Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 febbraio 2020, n. 5406

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo,
Illegittimità, Riassunzione e pagamento di un’indennità risarcitoria, domanda
di tutela obbligatoria ai sensi dell’art. 8 I. 604/1966,
Alternatività tra riassunzione e risarcimento del danno

Rilevato che

 

1. con sentenza 16 maggio 2017, la Corte d’appello
di Bari dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 29 luglio 2014 dal C.A.G.C.
di Barletta a F.C. per giustificato motivo oggettivo, ordinandone la
riassunzione e condannando il primo al pagamento, in favore del secondo, di
un’indennità risarcitoria in misura di sei mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado,
che aveva dichiarato inammissibile la domanda del lavoratore, in ragione
dell’inapplicabilità della tutela reale, in difetto dei requisiti dimensionali
del C. e pertanto del rito cd. Fornero;

2. avverso tale sentenza il C. ricorreva per
cassazione con cinque motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso;

3 entrambe le parti comunicavano memoria di
costituzione di nuovo difensore, per decesso del precedente;

 

Considerato che

 

1. il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1, comma
47 I. 92/2012, 112 c.p.c., per erronea
applicazione del rito cd. Fornero, in assenza
dei requisiti dimensionali del C. datore per la tutela reale, alla domanda di
riassunzione ai sensi dell’art.
8 I. 604/1966 proposta in via principale dal lavoratore, previo mutamento
del rito, nelle conclusioni rassegnate in sede di reclamo, per giunta
condannando il C. al pagamento di un’indennità eccedente la domanda, pari a sei
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (primo motivo);

1.1. esso è infondato;

1.2. alla domanda di tutela obbligatoria ai sensi
dell’art. 8 I. 604/1966,
proposta (come nel caso di specie dal lavoratore nel ricorso introduttivo) in
via subordinata rispetto a quella reintegratoria ai sensi dell’art. 18 I. 300/1970 con un
unico ricorso, può ben essere applicato il rito previsto dall’art. 1, comma 48 ss. I. 92/2012,
in quanto fondata, così come la principale, sugli stessi fatti costitutivi, non
integrando, infatti, la dimensione dell’impresa un elemento costitutivo della
domanda del lavoratore; inoltre, la prospettata interpretazione estensiva della
disciplina processuale in esame evita la parcellizzazione dei giudizi,
consentendo ragionevolmente che da un’unica vicenda estintiva del rapporto di
lavoro possa scaturire un unico processo (Cass. 13
giugno 2016, n. 12094; Cass. 11 giugno 2018,
n. 15084; Cass. 22 ottobre 2018, n. 26674);

1.3. deve poi essere negata la violazione del
principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato nella sentenza con
la quale il giudice, ritenendo carenti le condizioni per l’operatività
dell’invocata tutela reale, condanni il datore di lavoro alla riassunzione del
lavoratore o, in alternativa, a corrispondergli l’indennità stabilita dal
citato art. 8, trattandosi
di domande in rapporto di “continenza” (Cass. 9 settembre 1991, n.
9460; Cass. 13 giugno 2016, n. 12094);

1.4. occorre pertanto ribadire il principio secondo
cui, in tema di inefficacia del licenziamento, se il dipendente illegittimamente
licenziato abbia chiesto l’applicazione dell’art. 18 I. 300/1970, e quindi
anche il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal
giorno di attuazione del licenziamento, il giudice, che abbia accertato
l’insussistenza dei requisiti dimensionali per l’applicazione dell’art. 18, deve accordare,
ricorrendo i relativi presupposti, la tutela obbligatoria, in quanto omogenea e
di ampiezza minore rispetto a quella prevista dall’art. 18 (Cass. 11 settembre 2003, n. 13375; Cass. 13 giugno 2016, n. 12094);

2. il ricorrente deduce poi, secondo un ordinato
criterio di pregiudizialità logicogiuridica, omessa insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
quale la mancata indicazione da parte del giudice degli elementi alla base del
suo convincimento, avendo pure erroneamente valutato le circostanze
giustificanti il licenziamento del lavoratore, per omissione di esame del libro
matricola, delle lettere di disdetta dei consorziati, della relazione di parte
del C. e della sentenza n. 6155/11 del Tribunale di Trani, in funzione di
giudice del lavoro, senza neppure argomentare la mancata ammissione dei
capitoli di prova orale dedotti (terzo motivo);

2.1. esso è inammissibile;

2.2. il vizio motivo denunciato non è più
configurabile, alla luce del novellato testo dell’art.
360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7
aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre
2015, n. 21439), essendo la sentenza fondata su una motivazione, non già
mancante, ma adeguatamente argomentata (dal terzo al penultimo capoverso di pg.
5) e comunque tale da potere essere (nel merito) confutata dal C. ricorrente;

