Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 febbraio 2020, n. 7963
Indennità di maternità e assegni nucleo familiare non
corrisposte alla dipendente, Indebita percezione di erogazioni a danno dello
Stato, Somma pari o superiore ad euro 3.999,96, Delitto ex art. 316-ter c.p., Conguaglio effettuato per
mezzo della presentazione di singoli modelli DM10, Plurimi illeciti di natura
amministrativa, Non sussiste
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Catania, su impugnazione
del Procuratore e del Procuratore Generale, ha riformato la decisione con cui
il Tribunale di Catania aveva assolto G.R. in ordine ai delitti di cui agli artt. 81, 640, secondo
comma, cod. pen., condannandola, previa riqualificazione del fatto nel
delitto di cui all’art. 316-ter cod. pen., alla
pena di un anno di reclusione con sospensione condizionale della pena, per
avere presentato all’INPS di Catania richieste di conguaglio per indennità
economica di maternità ed assegni in favore del nucleo familiare mai
corrisposte alla dipendente F.P., per un ammontare complessivo di euro
10.108,62, con pari danno per detto ente previdenziale, da settembre 2011 a
maggio 2013.
2. G.R., a mezzo del difensore avvocato V.C.,
ricorre avverso la citata sentenza deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.,
42, 47, 51; 81 e 316-ter cod. pen., 521,
522, 603, 192, 529, 530, 531, 533, 546, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen., travisamento della prova, illogicità della
motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva.
La Corte catanese avrebbe dovuto confermare la
sentenza del primo giudice che aveva statuito l’assoluzione dell’imputata.
Dall’esame testimoniale dell’Ispettore del Lavoro risulterebbe che, nonostante
la «G.» s.r.l. si trovasse in una situazione di dissesto economico, sottoposta
a procedura di concordato preventivo, la R. avesse comunque corrisposto le
indennità in favore della dipendente. Si censura la mancata acquisizione delle
buste-paga, e dei modelli «DM10» probanti i fatti oggetto di contestazione; la
ricorrente non sarebbe stata, inoltre, a conoscenza dei conguagli richiesti con
detti modelli che venivano predisposti dal settore contabilità della società.
Non sussisterebbe la volontà di percepire
indebitamente una somma pari o superiore ad euro 3.999,96, somma che,
relativamente ad ogni dichiarazione di conguaglio effettuata per mezzo della
presentazione dei modelli denominati “DM10”, superava la soglia di
euro 3999,96 che statuisce la rilevanza penale della condotta di cui all’art. 316-ter, comma primo, cod. pen.; risulterebbe
inconferente, sotto detto profilo, che l’importo complessivo fosse stato
determinato in euro 10.108,62, condotta che invece integrerebbe plurimi
illeciti di natura amministrativa, in continuazione, ex art. 316-ter, comma secondo, cod. pen.
Si osserva, ancora, che la condanna sarebbe
intervenuta per un reato diverso da quello contestato, né sarebbe stata tenuta
nella giusta considerazione la circostanza che l’intervenuta riqualificazione
avrebbe dovuto comportare ex art. 521 cod. proc.
pen. la declaratoria di nullità della decisione di primo grado in
composizione monocratica, a fronte della competenza del tribunale collegiale in
ordine alla fattispecie di cui all’art. 316-ter cod.
pen..
2.2. Vizi cumulativi di violazione di legge e di
illogicità della motivazione in relazione agli artt.
24 e 111 Cost., 6 CEDU, 603
cod. proc. pen. e 11 e 117 Cost. 521, 522, 603, 192, 529, 530, 531, 533, 546, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen.
Si deduce l’omessa rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale ex art. 603, comma 3, cod. proc.
pen. in considerazione del differente esito di condanna della decisione. Si
censura, inoltre, l’immotivata ed illegittima revoca della disposta ordinanza
con cui le prove dichiarative erano state inizialmente ammesse in quanto
ritenute indispensabili ai fini della decisione.
2.3. Si deduce, altresì, l’intervenuta prescrizione
per i fatti commessi fino al settembre del 2011.
Considerato in diritto
1. La sentenza deve essere annullata per
insussistenza del fatto, con trasmissione degli atti all’autorità
amministrativa competente.
2. Deve preliminarmente rilevarsi che determinante
risulta la questione connessa alla sussistenza o meno della fattispecie di cui
all’art. 316-ter cod. pen., delitto per il
quale è intervenuta la riqualificazione del fatto in sede di gravame, fermo
restando la rilevanza in ordine all’integrazione del delitto di cui al primo
comma ovvero dell’illecito amministrativo di cui al secondo comma di detta
norma.
