale, nel ripercorrere il giudizio di merito svolto dal Pretore avesse
erroneamente fatto riferimento soltanto alle risultanze del cedolino paga di
giugno 1986, trascurando altri elementi considerati nella sentenza posta in
esecuzione a fondamento della decisione, tra cui la nozione di retribuzione
globale di fatto e gli elementi della continuità e stabilità della
retribuzione;
2. i primi tre motivi di ricorso, da esaminare
congiuntamente stante la loro connessione, sono fondati ed il loro accoglimento
comporta l’assorbimento del quarto e del quinto motivo;
deve peraltro premettersi, per ragioni di
completezza, che R. ha legittimazione passiva rispetto all’esecuzione forzata
e, consequenzialmente, legittimazione attiva rispetto al presente giudizio di
opposizione a precetto, essendo subentrata all’Assessorato regionale
dell’industria che a propria volta era subentrato ad EMS nella gestione delle
situazioni attinenti alle indennità di prepensionamento (art. 119 L. Regione Sicilia 4/2003,
su cui v. anche Cass. 11 luglio 2005, n. 14497);
3. ciò posto, l’oggetto del contendere si pone
all’intersezione dei due temi relativi, da un lato, al rapporto tra dispositivo
e motivazione nel rito del lavoro e, dall’altro, ai poteri di interpretazione
del titolo sulla base di elementi extratestuali da parte del giudice
dell’esecuzione o dell’opposizione all’esecuzione;
4. in merito al rapporto tra dispositivo e
motivazione nel rito del lavoro non vi è dubbio che il primo si caratterizzi,
consequenzialmente alla sua lettura in udienza, per autonomia ed intangibilità;
la regola di interpretazione complessiva della
sentenza attraverso lettura congiunta di dispositivo e motivazione non vale
soltanto nel rito ordinario (tra le molte: Cass. 17 luglio 2015, n. 15088;
Cass. 11 luglio 2007, n. 15585), ove indubbiamente essa è avvalorata dalla
portata meramente interna del procedimento in camera di consiglio, da cui è
naturale inferire, stante la possibilità di revisione delle decisioni fino al
momento della pubblicazione, l’esistenza di una stringente coerenza volitiva
tra dispositivo e motivazione; in effetti, anche nel rito del lavoro,
allorquando vi sia compatibilità tra il dispositivo letto in udienza e tratti
integrativi di esso eventualmente contenuti nella motivazione, va data
prevalenza ad una lettura coordinata dell’uno e dell’altro (v. sul punto, Cass.
21 giugno 2016, n. 12841, poi seguita, tra le altre, da Cass. 21 aprile 2017,
n. 10150 e Cass. 9 agosto 2019, n. 21301, nonché, in precedenza, Cass. 5 aprile
2004, n. 6635), essendo in tal caso anche la motivazione munita di idoneità
precettiva (Cass. 7 marzo 2017, n. 5703) e ciò certamente anche al fine di
fornire precisazione quantitativa della portata di quanto stabilito in dispositivo
(Cass. 10150/2017 cit.; Cass. 2 agosto 2003, n. 11779);
la predetta compatibilità esclude infatti che si
possa ritenere violata la ratio sottesa al valore preminente del dispositivo
nel rito speciale, da ravvisare nell’evitare che la decisione possa essere
modificata sulla base di ripensamenti postumi rispetto alla volontà quale
formata immediatamente in esito alla discussione orale della causa e
corrisponde senza dubbio, evitando il rischio di ulteriori giudizi sui profili
incerti, a palesi esigenze di economia processuale; è invece solo l’insanabile
ed irriducibile incoerenza tra motivazione e dispositivo a comportare la
nullità della sentenza oppure (in caso di azione esecutiva intentata in
pendenza dei termini o del giudizio di impugnazione o in caso di passaggio in
giudicato della pronuncia senza rimedio al contrasto) la prevalenza del
dispositivo (tra le molte: v. Cass. 28 maggio 2004, n. 10376; Cass. 20
settembre 2003 n. 13976; Cass. 11 maggio 2002, n. 6786);
pertanto, in mancanza di tale assoluta incoerenza,
sia la portata del giudicato, sia gli effetti esecutivi della sentenza sono da
trarre sulla base di una valutazione complessiva dell’atto;
5. si pone tuttavia a questo punto un diverso
problema, consistente nella possibilità del giudice dell’esecuzione (o di
