Le dimissioni per giusta causa rassegnate in ragione del mancato accreditamento dei contributi previdenziali sono fondate qualora il datore di lavoro dimostri di averli versati solo tardivamente.
Nota a App. Milano 15 gennaio 2020, n. 1911
Giuseppe Catanzaro
In caso di verifica da parte del lavoratore del cassetto previdenziale da cui non risultino accreditati i contributi e a fronte del mancato assolvimento da parte del datore-debitore della prestazione dell’onere probatorio dell’avvenuto versamento, le dimissioni per giusta causa sono legittime.
Lo afferma la Corte di Appello di Milano 15 gennaio 2020, n. 1911, con riferimento alle dimissioni rassegnate per giusta causa da una lavoratrice alla quale non erano stati accreditati i contributi previdenziali per un lungo periodo di lavoro ed il sollecito comunicato al datore di lavoro di fornire la prova di aver effettuato il relativo accreditamento era risultato infruttuoso. Tale prova, peraltro, era stata data solo successivamente alle dimissioni.
I giudici precisano che, nell’ipotesi di contestazione e/o richiesta del lavoratore, è onere del datore di lavoro dimostrare concretamente l’avvenuto versamento degli oneri contributivi nel corso del rapporto di lavoro.
Tale onere risulta necessario a maggior ragione quando dall’estratto contributivo personale a cui può accedere il dipendente non risultino annotati per lungo tempo da parte del datore di lavoro i versamenti contributivi dovuti.
Secondo la Corte, inoltre, la successiva dimostrazione e prova del corretto versamento degli oneri contributivi da parte del datore di lavoro non ha alcuna rilevanza ai fini della valutazione della giusta causa della dimissione. Questa va infatti verificata alla data delle rassegnate dimissioni, sul presupposto dell’inadempimento al contratto di lavoro da parte del datore di lavoro.
In altri termini “nel momento della dimissione sussisteva la giusta causa con tutte le conseguenze del caso, non potendosi emendare in via successiva l’effetto giuridico determinato dal legittimo esercizio del diritto”.