Il Collegio, pur valutando corretta la operata
riqualificazione nella differente fattispecie di cui all’art. 316-ter cod. pen., osserva, nondimeno, che
risulta integrato l’illecito amministrativo di cui al secondo comma,
circostanza che rende superfluo rispondere alle dedotte questioni di natura
processuale che censurano la composizione monocratica anziché di quella
collegiale, del giudicante ovvero la mancata rinnovazione istruttoria e
connessa revoca dell’ordinanza con cui era stata disposta la rinnovazione della
prova dichiarativa da parte della Corte di appello.
3. Questa Corte ritiene di dare continuità
all’indirizzo giurisprudenziale – ormai prevalente – a mente del quale integra
il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la condotta
del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al
lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa
integrazione guadagni, ottenga dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà
non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali
e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le
corrispondenti erogazioni (tra le tante, Sez. 2, n. 48663 del 17/10/2014,
Talone, Rv. 261140; Sez. 2, n. 15989 del 16/03/2016, Fiesta, Rv. 266520; Sez.
2, n. 51334 del 23/11/2016, Sechi, Rv. 268915; Sez. 2, n. 7600 del 12/02/2019,
Cima, non mass.; Sez. 6, n. 31903 del 05/07/2019, Montanino, non mass.).
Tale interpretazione risulta maggiormente fedele ai
principi espressi da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 16568 del
19704/2007, Carchivi, Rv. 235962 e Sez. U, n. 7537 del 16/10/2010, dep. 2011,
Pizzuto, Rv. 249104), secondo cui l’art. 316-ter
cod. pen. offre una tutela residuale e complementare rispetto a quella
perseguita dall’art. 640-bis cod. pen.,
richiedendo soltanto l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di
documenti falsi o attestanti cose non vere (ovvero l’omissione di informazioni
dovute) da cui derivi il conseguimento indebito di erogazioni da parte dello
Stato o di altri enti pubblici o dell’Unione Europea.
Le erogazioni di cui all’art.
316-ter cod. pen., quindi, non devono necessariamente consistere nel
conseguimento diretto di una somma di denaro, ben potendo anche consistere
nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta, ovvero in un
risparmio. Situazione corrispondente a quella sottoposta a verifica che aveva
ad oggetto somme di danaro falsamente indicate come anticipate dal datore di
lavoro in favore del lavoratore, che erano poste a conguaglio in sede di
dichiarazione attraverso la predisposizione del modello c.d. «DM10», modulo per
mezzo del quale era stato conseguito, all’atto della presentazione, un
immediato risparmio rispetto alle somme dovute quale debito previdenziale.
4. Commissione della delineata condotta integrante,
in via generale, la fattispecie di cui all’art.
316-ter cod. pen.. fedelmente
ricostruite in fatto sia dal Tribunale, che dalla Corte di appello per mezzo
del pedissequo riferimento alla prova documentale ed alle testimonianze, dalle
quali era emerso che la R., rappresentante legale della «G.» s.r.l., aveva
effettuato il conguaglio delle somme, in realtà mai corrisposte, alla
dipendente P.F.R.M. quali emolumenti dovuta a titolo maternità, malattia e
assegni in favore del nucleo familiare, per mezzo del c.d. modello «DM10»
presentato all’ente pubblico.
Accertati fatti che il ricorso tenta di censurare
attraverso un diretto riferimento agli atti per accreditare una differente
lettura delle risultanze processuali, operazione preclusa in questa sede.
5. Ciò premesso in linea generale, deve nondimeno
evidenziarsi la fondatezza del motivo a mente del quale non sarebbe stata
superata da parte della ricorrente la soglia di punibilità di cui all’art. 316-ter, comma secondo, cod. pen., elemento
costitutivo del reato la cui carenza fa si che la condotta risulta integrare un
mero illecito amministrativo.
Inquadrata, infatti, la condotta del datore di
lavoro che mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore
a titolo di indennità per maternità, malattia, assegni familiari, effettua il
conguaglio di tali somme con quelle dovute all’ente previdenziale, nel delitto
di cui all’art. 316-ter, cod. pen., deve osservarsi
che proprio il momento dell’«utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o
documenti falsi o attestanti cose non vere», cui consegue l’erogazione del
contributo o del finanziamento, costituisce momento nel quale viene a
realizzarsi il momento consumativo del reato; momento corrispondente alla
condotta del datore di lavoro che provvede a versare all’I.N.P.S. –
conformemente a quanto indicato sul modello “DM10” – l’importo
ridotto dei contributi a cagione dell’operato indebito conguaglio, così
percependo tale differenza quale erogazione non dovuta da parte dall’ente
pubblico.
In tal senso si è pronunciata questa Corte che ha
osservato che, costituendo il superamento della soglia di punibilità indicata
dall’art. 316-ter, comma 2, cod. pen. un
elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità,
detto superamento è idoneo ad integrare la fattispecie penale solo se si
realizza al momento del conseguimento della somma corrispondente ad ogni
singola condotta, essendo invece irrilevante che il beneficiario consegua in
momenti diversi i contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il
superamento di detto limite (Sez. 6, n. 24890 del 20/02/2019, Giorgio, Rv.
277283).
6. Né deve fuorviare la decisione di questa Corte
che, nell’analizzare una questione solo apparentemente simile a quella
sottoposta a scrutinio, ha avuto modo di affermare che, ai fini della
configurabilità del reato di indebita percezione di elargizioni a carico dello
Stato, per la valutazione del superamento o meno della soglia quantitativa di
euro 3.999,96, occorre tener conto della complessiva somma indebitamente
percepita dal beneficiario, e non di quella allo stesso mensilmente corrisposta
(Sez. 6, n. 11145 del 02/03/2010, Maione, Rv. 246693); principio che risulta
pertinente rispetto a fatti che vengono ad esistenza per mezzo di tendenziale
unica condotta, mentre solo gli indebiti effetti favorevoli si realizzano con
cadenze mensili e, comunque, differite nel tempo.
Situazione, quella sopra esaminata, niente affatto
sovrapponibile a quella oggetto della decisione impugnata che non veniva
realizzata attraverso una sola condotta attiva od omissiva (se non sotto il più
limitato ambito di cui all’art. 81, secondo comma,
cod. pen.), avendo invece ad oggetto plurime azioni con cui venivano
fraudolentemente imputati, attraverso la predisposizione del modello
“DM10”, singoli e distinti conguagli in realtà non consentiti in
ragione dell’omessa corresponsione dei contributi previdenziali spettanti alla
dipendente.
7. Deve ritenersi, pertanto, che allorché la legge
penale fissi una soglia al di sotto della quale la condotta perde la sua
rilevanza penale per assumere la valenza di mera sanzione amministrativa,
lacunosa risulta la motivazione che in ordine a tale elemento costitutivo non
provvede ad adeguatamente motivare.
Proprio con riferimento al delitto ex art. 316-ter cod. pen. questa Corte ha affermato
che il superamento della soglia quantitativa deve costituire oggetto di
specifica motivazione (Sez. 6, n. 38292 del 14/07/2015, Trevisan, Rv. 264609);
la scelta del legislatore di prevedere una “soglia” non risponde,
infatti, alla sola necessità di punire o meno il soggetto, bensì di diversamente
punirlo con una “sanzione amministrativa” che potrebbe, in ipotesi,
essere anche più afflittiva rispetto a quella penale per la maggiore
“effettività” che spesso caratterizza la tempestività di detto
Intervento repressivo.
Non risulta appropriato, pertanto, il riferimento
operato da parte della Corte di appello alla complessiva somma di euro
10.108,62 indebitamente percepita dalla ricorrente, importo frutto della
sommatoria di più istanze di conguaglio di volta in volta presentate dal
medesimo, nessuna delle quali superiore alla soglia di penale responsabilità di
euro 3.999,96 previste dalla norma in esame.
8. A fronte, quindi, di specifica deduzione che in
sede di appello aveva fatto rilevare come le dichiarazioni presentate
attraverso il modello “DM10” dalla ricorrente non avessero in alcun
caso superato la soglia di penale punibilità di cui all’art. 316-ter cod. pen., in uno alla rilevanza
assegnata a tale indefettibile presupposto ai fini della integrazione della
fattispecie penale, carente risulta la motivazione della Corte territoriale che
ha fatto esclusivo riferimento al complessivo importo determinato dalle plurime
dichiarazioni in conguaglio che, relativamente ad ogni dichiarazione mensile,
in nessun caso superava detta soglia.
Tenuto conto della pacifica sussistenza degli
elementi fattuali della fattispecie, dovendosi la condotta qualificare ai sensi
dell’art. 316-ter, secondo comma, cod. pen.
quale illecito amministrativo, la sentenza deve essere annullata senza rinvio,
decisione cui consegue la trasmissione degli atti all’INPS competente per la
relativa sanzione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il
fatto non è previsto dalla legge come reato.
Dispone trasmettersi gli atti all’INPS, competente
per le sanzioni amministrative.