opposizione alla stessa) di interpretare la sentenza sulla base di elementi
extratestuali, come di fatto è accaduto nel caso di specie, ove la Corte
d’Appello, in sede di opposizione a precetto, ha affermato che, sulla base di
un documento del giudizio di merito (lo statino paga di giugno 1986), il titolo
andava inteso come limitato alle 8 ore di lavoro supplementare pagate dall’EMS
prima dell’inizio dell’azione esecutiva; in proposito va condiviso, a seguito
di Cass., S.U., 2 luglio 2012, n. 11066 il principio per cui «il titolo
esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474,
secondo comma, n. 1, c.p.c., non si identifica, né si esaurisce, nel
documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo
consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento, sulla base degli
elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato. Ne
consegue che il giudice dell’opposizione all’esecuzione non può dichiarare
d’ufficio la illiquidità del credito, portato dalla sentenza fatta valere come
titolo esecutivo, senza invitare le parti a discutere la questione e a
integrare le difese, anche sul piano probatorio» (conformi, poi, Cass. 21
dicembre 2016, n. 26567; Cass. 1 ottobre 2015, n. 19641; Cass. 31 ottobre 2014,
n. 23159; fa sostanziale applicazione del medesimo principio anche Cass. 7 agosto 2019, n. 21165); come anche va
ammesso che, in sede esecutiva, «se nessuna delle parti si avvale del procedimento
di correzione, non è preclusa la possibilità di cogliere ed affermare il reale
contenuto precettivo della statuizione giudiziale in via interpretativa, sulla
base di una lettura coordinata del dispositivo e della motivazione e,
conseguentemente, porla in esecuzione facendola valere come titolo esecutivo»
(Cass. 31 marzo 2007, n. 8060), precisandosi altresì, nel ribadire il
principio, che esso opera in presenza di una «vizio meramente formale,
derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l’intendimento
del giudice e la sua esteriorizzazione» (Cass. 8 marzo 2013, n. 5939);
tuttavia, l’interpretazione extratestuale del titolo
non può giungere fino ad attribuire ad esso una portata che, in contrasto con
quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione, sia
testualmente difforme dal contenuto documentale di esso;
è solo l’errore materiale risultante in modo certo
dal titolo stesso che può consentire, secondo quanto affermato da Cass.
8060/2007 e Cass. 5939/2013, l’interpretazione correttiva in sede di
esecuzione, mentre il contrasto tra il tenore del titolo, quale da ricostruirsi
nei termini sopra detti dal complesso di motivazione e dispositivo, rispetto a
elementi extratestuali in ipotesi oggettivamente discordanti, non può che
essere (eventualmente) emendata, secondo i rispettivi presupposti e limiti
anche temporali, con il ricorso al procedimento di correzione presso lo stesso
giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, unico legittimato a
verificare se vi sia stato errore materiale ove esso necessiti il confronto
critico con gli atti di causa o attraverso l’impugnazione per revocazione;
6. la Corte territoriale, non considerando come
sussistesse compatibilità tra il riferimento del dispositivo al lavoro supplementare
di giugno 1986 quale elemento da considerare nella determinazione dell’assegno
di prepensionamento del C. e l’indicazione in motivazione, ai medesimi fini, di
24 mensilità come inerenti a tale lavoro supplementare di quel mese, ha dunque
violato i principi di cui sopra procedendo indebitamente in sede di opposizione
a precetto ad una nuova valutazione dei fatti oggetto del giudizio di merito
nel cui ambito il titolo ed il giudicato si sono formati; alla cassazione della
sentenza impugnata segue il rinvio alla medesima Corte d’Appello affinché
provveda alla definizione della causa sulla base delle corrette regole
interpretative qui enunciate;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, nei sensi di cui in
motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di
Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese
del giudizio di legittimità.