Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2020, n. 6095

Licenziamento per giusta causa, Indicazioni orari di inizio e
fine trasferta diversi da quelli effettivi, Corresponsione trattamento
economico più favorevole, Estremi del delitto di truffa

Fatti di causa

 

Con sentenza n. 3168/2018, resa pubblica n. 23
luglio 2018, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo
grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva ritenuto legittimo
il licenziamento per giusta causa intimato a S.l., con lettera in data
19/11/2015, da F. S.p.A. (poi L. S.p.A.) per avere la lavoratrice ripetutamente
indicato orari di inizio e fine trasferta diversi da quelli effettivi, così da
fruire del corrispondente e più favorevole trattamento economico, nonché per
avere acquistato direttamente, in violazione delle disposizioni aziendali, i
biglietti relativi a undici trasferte a Torino.

2. La Corte – esclusa la tardività della
contestazione, in quanto, anche volendo trascurare i fatti più risalenti, restavano
pur sempre legittimamente addebitati quelli commessi nei mesi di settembre e
ottobre 2015 – ha osservato come la condotta contestata integrasse gli estremi
del delitto di truffa (art. 640 c.p.), avendo
la lavoratrice indicato falsi orari di inizio della trasferta e consapevolmente
compilato i moduli destinati al pagamento delle relative indennità, ed inoltre
osservato come la condotta così posta in essere e provata non consentisse, per
la sua gravità e reiterazione, di ritenere applicabile una sanzione
conservativa; ha inoltre accertato come l’acquisto diretto dei biglietti
ferroviari risultasse in contrasto con specifiche direttive interne, senza che
– come emerso dall’istruttoria – tale condotta potesse in alcun ritenersi
giustificabile, alla stregua delle regole di politica aziendale in materia e
dello svolgersi dei fatti.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione la lavoratrice con cinque motivi cui ha resistito L. S.p.A. con
controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 640 cod. pen. per
avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la ricorrente avesse
commesso il delitto di truffa, pur in difetto di artifici e raggiri.

2. Con il secondo viene dedotta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 640 cod. pen.,
dell’art. 18, co. 4, I. n.
300/1970 e degli artt. 9 e
10, Titolo VII, del C.C.N.L. 5/12/2012 per i dipendenti dell’industria
metalmeccanica privata per avere la sentenza impugnata erroneamente escluso che
i fatti contestati fossero punibili con sanzione conservativa.

3. Con il terzo viene dedotta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2104 cod. civ., dell’art. 3 I. n. 604/1966 e dell’art. 18, comma 4, I. 20 maggio
1970, n. 300 per avere la sentenza erroneamente affermato che l’acquisto
diretto dei biglietti ferroviari per le undici trasferte a Torino non era
lecito e, quindi, non equivaleva a un fatto inesistente, nonostante che le
trasferte fossero state autorizzate dal superiore diretto della ricorrente e
fossero state effettuate nell’interesse dell’impresa.

4. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione
e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. e
dell’art. 18, co. 5, I. n.
300/1970 per avere la sentenza erroneamente affermato che il licenziamento
era giustificato, sicché avrebbe dovuto il giudice di appello, stante
l’ingiustificatezza di esso, concedere la tutela indennitaria nella misura
massima di legge.

5. Con il quinto e ultimo motivo viene dedotta la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod.
civ. e dell’art. 18, comma
5, I. n. 300/1970 per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato
che la contestazione disciplinare ed il licenziamento non erano tardivi.

6. Il primo motivo è infondato.

7. Al riguardo deve rilevarsi che le dichiarazioni
menzognere ben possono costituire raggiro ed integrare l’elemento materiale del
delitto di truffa quando sono presentate in modo tale da indurre in errore il
soggetto passivo di cui viene carpita la buona fede (Cass. pen., Sez. II, 20
giugno 1985, n. 10628/1985).

8. E’ stato altresì ritenuto che per l’esistenza del
delitto di truffa non può avere rilievo la mancanza di diligenza, di controllo
e di verifica da parte del soggetto passivo, non valendo ciò ad escludere
l’idoneità del mezzo (cfr. ancora sentenza cit., ove ulteriore richiamo di
giurisprudenza).

9. Il secondo motivo è infondato.

10. La Corte di merito ha invero motivatamente
escluso che i comportamenti oggetto di contestazione potessero essere puniti
con una mera sanzione conservativa, richiamando, sul punto (cfr. sentenza
impugnata, par. 3.2.), e condividendo, le considerazioni già svolte dal giudice
di primo grado, là dove il Tribunale di Roma aveva osservato come “in ogni
caso i comportamenti accertati, con particolare riguardo alle false
attestazioni degli orari di inizio della trasferta, almeno in cinque occasioni
integrano il substrato materiale della truffa ex art.
640 c.p., ossia un delitto punito a termini di legge, anche a voler
ritenere insussistente il grave nocumento materiale” (cfr. ancora sentenza
impugnata, p. 8, sub cc).

11. D’altra parte, la Corte di appello, nel
riferirsi ai fatti del settembre e ottobre 2015, fra i quali le trasferte a
Torino (acquisto diretto di biglietti di viaggio nell’inosservanza della policy
aziendale, esclusa, quindi, la simulazione di orari) e a Roma, ha rilevato come
essi fossero “comunque gravi ed ampiamente sufficienti a giustificare il
licenziamento per giusta causa per la loro portata offensivamente ingannevole
sotto i profili oggettivo e soggettivo” (cfr. sentenza, par. 3.8.), in tal
modo esprimendo una valutazione globale dei fatti stessi che supera la condotta
materiale tipica della fattispecie delittuosa e che, nella sua autonoma
idoneità a sostenere la decisione, risulta esente da specifica censura.

12. E’ in ogni caso da rilevare come – a fronte
della pluralità e complessità dei fatti, così come contestati e accertati, e
del disvalore loro attribuito dal giudice di merito sotto il profilo della
indispensabile permanenza del vincolo fiduciario – il richiamo alle
disposizioni collettive operato dalla ricorrente si presenti improprio o del
tutto riduttivo, la lettera a) dell’art. 9 del C.C.N.L. riguardando
il dipendente che “non si presenti al lavoro” e la lett. I) dello
stesso art. 9 il lavoratore
che “commetta qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina …
dello stabilimento”.

13. Il terzo motivo è inammissibile, risolvendosi
dietro lo schermo del vizio di cui all’art. 360
n. 3 in un diverso apprezzamento di merito, incompatibile con la presente sede
di legittimità.

14. Né la ricostruzione fattuale, che ha condotto la
Corte di appello di Roma a ritenere la illegittimità del comportamento della
ricorrente, risulta oggetto di censura motivazionale, nei termini previsti
dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., e comunque
entrambe le circostanze, cui il motivo in esame fa riferimento (e cioè
l’autorizzazione del superiore diretto S. e la effettuazione delle trasferte
nell’interesse dell’impresa), sono state considerate dalla sentenza in modo
specifico, per escludere la ipotizzata liceità della condotta.

15. Nei rilievi che precedono resta assorbito il
quarto motivo di ricorso.

16. Anche il quinto motivo non può trovare
accoglimento.

17. Al riguardo, si richiama quanto già osservato
sub 11, posto che anche i fatti del periodo settembre-ottobre 2015,
pacificamente estranei ad una censura di tardività della contestazione, di per
sé considerati, sono stati ritenuti dalla Corte pienamente idonei a integrare
la giusta causa di licenziamento.

18. Resta che la valutazione di immediatezza della
contestazione disciplinare rispetto ai fatti addebitati è insindacabile in sede
di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. n. 14115/2006, fra le numerose conformi):
valutazione che, nella specie, la Corte di appello, nell’osservanza del
criterio di relatività (cfr., fra le più recenti, Cass.
n. 16841/2018), ha correttamente ancorato alle complessità dell’azienda sul
piano organizzativo e al “numero elevatissimo di trasferte dei suoi
dipendenti in un anno (pari a circa 60.000 trasferte)” (cfr. sentenza
impugnata, par. 3.8.).

19. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

20. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2020, n. 6095
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