Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 marzo 2020, n. 6289

Procedure di riduzione del personale, Accordi sindacali
possono prevedere il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti
eccedenti, Assegnazione a mansioni diverse, anche inferiori o peggiorative,
Distacco del lavoratore, con mutamento delle mansioni, Consenso del lavoratore
distaccato

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza del
16.12.2016, respingeva il gravame proposto da R.R. e da altri litisconsorti –
ex dipendenti di A. s.p.a. con qualifiche e mansioni di tipo tecnico –
amministrativo ed inquadramento nel V e nel IV livello CCNL unico Acqua e Gas –
avverso la decisione del Tribunale di La Spezia che aveva rigettato il ricorso
dei predetti, intesi ad ottenere l’accertamento della illegittimità sia del
distacco del 1.3.2014 presso l’A. Ambiente, sia della successiva cessione del
loro contratto di lavoro dal 1.3.2014, nonché dei demansionamenti e successive
dequalificazioni con attribuzione di mansioni di III livello B CCNL Fise
Assoambienti, quali addetti alla raccolta porta a porta (Calzetta e
Quarantello) e di IV livello, quali addetti agli impianti (gli altri due).

1.1. Era richiesta la condanna della prima società
(A. s.p.a.) a reintegrare i lavoratori nel loro posto di lavoro con le mansioni
e gli inquadramenti precedentemente assegnati, oltre al risarcimento dei danni
professionali, in via subordinata nei soli confronti di A. Ambiente s.p.a.

2. La Corte rigettava l’appello incidentale
condizionato perché dello stesso non potevano ritenersi onerate le società
vittoriose in primo grado, tenute solo a riproporre le deduzioni ed eccezioni
sollevate non affrontate dal Tribunale, peraltro superate dalle altre
assorbenti eccezioni dalle stesse formulate.

3. Quanto all’appello principale, la Corte
territoriale osservava che il gruppo A., per ovviare alla grave crisi
manifestatasi, aveva da un lato iniziato una procedura di licenziamento
collettivo per 180 esuberi complessivi, conclusasi con sottoscrizione di
accordo quadro del 30.11.2012, volto ad individuare misure alternative
all’esodo, tra cui implementazione di attività quali il servizio di raccolta
porta a porta e, dall’altro, aveva dato corso ad un graduale processo di
internalizzazione dei servizi affidati in appalto, con previsione di
flessibilità di mansioni e facoltà delle aziende, in forza dell’art. 4, co. 11, della I. 223/91,
di assegnare ai lavoratori coinvolti mansioni diverse ed inferiori.

3.1. Osservava come erano state all’uopo predisposte
più graduatorie nei mesi successivi all’accordo del 2013 e nell’ultima di esse
erano stati previsti i criteri dell’anzianità di sevizio e dei carichi di
famiglia, secondo il rispettivo peso del 70% e del 30%, nonché il criterio
aziendale delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, le cui regole
applicative generali dovevano essere oggetto di successiva concertazione tra i
firmatari dell’accordo.

3.2. Aggiungeva che, in un successivo accordo, erano
stati ulteriormente specificati i criteri dell’anzianità di servizio e dei
carichi di famiglia da applicare per la formazione della graduatoria, dalla
quale erano da escludere i lavoratori già coinvolti nelle internalizzazioni ed
ottimizzazioni e le figure professionali per le quali era impossibile reperire
identiche professionalità.

3.3. La Corte riteneva che, a fronte di tali
pattuizioni, dovevano ritenersi rispettati i criteri di individuazione del
personale da distaccare, con assegnazione di differenti ed inferiori mansioni,
e che non era stato eliminato il criterio delle esigenze aziendali, che, anzi,
erano state prese in forte considerazione laddove era stata lasciata ampia
discrezionalità alle società in ordine alle esclusioni suddette dalle graduatorie,
con possibilità di formazione di sub graduatorie cd. operative, dalle quali
erano stati esclusi i soggetti suindicati.

3.4. Infondato era, secondo la Corte, il rilievo che
le esternalizzazioni avrebbero dovuto essere realizzate una volta conclusesi le
internalizzazioni, in considerazione della gradualità con cui gli accordi
avevano fissato le varie fasi di risanamento, come dimostrato dalla mancanza di
ogni rilievo da parte delle organizzazioni sindacali, che avevano partecipato
alle formazioni delle sub graduatorie. Quanto alle dedotte violazioni di legge,
se pure l’accordo sindacale di cui all’art. 4 I. 223/91 era stato
raggiunto nell’ambito di una procedura di mobilità per esodare gli esuberi
mediante licenziamenti collettivi, la procedura si era conclusa senza adozione
di alcun licenziamento, essendosi pattuite misure conservative dei posti di
lavoro, tra cui la flessibilità delle mansioni, e la normativa consentiva agli
accordi sindacali stipulati nel corso di procedure di mobilità, nell’ambito di
un progetto di riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti
eccedentari, di stabilire, anche in deroga al secondo comma dell’art. 2103 c.c., la loro assegnazione a mansioni
diverse ed inferiori rispetto a quelle svolte a garanzia del posto di lavoro,
per scongiurarne il licenziamento. Veniva evidenziato come ciò doveva ritenersi
consentito anche nell’ipotesi di riassorbimento mediante l’assegnazione di
mansioni inferiori con distacco presso soggetti terzi dei lavoratori, con
interpretazione estensiva della previsione normativa. Né poteva ritenersi
sindacabile, secondo la Corte, la decisione aziendale di sopprimere alcune
mansioni, delle quali non poteva ritenersi da parte dei lavoratori l’utilità
permanente per la distaccante.

3.5. I quattro lavoratori appellanti avevano
mantenuto lo stesso trattamento retributivo presso la distaccataria e,
successivamente al loro distacco, era intervenuta la legge n. 147/2013 (legge di stabilità) che, ai commi 563 e ss., aveva previsto
la possibilità tra società controllate direttamente ed indirettamente dalle
PP.AA. di una mobilità senza necessità del consenso dei lavoratori: in forza di
tale normativa i contratti di lavoro degli appellanti erano stati ceduti a
decorrere dal 1.3.2014 ad A. Ambiente. Il dedotto demansionamento era stato,
dunque, consentito dall’ accordo sindacale sulla flessibilità, mentre, pure
essendo fondata la questione della dedotta dequalificazione in relazione alla
circostanza che era stata disattesa la previsione di coerenza con il relativo
ordinamento professionale, i lavoratori non avevano dimostrato di avere subito
alcun pregiudizio o danno patrimoniale, avendo mantenuto lo stesso trattamento
retributivo.

Anche il danno alla professionalità ed alla salute
psichica, collegati al demansionamento, dovevano ritenersi insussistenti per
essere stata esclusa l’illegittimità di quest’ultimo.

3.6. Infine, la Corte rilevava che dalla
documentazione prodotta dalle appellate era evincibile che la società era stata
osservante degli obblighi relativi agli adempimenti richiesti anche con
riguardo alle informative preventive delle OO.SS. e delle rappresentanze
sindacali operanti presso la società. Quanto al rilievo dell’impossibilità che
una procedura di licenziamento collettivo si concludesse con una cessione di
contratti, evidenziava come la procedura di mobilità si era conclusa senza alcun
licenziamento, ma con un riassorbimento di eccedenze ed il trasferimento dei
contratti costituiva un ulteriore e diverso strumento utilizzato dal gruppo per
usciere dalla crisi nell’ambito del progetto indicato.

4. Di tale decisione hanno domandato la cassazione i
lavoratori, affidando l’impugnazione a due motivi, cui hanno resistito, con
unico controricorso, le due società.

5. La causa, fissata per l’adunanza camerale del
18.6.2019 (per la quale il P. G. aveva depositato requisitoria scritta), è
stata rinviata a nuovo ruolo per consentirne la trattazione in pubblica
udienza, non ravvisandosi i presupposti per la sua trattazione in sede
camerale.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, R.R. e gli altri ricorrenti
epigrafati denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 30 d. Igs. 276/2003 ed
erronea sussunzione della fattispecie concreta nell’ipotesi normativa astratta
invocata, osservando che per il distacco è previsto dall’art. 30, co. 3, d. Igs. 276/2003
che lo stesso, ove comporti un mutamento di mansioni, debba avvenire con il
consenso del lavoratore interessato e che la norma non possa essere disattesa,
ritenendo che ciò sia consentito in quanto il distacco avvenga secondo
previsioni contenute in Accordi Sindacali che prendano in esame la necessità di
riduzioni collettive di personale ex I. 223/91.

1.1 Si assume che quest’ultima normativa prevede la
possibilità di dequalificazione solo all’interno della stessa azienda, che
consente di superare il divieto di cui all’art.
2103 c.c., ma non quando si ricada nella disciplina del distacco, speciale
ed autonoma rispetto alla regola generale dei licenziamenti collettivi. I
lavoratori evidenziano, poi, che vi sia un contrasto tra affermazioni
inconciliabili, laddove la sentenza impugnata motiva nel senso anzidetto e
prima, nelle righe precedenti, afferma che l’accordo sindacale è stato
raggiunto nell’ambito di una procedura di mobilità che si è conclusa senza
l’adozione di licenziamento, essendosi pattuite altre misure conservative dei
posti di lavoro che ne escludevano la sussistenza, in ragione della concordata
applicazione dei contratti di solidarietà.

2. Con il secondo motivo, i lavoratori lamentano
violazione e/o falsa applicazione, quanto all’erronea sussunzione della
fattispecie concreta nell’ipotesi normativa astratta invocata, degli art. 1, commi da 563 a 569, L. 147/2013, nonché dell’art. 5, comma 2, del d. I. 90/2014,
convertito, con modificazioni, dalla I. 114/2014,
che ha introdotto il comma 567
bis all’art. 1 della I. 147/2013, nonché dell’art.
2112 c.c., sostenendo che sia stato violato in particolare il comma 566, laddove è previsto
che sia l’Ente controllante, cioè il Comune di La Spezia, a procedere alla
ricollocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell’ambito della
stessa società, ovvero presso altre società, con le modalità previste dal comma 563.

3. L’art.
8, co. 3, del d.I. 148/1993, convertito con modificazioni dalla I. 236/1993 prevede che “gli accordi
sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono regolare il
comando o il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa ad altra per una
durata temporanea”.

3.1. In termini generali l’art. 30, comma 4, d. Igs. 276/2003
dispone nei seguenti termini: “1. L’ipotesi del distacco si configura
quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone
temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per
l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. 2. In caso del distacco il
datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a
favore del lavoratore. 3. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni
deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un
trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il
lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni
tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. 4. Resta ferma la disciplina
prevista dall’articolo 8, comma
3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni,
dalla legge 19 luglio 1993, n. 236”.

3.2. L’art. 4, comma 11, I. 223/1991,
a sua volta, prevede: “Gli accordi sindacali stipulati nel corso delle
procedure di cui al presente articolo, che prevedano il riassorbimento totale o
parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire anche in deroga
al secondo comma dell’articolo 2103 del codice
civile la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte.

3.3. Tali essendo le norme di riferimento, va
rilevato come questa Corte abbia evidenziato il carattere speciale dell’art. 4 I. 223/91, che, nel
prevedere la possibilità per gli accordi sindacali, nel corso delle procedure
di mobilità, di stabilire, per garantire il reimpiego di almeno una parte dei
lavoratori, che il datore di lavoro assegni gli stessi, in deroga all’art. 2103 cod civ. a mansioni diverse da quelle svolte,
non pone alcuna preclusione all’assegnazione di mansioni anche inferiori o
peggiorative – ivi compreso il trasferimento o la trasferta del lavoratore da
una unità produttiva all’altra – trattandosi di rimedio volto ad evitare il
licenziamento, fermo restando che questi non sono vincolati alla deroga poiché
possono rifiutare la dequalificazione affrontando il rischio del licenziamento
(cfr., in tali termini, Cass. 1.7.2014 n. 14944).

3.4. Anche in caso di distacco del lavoratore, con
mutamento delle mansioni, anche solo parziale purché effettivamente idoneo a
ledere il patrimonio di professionalità acquisito, ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003
è richiesto, quale elemento costitutivo e condizione di legittimità della
fattispecie, il consenso del lavoratore distaccato, il quale, ricevuta la
comunicazione del provvedimento, è pertanto onerato del solo rifiuto ma non
anche di rendere note le ragioni che lo sorreggono, rilevando a tali fini il
solo mutamento oggettivo delle mansioni, quale conseguenza dell’attuazione
dell’ordine, e non anche la rappresentazione di esso fornita dal datore di
lavoro nella lettera di comunicazione (Cass.
13.12.2018 n. 32330).

3.5. Tali arresti giurisprudenziali evidenziano la
specialità dell’ipotesi del demansionamento dei lavoratori sia in tema di
licenziamento collettivo che di distacco, in presenza di accordi collettivi,
essendo principio generalmente valido quello del relativo divieto, ritenuto
derogabile, quanto all’ipotesi del distacco, ove ricorra l’ipotesi specifica
disciplinata dall’art. 8, comma
3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni,
nella legge 19 luglio 1993, n. 236 (che si
fonda su accordi sindacali e sull’esclusivo interesse dei lavoratori comandati
o distaccati a non perdere il posto di lavoro). In tal caso la deroga incide
sulla previsione di carattere generale che consente la dissociazione fra il
soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo
beneficiario della prestazione (c.d. distacco o comando) soltanto a condizione
che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro
in corso con il distaccante, nel senso che il distacco realizzi uno specifico
interesse imprenditoriale che consenta di qualificare il distacco medesimo
quale atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando una
mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ed il
conseguente carattere non definitivo del distacco stesso (cfr. Cass. 23.4.2009 n. 9694).

3.6. Va ritenuto che, in presenza di accordi
collettivi, come nella specie, non sussiste neanche la contraddizione tra parti
della pronuncia d’appello evidenziata in ricorso, in quanto la procedura di
licenziamento collettivo era stata comunque aperta, anche se si era conclusa con
un accordo che escludeva i licenziamenti, prevedendo legittimamente la
possibile assegnazione dei lavoratori eccedentari ad altra azienda del gruppo
con mansioni inferiori, pur nella irriducibilità della retribuzione, in
applicazione della normativa di cui all’art. 8 co. 3 d.I. 148/93,
fatta salva dal citato art. 30 d.
Igs. 276/2003, co. 4.

Peraltro, nella specie, trattandosi di gruppo di
aziende partecipate dal Comune per l’esercizio di servizi pubblici locali,
sussisteva anche lo specifico interesse del datore di lavoro distaccante a
contribuire alla realizzazione di una struttura organizzativa coerente con gli
obbiettivi di maggiore funzionalità del raggruppamento, rendendo l’ipotesi del
distacco conforme alla sua definizione normativa, di cui all’art. 30 d. Igs. cit.

3.7. Correttamente è stato pertanto ritenuto che il
demansionamento non fosse stato illegittimo e che, quanto alla
dequalificazione, non vi era stata deduzione e prova di alcun pregiudizio in
concreto subito.

3.8. Per quanto detto, l’adozione di misure
alternative alla riduzione del personale legittimamente è stato ritenuto
consentito in quanto previsto da accordi sindacali stipulati nell’ambito della
procedura di mobilità iniziale e dalla norma fatta salva in tema di disciplina
generale del distacco ed in ogni caso, quanto agli ulteriori profili, non è
neanche evidenziato l’interesse che sorregge le critiche, se non è contestato
dai lavoratori il capo della decisione che afferma come non provato alcun
pregiudizio discendente dalla dedotta dequalificazione.

4. Il secondo motivo in parte è connotato da novità,
perché non si indica in che termini delle disposizioni contemplate dal comma 566 dell’art. 1 della I.
147/2013 fosse stata dedotta la violazione. Il comma 567 bis introdotto dal d. I. 90/2014, convertito dalla l. 114/2014, non è richiamabile ratione temporis
ed, in ogni caso, il motivo pecca di specificità rispetto alla rado decidendi,
non censurata idoneamente quanto alla possibilità, legittimata dall’accordo
sindacale sulla flessibilità, di assegnazione a mansioni inferiori da parte
della società cessionaria, o, più precisamente, come evidenziato dalla Corte
territoriale, dovendo ritenersi consentito il differente inquadramento in
applicazione del diverso contratto applicato presso la cessionaria (CCNL
ASSOAMBIENTE al posto del CCNL Acqua e Gas), nella conservata identità di
trattamento retributivo dei lavoratori. In tal senso deve porsi richiamo anche
a Cass. 1178/2017 sulla ritenuta mancata allegazione di un concreto pregiudizio
sofferto per la dedotta dequalificazione, pur in astratto ipotizzabile secondo
la Corte d’appello, in quanto il comma
563 dell’art. 1 della legge di stabilità imponeva la coerenza con il
rispettivo ordinamento professionale.

5. In conclusione, essendo risultate tute le censure
inidonee a minare il fondamento del decisum, deve pervenirsi al complessivo
rigetto del ricorso.

6. Per il principio della soccombenza, va disposta
la condanna dei lavoratori al pagamento, in favore delle controricorrenti,
delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate nella misura
indicata in dispositivo.

7. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis, del citato D.P.R.,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 marzo 2020, n. 6289
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