Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2020, n. 5896

Lavoratore socialmente utile utilizzato per un orario
eccedente le 20 ore settimanali, Trattamento integrativo dell’assegno erogato
dall’Inps, Retribuzione del livello iniziale del personale dipendente che
svolge attività analoghe presso il soggetto utilizzatore, Retribuzione oraria
determinata applicando il divisore previsto dal contratto collettivo del
soggetto utilizzatore, Computo delle differenze rivendicate non conforme al
dettato normativo e contrattuale, Non sussiste, Occupazione temporanea in
lavori socialmente utili non integra un rapporto di lavoro subordinato

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza in data 13-17 gennaio 2014 nr. 167
la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa
sede, che aveva respinto la domanda proposta da R.I., lavoratore socialmente
utile (LSU) utilizzato presso la R.C. per un orario eccedente le 20 ore
settimanali, per il pagamento delle differenze maturate nell’anno 2010 rispetto
all’importo integrativo liquidato dalla R.

2. La Corte territoriale preliminarmente, aderendo
al principio enunciato da Cass. sez. lav. 3 maggio
2012 nr. 6670, individuava la disciplina di riferimento nell’articolo 8 del D.Lgs. 468/1997,
norma non abrogata – né espressamente né per incompatibilità – dal D.Lgs. nr. 81/2000: il trattamento integrativo
dell’assegno erogato dall’INPS per le ore di impegno eccedenti le 20 ore
settimanali era dunque pari alla retribuzione del livello iniziale del
personale dipendente che svolgeva attività analoghe presso il soggetto
utilizzatore, calcolata al netto delle ritenute previdenziali ed assistenziali.

3. L’articolo
52, comma tre, CCNL di categoria precisava che la retribuzione oraria si
otteneva applicando il divisore 156 alla retribuzione mensile.

4. Il criterio posto a base del computo delle
differenze rivendicate dallo I. non era conforme al dettato normativo e
contrattuale: esso considerava la retribuzione globale di fatto mensile (articolo 10 comma due lettera d CCNL
9 maggio 2006) invece della retribuzione mensile (articolo 10 lettera a del medesimo
CCNL); inoltre utilizzava un divisore più basso di quello previsto dal CCNL (70 invece di 156), corrispondente al numero
medio mensile delle ore eccedenti.

5. In appello lo I. aveva dedotto che, in ogni caso,
la tariffa oraria era superiore a quella liquidata dalla R. (€ 7,74 anziché €
7,24). Si trattava di questione nuova, in quanto dalla documentazione prodotta
e dai conteggi allegati al ricorso si evinceva che le differenze derivavano dal
computo della tariffa oraria secondo i suddetti criteri non corretti; non
risultava invece che il ricorrente lamentasse il mancato adeguamento della
tariffa oraria agli incrementi delle retribuzioni tabellari intervenuti nella
successione dei contratti collettivi.

6. Infine l’appellante aveva l’onere processuale di
specificare i pretesi errori di calcolo degli importi liquidati e di fornire la
base documentale di verifica degli stessi mentre non erano stati versati in
atti i documenti necessari a tale verifica.

7. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza R.I., articolato in due motivi, cui la R.C. non ha opposto difese.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto
violazione e falsa applicazione di norme di legge e dei contratti ed accordi
collettivi nazionali di lavoro: articolo 2697 cod.
civ.; articoli 3, 38 e 117, comma uno,
Costituzione; articolo
4, comma uno, direttiva 1999/70/CE; articolo 12
disp.prel.cod.civ.; articoli 112, 113, 115, 132 numero 4 codice procedura civile, articolo 1 bis DL 28 maggio
1981 numero 244, convertito con modificazioni nella legge 390/1981, nel testo sostituito dall’articolo 8 legge 28 febbraio 1986
numero 41; articolo 8 D. Lgs.
1 dicembre 1997 numero 468; articoli 1362 e
seguenti cod.civ.; CC.CC.NN.LL.
REGIONI- ENTI LOCALI 14.9.2000 ( articolo 52, commi due e tre) 5.10.2001 (articolo 1); 22.1.2004 (articolo 29); 9.5.2006 (articolo 2); 20.4.2008 (articolo 6); 31 luglio 2009 (articolo 2).
Omesso esame circa un punto decisivo della controversia.

2. Esposti i fatti ed indicate le norme rilevanti-
di legge (articolo 1 bis DL
28 maggio 1981 n. 244 e articolo
8 D.Lgs. 468/1997) e di contratto collettivo (articolo 10 CCNL 9.5.2006)- ha
assunto che dalle stesse si ricaverebbe il principio di equiparazione del
trattamento economico del lavoratore socialmente utile a quello del dipendente
comparabile del soggetto utilizzatore e che erroneamente la Corte territoriale
aveva assimilato il lavoro svolto in regime di plusorario al rapporto giuridico
previdenziale intercorrente tra la pubblica amministrazione ed i lavoratori
socialmente utili.

3. Ha altresì dedotto che la assegnazione a lavori
socialmente utili rientrerebbe nella categoria dei rapporti di lavoro conclusi
nell’ambito di un progetto specifico di formazione, inserimento e
riqualificazione professionale pubblico, formazione con durata temporalmente
definita (secondo la legge quadro in materia di formazione professionale- legge 21 dicembre 1978 nr. 845,
articolo 7- non più di quattro cicli, ciascuno di durata non superiore a
600 ore). In particolare, per i lavori socialmente utili il D.Lvo 468/1997, articolo 1 e,
successivamente, il D.L.vo
81/2000, articolo 4, prevedevano la durata del progetto, che determinava la
durata della formazione professionale; il rinnovo avrebbe potuto avere durata
massima di otto mesi (legge
388/2000, articolo 78,comma due). Nei fatti si erano invece avute proroghe
successive, fino alla stabilizzazione (leggi
numero 296/2006 e numero 244/2007), senza
tenere conto della compiuta formazione professionale.