2.3. il motivo consiste poi nella contestazione
della valutazione probatoria della Corte, insindacabile dal giudice di
legittimità, al quale spetta soltanto la facoltà di controllare, sotto il
profilo di correttezza giuridica e coerenza logico-formale, le argomentazioni
del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di
fatto a revisione del ragionamento decisorio della Corte territoriale (Cass. 19
marzo 2009, n. 6694; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n.
27197);

2.4. infine, esso difetta di specificità, in
violazione della prescrizione dell’art. 366, primo
comma n. 6 c.p.c. di una puntuale indicazione della deduzione, con l’atto
d’appello (non avendone fatto menzione la sentenza impugnata), dei mezzi di
prova orale di cui è lamentata la mancata ammissione (Cass. 11 gennaio 2007, n.
324; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);

3. il ricorrente deduce quindi violazione e falsa
applicazione dell’art. 8 I.
604/1966, per la concorrente condanna del C. alla riassunzione del
lavoratore e al pagamento di un’indennità di sei mesi (per un solo giorno di
lavoro, al punto da avere il C. medesimo adito la Corte per correzione di
errore materiale, senza ottenerne risposta), invece previste in via alternativa
(secondo motivo) e violazione e falsa applicazione dell’art. 8 I. 604/1966, per
erronea condanna del C. congiunta alla riassunzione del lavoratore
“e” al pagamento di un’indennità, anziché alternativa (“o in
mancanza”) come previsto, in misura di sei mesi (per un solo giorno di
lavoro), senza alcuna giustificazione della sua misura (quarto motivo);

3.1. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono fondati;

3.2. in via preliminare, occorre ribadire che,
nell’ambito della tutela cosiddetta obbligatoria nei confronti del
licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, secondo la
disciplina delle leggi n. 604/1966 e n. 108/1990, la previsione di alternatività tra
riassunzione e risarcimento del danno comporta che il pagamento della indennità
risarcitoria, qualora il rapporto di lavoro non si ripristini, sia sempre
dovuto (senza che rilevi quale sia il soggetto e quale la ragione per cui ciò
si verifichi):

dovendosi anche tener conto che la riassunzione ai
sensi dell’art. 8 I. cit.,
a differenza della reintegrazione a norma dell’art. 18 I. 300/1970,
determina la ricostituzione ex nunc del rapporto di lavoro, sicché l’offerta
datoriale di riassunzione corrisponde alla proposta contrattuale di un nuovo
rapporto, che deve essere accettata dal lavoratore secondo le regole generali
sulla formazione dei contratti; con la conseguenza che, quando il lavoratore
chieda il pagamento dell’indennità, il datore di lavoro, ove risulti confermata
la mancanza di una valida giustificazione del licenziamento, non può sottrarsi
al pagamento dell’indennità offrendo la riassunzione (Cass. 26 febbraio 2002,
n. 2846; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4521; Cass. s.u. 20 novembre 2017, n. 27436, in più
specifico riferimento alla tutela del socio lavoratore di cooperativa, per cui,
in caso di sua impugnazione del recesso della cooperativa, la tutela
risarcitoria non è inibita dall’omessa impugnazione della contestuale delibera
di esclusione fondata sulle medesime ragioni afferenti al rapporto di lavoro,
restando invece esclusa la tutela restitutoria);

3.3. una tale interpretazione in ordine
all’applicazione delle misure di tutela obbligatoria è poi conforme ai principi
costituzionali, per la natura alternativa delle due obbligazioni di
riassunzione e risarcimento del danno (Corte Cost.
n. 194 del 1970 e n. 44 del 1996);

3.4. giova pure, infine, riaffermare che la
determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità
risarcitoria prevista dall’art.
8 I. 604/1966 (sostituito dall’art.
2 I. 108/1990), in caso di licenziamento privo di giusta causa o
giustificato motivo per il quale non sia applicabile la disciplina della
cosiddetta stabilità reale, spetta al giudice di merito ed è sindacabile in
sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. 8 giugno 2006, n. 13380; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1320);

3.5. nel caso di specie, essa è stata
apoditticamente fissata in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, senza una parola di giustificazione (all’ultimo capoverso di pg. 6 della
sentenza);

4. le superiori argomentazioni assorbono l’esame del
quinto motivo, di violazione e falsa applicazione dell’art. 92, secondo comma c.p.c., per mancata
compensazione delle spese del giudizio tra le parti;

5. pertanto il secondo e il quarto motivo di ricorso
devono essere accolti, rigettato il primo, inammissibile il terzo ed assorbito
il quarto, con la cassazione della sentenza, in relazione ai motivi accolti e
rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla
Corte d’appello di Bari in diversa composizione;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo e il quarto motivo, rigettato il
primo, inammissibile il terzo, assorbito il quinto; cassa la sentenza, in
relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del
giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 febbraio 2020, n. 5406
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