Per la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo del disabile, il datore di lavoro è tenuto a ricercare un accomodamento ragionevole tra il diritto del lavoratore di non essere discriminato e quello dell’imprenditore di organizzare l’azienda attraverso l’adozione di modifiche e adattamenti necessari e appropriati che non comportino un onere sproporzionato e eccessivo.

 Nota a Cass. 19 dicembre 2019, n. 34132

 Fabio Iacobone

La legittimità del licenziamento per motivi oggettivi del dipendente disabile è condizionata alla ricerca, da parte del datore di lavoro, di misure di accomodamento ragionevole che raggiungano il delicato punto di equilibrio fra il diritto del disabile a non essere discriminato e quello dell’imprenditore ad organizzare l’azienda secondo le proprie insindacabili scelte.

Lo afferma la Corte di Cassazione (19 dicembre 2019, n. 34132, difforme da App. Napoli 4 maggio 2018) precisando che, prima di procedere al licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, il datore di lavoro è tenuto a verificare, ai fini della legittimità del recesso, la possibilità di adattamenti organizzativi “ragionevoli” nei luoghi di lavoro (v. D.LGS. n. 216/2003, art. 3, co. 3 bis, di recepimento dell’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE e art. 2, Convenzione ONU 13 dicembre 2006, ratificata ai sensi della L. n. 18/2009; in argomento, v. Cass. 6798/2018).

Tale possibilità deve inoltre comportare un “onere finanziario proporzionato alle dimensioni e alle caratteristiche dell’impresa”, rispettando le condizioni di lavoro dei colleghi (Cass. n. 27243/2018).

Come noto, l’art. 5 della citata Direttiva stabilisce che: “Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previsti accomodamenti ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire alle persone con disabilità di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di aver una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore delle persone con disabilità”.

E la Corte di Giustizia UE (CGUE 4 luglio 2013, C-312/11, punto 58) ha definito gli “accomodamenti ragionevoli” come “le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”.

I giudici europei hanno inoltre sottolineato che (come risulta dall’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE , letto in combinato disposto con i “considerando” n. 20 e n. 21 della stessa Direttiva) gli Stati membri devono prevedere nella loro legislazione “un obbligo per i datori di lavoro di adottare provvedimenti appropriati, cioè provvedimenti efficaci e pratici, ad esempio sistemando i locali, adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro o la ripartizione dei compiti in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, riducendo l’orario di lavoro, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione, con il solo limite di imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato” (v. anche CGUE 11 aprile 2013, cause C-335/11 e C-337/11).

Criteri di licenziamento oggettivo del disabile
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