4. In definitiva, pur se inserito in un progetto di
lavoro socialmente utile, egli doveva essere considerato come dipendente a
termine: da ciò la applicazione del principio di non discriminazione di cui
alla clausola 4 dell’accordo quadro
allegato alla direttiva 1999/70/CE.

5.Inoltre l’articolo 52 CCNL 14.9.2000 ( poi articolo 10, comma tre, CCNL 9.5.2006)
dopo avere previsto che la retribuzione oraria si ottiene dividendo la
retribuzione mensile per 156, stabiliva che nel caso di orario di lavoro ridotto
si procedeva al conseguentemente ri-proporzionamento del divisore, operazione
da cui derivava il divisore (70) utilizzato nel conteggio.

6. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato
violazione e falsa applicazione di norme di legge e dei contratti ed accordi
collettivi nazionali di lavoro: articoli 112,113, 115, 132 nr. 4, 437
cod.proc.civ. ; articolo 8
D.Lgs. 1.12.1997 nr. 468; CCNL REGIONI ED ENTI
LOCALI 31.7.2009. Omesso esame circa un punto decisivo della controversia.

7. Ha esposto che con il secondo motivo di appello
si deduceva che l’importo integrativo liquidato dalla R. era inadeguato pur a
voler considerare il solo livello retributivo iniziale ed utilizzare il
divisore 156; ha censurato la sentenza impugnata per avere affermato trattarsi
di questione nuova.

8. Ha dedotto che nel prospetto contabile allegato
al ricorso introduttivo il calcolo della tariffa oraria era stato effettuato
con riferimento al livello retributivo iniziale della categoria A1 ( ed ad
altre indennità) e che al capo s) si indicava che per la categoria A1 il CCNL REGIONI ENTI LOCALI 31 luglio 2009- tabella
B- prodotto in causa- determinava la nuova retribuzione tabellare dall’1
gennaio 2009 in € 16.314,37.

9. Il ricorso è infondato.

10. Le questioni poste con il primo motivo di
ricorso sono state già esaminate da questa Corte con ordinanza della sezione
VI, 07/11/2018, n. 28481, ai cui principi si intende assicurare in questa sede
continuità.

11. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte
l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di
lavoro subordinato, in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8-
poi riprodotto dal D.Lgs. 28
febbraio 2000, n. 81, art. 4 – l’utilizzazione di tali lavoratori non
determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro ma realizza un rapporto
speciale che coinvolge più soggetti (oltre al lavoratore, l’amministrazione pubblica
beneficiaria della prestazione e l’ente previdenziale erogatore dell’assegno o
di altro trattamento previdenziale) di matrice assistenziale e con una finalità
formativa diretta alla riqualificazione del personale per una possibile
ricollocazione (Cass. n. 2887 del 2008, n. 2605 del 2013, n.
22287 del 2014, n. 6155/2018).

12. Tale disciplina regola l’ipotesi, riconducibile
al particolare istituto contemplato dal legislatore per sopperire allo stato di
disoccupazione del lavoratore, di conformità della prestazione di lavoro al
progetto; soltanto nel caso in cui la prestazione resa presenti di fatto una
radicale difformità dal progetto il rapporto intercorso come subordinato resta
regolato dall’art. 2126 c.c. (cfr. Cass. n. 6914 del 2015, nn. 22287 e 21311 del 2014, n. 11248 del 2012 e n.
10759 del 2009; Cass. n. 15071 del 2015 e da Cass.
nn. 13472 e 13596 del 2016; più recentemente, Cass.
nn. 17101, 17012 e 17014 del 2017, Cass. n. 20986 del 2017).

13. Poiché nella fattispecie di causa non è in
discussione che la prestazione si sia svolta in conformità al progetto,
correttamente la Corte territoriale ha applicato la disciplina di cui al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8,
commi 2 e 3, alla cui stregua l’importo integrativo corrisponde ad una
retribuzione oraria determinata applicando il divisore previsto dal contratto
collettivo del soggetto utilizzatore – (nella specie 156)- alla retribuzione-
base del livello di inquadramento del dipendente comparabile.

14. La denuncia del vizio di motivazione invece è
inammissibile, in quanto non corrispondente al paradigma dell’omesso esame di
un fatto storico decisivo di cui al novellato articolo
360 nr. 5 cod.proc.civ., ratione temporis applicabile.

15. Il secondo motivo deve dichiararsi
inammissibile, in quanto il ricorrente neppure in questa sede dà conto, con la
specificità richiesta dall’articolo 366 nr. 6
cod.proc.civ., di avere posto con il ricorso introduttivo la questione di
fatto del mancato adeguamento della retribuzione oraria di livello alla dinamica
contrattuale; non sono trascritti i conteggi allegati al ricorso introduttivo e
sono riportate soltanto per estratto le allegazioni di fatto articolate sul
punto nello stesso atto, senza dare conto della loro incidenza sul computo
delle somme richieste.

16. Non risulta, pertanto, adeguatamente censurato
l’accertamento della novità della domanda.

17. Nulla per le spese, per la mancata costituzione
della R.C.

18. Il ricorrente, ammesso al patrocinio a spese
dello Stato con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del
15.04.2014, non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo del contributo
unificato di cui all’art. 13, comma
1-quater DPR 115/2002, stante la prenotazione a debito prevista dal
combinato disposto di cui agli artt.
11 e 131 del medesimo decreto
(ex plurimis: Cassazione civile, sez. VI, 12/04/2017, n. 9538).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115
del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2020, n. 5896
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: