Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 marzo 2020, n. 6441

Plurimi contratti a termine, Utilizzo abusivo di tale forma
contrattuale, Differenze retributive, Pagamento, Effettiva anzianità di
servizio, Specialità e autonomia del reclutamento del personale scolastico

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza qui
impugnata, in riforma delle decisioni del Tribunale di Milano e di Lodi rese
tra le parti, previa riunione dei giudizi, accoglieva l’impugnazione del
Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca nei confronti (tra gli altri)
di P.F., L.M., F.S.D., S.V., docenti che avevano stipulato con
l’Amministrazione plurimi contratti a termine, e rigettava le domande proposte
da quest’ultimi.

2. I Tribunali cui si erano rivolti detti docenti, i
quali avevano stipulato con l’Amministrazione plurimi contratti a termine,
avevano condannato il MIUR al risarcimento del danno da utilizzo abusivo di tal
forma contrattuale nonché al pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito
e quanto avrebbero dovuto percepire se correttamente inquadrati nei grado
stipendiali in base alla effettiva anzianità di servizio, peraltro, respingendo
la domanda principale di conversione dei contratti a termine in rapporti a
tempo determinato.

3. La ratio decidendi della sentenza d’appello si
basa sostanzialmente sull’affermazione di una specialità e autonomia del
reclutamento del personale scolastico tale da escluderne in radice la
compatibilità con la disciplina dettata in via generale, per i contratti di
lavoro a tempo determinato, dal d.lgs. n. 368 del
2001, attuativo dell’Accordo
Quadro Europeo del 18/3/1999 allegato alla Direttiva 99/70/CE.

In particolare, l’inoperatività del principio di
conversione dei rapporti di lavoro e l’inapplicabilità di un limite massimo
alla reiterazione dei contratti a termine, ove permanga la necessità di
sostituzione, troverebbero la loro puntuale giustificazione nel precipuo interesse
pubblico alla continuità didattica.

Il sistema delle supplenze, secondo la Corte
territoriale, parteciperebbe di un peculiare percorso formativo selettivo
attraverso il quale il personale della scuola è immesso in ruolo in virtù di un
modello di reclutamento alternativo rispetto a quello ordinario del concorso
per titoli ed esami. Non riscontrandosi alcuna violazione delle norme europee
gli insegnanti non potrebbero reclamare né la conversione a tempo indeterminato
dei rapporti né il risarcimento del danno in misura equitativa.

Operando una ricostruzione del complesso insieme
normativo del reclutamento nel comparto della scuola, ispirata a tale
propensione concettuale, la Corte d’appello ha escluso la violazione del
principio di parità di trattamento retributivo per i supplenti della scuola,
rispetto al più favorevole trattamento del personale scolastico immesso nei
ruoli, giustificando tale assunto con la speciale valenza dei servizi pre-ruolo
ai fini della stabilizzazione, e del sistema del c.d. doppio canale di cui all’art. 399 del d.lgs. n. 297 del
1994 e successive modifiche, che nel fissare i criteri per l’individuazione
del supplente in base alla graduatoria aggiornata di volta in volta col punteggio
calcolato sul numero degli incarichi e sulla loro durata, ne agevola la
possibilità di occupazione in vista dell’immissione in ruolo.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di
appello ricorrono i docenti prospettando cinque motivi di ricorso.

5. Resiste il MIUR con controricorso.

5. I ricorrenti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la
violazione dell’art. 6 della CEDU
e dell’art. 24, primo comma, Cost. in relazione
alla composizione del Collegio della Corte d’appello.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, con
riferimento alla ritenuta specialità del sistema scolastico, violazione e falsa
applicazione dell’art. 4 della
legge n. 124 del 1999, dell’art.
1, comma 1, del d.l. n. 134 del 2009, conv. dalla legge n. 167 del 2009, dell’art. 9, comma 18, del d.l. n. 70 del
2011 conv. dalla legge n. 106 del 2011.
Incompatibilità con la Direttiva 99/70/CE del
Consiglio del 28 giugno 1999. Insufficienza e contraddittorietà della
motivazione.

4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta, con
riferimento alle ragioni oggettive richieste dalla disciplina comunitaria,
l’incompatibilità dell’art. 4
della legge n. 124 del 1999, dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 134 del
2009, conv. dalla legge n. 167 del 2009,
dell’art. 9, comma 18, del d.l. n.
70 del 2011, conv. dalla legge n. 106 del 2011,
con la Direttiva 99/70/CE.

5. Con il quarto motivo di ricorso è dedotto il
vizio di insufficienza della motivazione per omesso esame dei contratti oggetto
di impugnazione.

8. Con il quinto motivo di ricorso, con riferimento
al negato riconoscimento dell’anzianità pregressa, è dedotta la violazione
dell’art. 6 del d.lgs. n. 368 del
2001 e della clausola 4 dell’Accordo
Quadro allegato alla Direttiva 99/70/CE (art.
360, n. 3, cod. proc. civ.) nonché difetto e contraddittorietà della
motivazione circa la comparabilità degli assunti con contratto a tempo
determinato con quelli assunti con contratto a tempo indeterminato.

6. Il primo motivo è in parte inammissibile e in
parte infondato.

6.1. Deducono i ricorrenti che, in ragione di un
decreto del Presidente della Corte d’appello (che è trascritto nel motivo), i
giudici assegnatari del Collegio della Corte d’appello siano stati individuati
successivamente all’inizio della causa e con riferimento ad uno specifico
gruppo di cause, con l’applicazione di regole di assegnazione diverse da quelle
ordinarie e che “in tal modo si sarebbe posta in essere una violazione
delle norme indicate che presuppongono l’individuazione del giudice persona
fisica secondo criteri oggettivi e predeterminati sulla base delle regole
generalmente applicate dall’ufficio giudiziario e non secondo regole ad hoc per
la singola causa o gruppo di cause”.

Si richiamano nell’epigrafe le disposizioni che si
assumono violate senza tuttavia esplicitarne, in relazione alla fattispecie, il
contenuto precettivo. Inoltre, si prospetta come lesiva degli artt. 6 CEDU e 24, primo comma, Cost., l’applicazione per la
costituzione del Collegio giudicante di regole diverse da quelle ordinarie, e
di ciò i ricorrenti si dolgono, senza tuttavia né indicare, né riportare tali
regole ordinarie, neppure tramite semplice rinvio alle fonti che le prevedano.

Si palesa, pertanto, una parziale carenza, nella
prospettazione del motivo, del requisito prescritto dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.

6.2. Questa Corte, peraltro, ha già affermato (v.
Cass. 3 ottobre 2016, n. 19660) che il vizio di costituzione del giudice è
ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona
estranea all’ufficio, non investita della funzione esercitata, e che in
assoluto, non costituisce motivo di nullità del procedimento e della sentenza
la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato
secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna al
medesimo ufficio giudiziario.

D’altro canto lo stesso legislatore, nel riformulare
l’art. 7 bis del R.d. n. 12
del 30 gennaio 1941, ha previsto espressamente, al comma 1, che “la
violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari, salvo il possibile
rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti
adottati”.

6.3. Pertanto il primo motivo di ricorso deve essere
rigettato.

7. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di
ricorso, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione
logico-giuridica, non possono trovare accoglimento perché il dispositivo della
sentenza impugnata, che ha escluso la denunciata illegittimità dei termini
apposti ai contratti degli odierni ricorrenti, è conforme a diritto e pertanto
deve essere confermato, ex art. 384 comma 4 cod.
proc. civ., sia pure sulla base di una motivazione parzialmente difforme.

Con tali motivi si censurano le statuizioni che
hanno rigettato la domanda di declaratoria di illegittimità dei contratti a
termine con conseguente trasformazione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato
e di risarcimento del danno.

I ricorrenti ripercorrono la disciplina normativa
dei contratti a termine e la giurisprudenza della CGUE a fondamento delle
proprie censure.

7.1. Questa Corte, con le sentenze pronunciate
all’udienza del 18 ottobre 2016 (dal n. 22552
al n. 22557 e numerose altre conformi), ha affrontato tutte le questioni che
qui vengono in rilievo e, dopo avere ricostruito il quadro normativo e dato
atto del contenuto delle pronunce rese dalla Corte di Giustizia (sentenza 26 novembre 2014, Mascolo e altri, relativa
alle cause riunite C-22/13; C-61/13; C-62/13; C- 63/13; C-418/13), dalla
Corte Costituzionale (sentenza n. 187 del 20 luglio
2016) e dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza
n. 5072 del 15 marzo 2016) ha affermato i seguenti principi di diritto:

A. “La disciplina del reclutamento del
personale a termine del settore scolastico, contenuta nel d.lgs. n. 297 del 1994, non è stata abrogata dal d.lgs. n. 368 del 2001, essendone stata disposta
la salvezza dall’art. 70,
comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, che ad essa attribuisce un connotato
di specialità”.

B. “Per effetto della dichiarazione di
illegittimità costituzionale dell’art.
4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 e in applicazione della Direttiva 99/70/CE è illegittima, a far tempo dal
10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 11, della legge 3
maggio 1999, n. 124, prima dell’entrata in vigore della legge 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con
il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la
copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31
dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico,
sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore
a trentasei mesi”.

C. Ai sensi dell’art. 36 (originario comma 2,
ora comma 5) del d.lgs. n. 165 del 2001, la violazione di disposizioni
imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle
pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di
lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma
restando ogni responsabilità e sanzione.

D. Nelle ipotesi di reiterazione dei contratti a
termine stipulati ai sensi dell’art.
4, comma 1, della legge 3 maggio 1999, n. 124, realizzatesi prima
dell’entrata in vigore della legge 13 luglio 2015,
n. 107, con il personale docente, per la copertura di cattedre a posti
vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano
prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve essere qualificata
misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a
sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della
violazione del diritto dell’Unione” la misura della stabilizzazione
prevista nella citata legge 107 del 2015,
attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti
comuni e di sostegno dell’organico di diritto, relativamente al personale
docente, sia nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello
in cui vi sia certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso
privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento
delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell’art. 1 della legge n. 107 del 2015.

E. Nelle predette ipotesi di reiterazione,
realizzatesi dal 10.07.2001 e prima dell’entrata in vigore della legge 13 luglio 2015, n. 107, con il personale
docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di
cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che
rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve essere
qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed
idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze
della violazione del diritto dell’Unione” la stabilizzazione acquisita dai
docenti e dal personale ausiliario, tecnico ed amministrativo, attraverso
l’operare dei pregressi strumenti selettivi concorsuali.

F. Nelle predette ipotesi di reiterazione,
realizzatesi prima dell’entrata in vigore della legge
13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con
quello ausiliario, tecnico ed amministrativo, per la copertura di cattedre e
posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano
prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve affermarsi, in
continuità con i principi affermati dalle SS.UU. di questa Corte nella sentenza 5072 del 2016, che l’avvenuta immissione
in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per risarcimento dei danni
ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo stessa,
con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore,
in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria di cui alla
menzionata sentenza.

G. Nelle predette ipotesi di reiterazione di
contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4, comma 1, I. n. 124 del 1999,
avveratasi a far data da 10.07.2001, ai docenti ed al personale amministrativo,
tecnico ed ausiliario che non sia stato stabilizzato e che non abbia (come
dianzi precisato) alcuna certezza di stabilizzazione, va riconosciuto il
diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati
nella già richiamata sentenza delle SSUU di questa Corte
n. 5072 del 2016.

H. Invece nelle ipotesi di reiterazione di contratti
a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su “organico
di fatto” e per le supplenze temporanee non è in sé configurabile alcun
abuso ai sensi dell’Accordo Quadro
allegato alla Direttiva fermo restando il diritto del lavoratore di
allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta tipologia di
supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le sintomatiche
condizioni concrete della medesima.

7.2. In applicazione dei predetti principi, nella
fattispecie dedotta in giudizio non è configurabile alcuna abusiva reiterazione
dei contratti a termine in quanto, per come emerge dalla lettura del ricorso e
dall’elencazione delle supplenze conferite ai ricorrenti, gli incarichi hanno
avuto, nella maggior parte dei casi, termini inferiori o coincidenti con il 30
giugno dell’anno scolastico di riferimento e, quindi, non sono riconducibili
alla supplenza annuale ex art. 4,
comma 1, della legge n. 124/1999, integrando, invece, supplenze temporanee
o sino al termine delle attività didattiche ex commi 2 e 3 del richiamato art. 4, per le quali
l’illegittimità va esclusa sulla base delle considerazioni espresse da questa
Corte nei punti da 97 a 102 della sentenza n.
22552/2016, che vanno qui ribadite.

Quanto alle posizioni dei ricorrenti F. e V., unici
ad avere ricoperto incarichi annuali ex art. 4 comma 1 della richiamata I.
n. 124/1999, difetta l’ulteriore requisito del superamento di 36 mesi
richiesto ai fini dell’abusività della reiterazione dei contratti (v. punti
62-66 e 119 B della citata Cass. n. 22552/2016).

Né può assumere rilievo la circostanza che le
supplenze sino al termine delle attività di didattiche, ossia sino al 30
giugno, possano riguardare anche posti dell’organico di diritto, qualora la
vacanza si manifesti successivamente al 31 dicembre, perché proprio
quest’ultima condizione porta ad escludere quello che è l’elemento
caratterizzante la supplenza annuale, ossia la necessità e la prevedibilità
della stessa sin dal momento di avvio o comunque dai primi mesi dell’anno
scolastico.

7.3. D’altra parte, i ricorrenti hanno mai dedotto o
allegato – se non con apodittica e generica affermazione – che vi sia stato,
nella concreta attribuzione delle supplenze sui posti in organico di fatto, un
uso improprio o distorto del potere di macrorganizzazione delegato dal
legislatore al Ministero in ordine alla ricognizione dei posti e delle concrete
esigenze del servizio né tampoco hanno allegato circostanze concrete (quali il
susseguirsi delle assegnazioni presso lo stesso Istituto e con riguardo alla
stessa cattedra) che consentissero di ritenere permanenti e durature le
esigenze di copertura dei posti di fatto disponibili.

7.4. Quanto evidenziato ai punti che precedono rende
irrilevante la questione posta in sede di memoria dai lavoratori circa la
permanenza di un diritto al risarcimento del danno anche in ipotesi di
immissione in ruolo, questione che presuppone una declaratoria di illegittimità
delle assunzioni.

8. E’ invece fondato il quinto motivo.

Espongono i ricorrenti che essi avrebbero interesse
a vedersi computata l’anzianità cumulando i diversi rapporti a termine che si
sono succeduti con il MIUR, domanda rigettata dal giudice di merito.

La censura, dunque verte sulla violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001
e della clausola 4 dell’Accordo
Quadro allegato alla Direttiva 99/70/CE, dolendosi i ricorrenti del mancato
riconoscimento del diritto ad una piena anzianità di servizio.

I docenti deducono che la citata clausola 4 prevede
sia un divieto generale di discriminazione tra lavoratori a termine e
lavoratori a tempo indeterminato comparabili, sia una specifica prescrizione
applicativa in tema di anzianità, come riconosciuto dalla Corte di Giustizia,
che devono trovare applicazione nella specie poiché nessun dubbio può
sussistere sulla comparabilità dei due gruppi di lavoratori.

8.1. La sentenza impugnata, nell’escludere il
diritto al riconoscimento a fini retributivi della anzianità di servizio, si
pone in contrasto con il principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, con le quali
si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo
Quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla Direttiva n. 99/70/CE, di diretta applicazione,
impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del
comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione
della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo
indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le
disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità
maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo
determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo
indeterminato”.

8.2. A dette conclusioni la Corte è pervenuta
valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla
interpretazione della clausola 4 dell’Accordo
Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di
assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego”
che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo
indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità
del termine apposto al contratto.

8.3. Non può, invece, essere riconosciuto il diritto
a percepire gli scatti biennali previsti dall’art. 53 della legge n. 312 del
1980, e in proposito deve essere ribadito il principio affermato dalla sentenza n. 22558 del 2016 con la quale,
ricostruito il quadro normativo e contrattuale, si è statuito che: “In
tema di retribuzione del personale scolastico, l’art. 53 della I. n. 312 del
1980, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo,
non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola
ed è stato richiamato, ex artt.
69, comma 1, e 71 del
d.lgs. n. 165 del 2001, dal c.c.n.l. 4 agosto
1995 e dai contratti collettivi successivi, per affermarne la perdurante
vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione”.

9. Nei termini di cui in motivazione va
conclusivamente accolto il quinto motivo di ricorso e vanno rigettati gli
altri.

La sentenza impugnata deve essere cassata, in
relazione al motivo accolto e con riguardo alla posizione degli odierni
ricorrenti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte
d’appello di Milano che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto
sopra enunciati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli
altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia
anche per le spese alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 marzo 2020, n. 6441
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