Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6761
Trattamento di integrazione salariale, Illegittima
sospensione nell’ambito della procedura di cigs, Differenze retributive,
Crisi aziendale
Rilevato
1. Che con sentenza n. 674/2015 la Corte di appello
di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la società
New H.C.M. s.p.a. (da ora NHC) al pagamento in favore di M.E. della somma di €
11.026,00 oltre accessori a titolo di differenze tra la normale retribuzione di
fatto ed il trattamento di integrazione salariale percepito dal lavoratore per
effetto della illegittima sospensione nell’ambito della procedura di cigs in relazione
al periodo dal 12.10.2009 all’11.10.2010;
2. che la statuizione di illegittimità della
sospensione è stata fondata sulla genericità ed indeterminatezza dei criteri
enunciati nella comunicazione ex art. 5 legge n. 164 del 1975 circa i
lavoratori da sospendere, esclusa ogni efficacia sanante ai verbali di esame
congiunto tra la società e le organizzazioni sindacali ed agli accordi
successivi intervenuti tra i medesimi soggetti; in ogni caso, era da escludere
la sussistenza del presupposto al quale era stata ancorata la cigs,
rappresentato da un evento imprevisto ed imprevedibile costituito dal tracollo
verticale delle vendite; dalla documentazione in atti emergeva, infatti, una
situazione di peggioramento nota all’azienda come dimostrato dal ricorso alla
cigs senza soluzione di continuità rispetto alla precedente cigo;
3. che per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso la società sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con
tempestivo controricorso;
Considerato
1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla esistenza
di un contratto collettivo aziendale stipulato in data 7 ottobre 2009 con RSU
per il ricorso all’integrazione salariale straordinaria, contratto intervenuto
prima della sospensione e confermato dalle stesse RSU mediante l’accordo in
data 8.10.2009 con il quale le parti sociali concordavano sulla necessità della
sospensione a zero ore potenzialmente di tutti i lavoratori e sulla
impossibilità della rotazione a fronte dell’esiguità dei volumi produttivi.
Argomenta, quindi, dell’acquiescenza, configurabile nel caso in esame, stante
il comportamento concludente del lavoratore che aveva atteso sei anni prima di
agire in via giudiziale. Sostiene, inoltre, che l’accordo dell’ottobre 2009,
intervenuto prima della sospensione, aveva sanato gli eventuali profili di
illegittimità della procedura, come espressamente confermato dalla previsione
di cui all’art. 1, comma 45, legge
n. 92 del 2012;
2. che con il secondo motivo deduce violazione e
falsa applicazione degli artt. 112 cod.proc.civ.,
dell’art. 12, comma 1, Preleggi cod. civ.,
dell’art. 1399 c.c., 100
cod. proc. civ., degli artt. 1337, 1138 e 1227 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata per avere ignorato
l’eccezione della società riferita agli accordi richiamati nel motivo
precedente, intervenuti in epoca antecedente alla sospensione;
deduce, inoltre, che la sentenza, negando che il
lavoratore fosse vincolato da tali accordi e comunque dalla sua
<<concludente>> adesione agli stessi, aveva violato il principio
generale dell’acquiescenza desumibile dagli artt.
329 cod.proc.civ. e dall’art. 2937 cod. civ.
e, quindi, l’art. 12, comma 2 Preleggi e/o l’art. 1399 cod. civ., in tema di ratifica
dell’operato del rappresentante che stipula contratti senza mandato; in
subordine, si duole del rigetto della eccezione formulata dalla società in
relazione alla partecipazione di un membro della RSU ( eletto, quindi, anche
dal C.M.) alle trattative sindacali ed alla stipula degli accordi sulla cigs e
sui distacchi conseguenti, senza opporre alcuna riserva, configurandosi la
successiva condotta quale violazione del principio di buona fede di cui agli artt. 1337 e 1338 cod.
civ., preclusiva in quanto tale della domanda di risarcimento del danno;
3. che con il terzo motivo deduce violazione o falsa
applicazione dell’art. 7, comma
1, legge n. 223 del 1991 e degli artt. 1362
e 1363 cod. civ.
Richiamata la crisi di settore ed il brusco calo
delle vendite, con azzeramento pressoché totale degli ordini, deduce che la
corretta interpretazione della comunicazione di avvio della procedura era nel
senso di sospendere a zero ore tutti i dipendenti aventi diritto
all’integrazione salariale per dodici mesi; il numero di dipendenti coinvolti
coincideva, infatti, per come pacifico, con la totalità dei dipendenti ad
eccezione dei dirigenti;
4. che con il quarto motivo deduce violazione o
falsa applicazione degli artt.
7, comma 1, legge n. 223 del 1991, censurando la sentenza impugnata per non
avere considerato che, a fronte del notorio crollo della domanda dei prodotti
commercializzati, frutto della crisi internazionale di settore, la esistenza di
accordi consensuali con le organizzazioni sindacali e la previsione di una
cogestione in tema di criteri e di lavoratori da sospendere, consentiva di
ritenere raggiunto l’obiettivo di garanzia alla base del richiamato art. 7, senza necessità di
specificazioni particolari;
5. che con il quinto motivo deduce omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio. Nel censurare l’affermazione della Corte di
merito, la quale aveva escluso la configurabilità del presupposto – costituito
da un evento imprevisto ed imprevedibile – per il quale vi era stata ammissione
alla cigs, si duole della omessa considerazione della sussistenza di una crisi
per evento aziendale improvviso ed imprevedibile;
6. che con il sesto motivo deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,
dell’art. 5, legge n. 164 del
1975, dell’art. 1, comma 5,
legge n. 223 del 1991 nonché dell’art.1, lett.
e) del DM 31826 del 18.12.2002. Rappresenta che la causale addotta dalla
società (crisi aziendale per evento imprevisto ed imprevedibile ex art. 1 lett. e) DM 31826 del 18.12.2002)
ricomprende tra gli eventi improvvisi ed imprevisti anche quelli esterni
all’azienda riguardanti «situazioni emerse in ambito nazionale o internazionale
che comportino una ricaduta sui volumi produttivi dell’impresa … ».
Assume che a tale ambito era riconducibile il crollo
della domanda di mercato alla base della richiesta di cigs.
La sentenza impugnata, nel sostenere che la
situazione in peggioramento era nota all’azienda, aveva quindi violato l’art. 112 cod. proc. civ. e la normativa sulla cigs
in tema di crisi aziendale;
7. che i primi due motivi, esaminati congiuntamente
per connessione, sono infondati. La sentenza impugnata ha motivato
l’accoglimento dell’appello del lavoratore richiamando propri precedenti
intervenuti in relazione al medesimo contenzioso nei quali era evidenziata, tra
l’altro, la necessaria connotazione di specificità delle comunicazioni di avvio
della procedura di cigs in relazione alle ragioni della sospensione, ai criteri
di scelta dei lavoratori da sospendere e di quelli adottabili per la rotazione;
tale connotato di specificità era in concreto da escludere in relazione alla
comunicazione di avvio del 17 settembre 2009, per essere i criteri enunciati
talmente generici da rendere impossibile qualsiasi valutazione di coerenza tra
gli stessi e la selezione del lavoratore da sospendere; in tale contesto era
stata esclusa la efficacia sanante dei verbali di esame congiunto (compreso
quello del 7 ottobre 2009) e degli accordi successivi, compresi quelli di
distacco in quanto, in sintesi, intervenuti a procedura già iniziata,
successivamente alla sospensione; la Corte aveva, inoltre, ulteriormente evidenziato
che il rischio di scelte discrezionali << è proprio quello verificatosi
nella fattispecie posto che risulta chiara l’insufficienza dei criteri della
“distribuzione equilibrata nell’avvicendamento di periodi di attività e di
periodi di sospensione” e delle “condizioni tecnico organizzative che
dovessero richiedere la rotazione del personale interessato”, non
accompagnati da alcun parametro concreto cui ancorarli, non risultando neppure
definito l’ambito di applicazione della rotazione né in relazione alle
professionalità né in relazione al numero dei lavoratori coinvolti >> (
v. sentenza pag. 20, ultimo capoverso, con prosieguo alla pagina 21);
7.1. che le ragioni alla base del decísum resistono
alle censure articolate, secondo quanto già ritenuto in condivisibili
precedenti di questa Corte, (Cass. n. 10483 del
2019, Cass. n. 11600 del 2017, Cass. n. 11601 del 2017, Cass. n. 26394 del
2016, Cass. 15994 del 2016) i quali, in relazione allo stesso contenzioso,
hanno scrutinato i medesimi profili di censura articolati con il presente
ricorso. In tali precedenti è stata, innanzitutto, esclusa la efficacia sanante
sia delle pattuizioni collettive intervenute dopo la sospensione dei lavoratori
sia di quelle precedenti; con riguardo a queste ultime, con motivazione
sovrapponibile in relazione alla fattispecie in esame, Cass. n. 15994 del 2016
ha osservato che <<l’esclusione dell’effetto retroattivo rispetto a
scelte in concreto già operate, con l’avvio della sospensione, costituiva solo
una delle ragioni di negazione dell’efficacia sanante dell’accordo sindacale
(Cass. 30 gennaio 2011, n. 2155): la principale dovendo piuttosto essere
ricercata nella sua non esaustività in ordine alle esigenze conoscitive e di
esternazione imposte dal combinato disposto dell’art. 5 L. 164/1975 e dell’art. 1, settimo ed ottavo comma L.
223/1991. Perché solo nel caso della sua piena esaustività sarebbe inutile
formalismo imporre al datore di comunicare alle OO.SS. quei criteri di
selezione che proprio con esse ha elaborato (Cass.
12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 3 maggio 2004
n. 8353). Ed occorre pure tenere conto che la possibilità di efficacia
sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta è stata ammessa solo in
casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione
sia strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di
partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai
lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali (Cass. 18 novembre 2015, n. 23622; Cass. 11 marzo
2015, n. 4886) » (Cass. 15994/2016 cit.);
7.2. che a tanto consegue che anteriormente
all’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012,
il vizio della comunicazione di avvio della procedura non può essere sanato con
un successivo accordo seppur intervenuto prima della concreta sospensione dei
lavoratori, come nel caso che qui si esamina;
7.3. che per effetto della proposta ricostruzione
rimangono assorbite le censure che attengono alla pretesa violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione al
denunciato omesso esame delle censure che investivano specificatamente
l’incidenza degli accordi sopravvenuti sulla comunicazione aziendale di avvio
della procedura;
7.4 che le ragioni di illegittimità della procedura
danno contezza, come già ritenuto da Cass. 15994/2016 cit., anche
dell’implicito rigetto della eccezione relativa alla pretesa acquiescenza del
lavoratore;
8. che il terzo e il quarto motivo di ricorso,
trattati congiuntamente per connessione, sono infondati;
8.1. che al giudice di appello spetta la valutazione
di adeguatezza della specificazione dei criteri di individuazione dei
lavoratori da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione,
risolvendosi tale valutazione nella formulazione di un giudizio di merito al
pari di quello concernente la comunicazione di avvio della procedura,
pertinente in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione
solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. n. 23622 del 2015, Cass. n. 12096 del 2014,
Cass. n. 9705 del 2014);
8.2. che la giurisprudenza di legittimità ha
chiarito che: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità
dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica
della corrispondenza della scelta dei lavoratori ai criteri predeterminati; b)
la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione
salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente
tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola
l’obbligo di comunicazione previsto dall’art.1, settimo comma legge n. 223
del 1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata
indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina
l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere
giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è
finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi,
soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. n. 4886 del 2015, Cass. n.
18895 del 2014, Cass. 14/5/2012, n. 7459). Con
particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. n.
22540 del 2013, Cass. n. 25100 del 2013) che l’aggettivazione “non
individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la
necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo
la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che
“un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime
soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” . Si aggiunga
poi che in tema di procedimento per la concessione della cigs, l’art. 1, comma 7, della legge n.
223 del 1991 nel prevedere a carico del datore di lavoro un obbligo di
comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali e provinciali dei criteri
di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché delle modalità della
rotazione prevista dal successivo comma 8 (ovvero dei criteri alternativi ove
tale meccanismo non sia stato adottato per ragioni di ordine tecnico e
organizzativo ritenute meritevoli di accoglimento), appresta una garanzia di
natura procedimentale ed opera su un duplice piano di tutela – delle
prerogative sindacali e delle garanzie individuali – assolvendo alla funzione
di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di
scelta dei lavoratori da sospendere e di assicurare al lavoratore,
potenzialmente interessato alla sospensione, la previa individuazione dei
criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del
datore di lavoro. Ne consegue che la violazione delle regole del procedimento
incide direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di
concessione dell’intervento straordinario di integrazione salariale che non può
essere assentito ove non sia stato indicato e comunicato né il criterio della
rotazione né altro criterio che individui, in alternativa a quest’ultimo, i
lavoratori da sospendere (cfr. Cass. n. 19618 del
2011 e molte altre successive cfr. tra le tante Cass. 12089 del 2016); la
valutazione del giudice di merito risulta coerente con i parametri normativi
sopra richiamati;
8.3. che l’assunto della ricorrente secondo la
quale, in concreto, l’indicazione di tali criteri selettivi non sarebbe
necessaria fronte della deliberata scelta di sospendere tutto il personale in
servizio, ad eccezione di quello con qualifica dirigenziale, è priva di pregio
posto che non viene evocata, nel rispetto dei requisiti prescritti dall’art. 366 comma 1, n. 6 cod. proc. civ., la
risultanza processuale dalla quale tale circostanza emergerebbe; anzi, essa
sembra positivamente esclusa dalla lettura della comunicazione trascritta in
ricorso nella quale si fa riferimento alla sospensione di «un numero massimo di
727 lavoratori occupati presso il sito di San M.T.”>> Dal tenore
letterale della espressione, «un numero massimo di>>, si evince proprio
che il datore di lavoro non ha inteso necessariamente procedere alla sospensione
di tutti i dipendenti ma si è riservato di sospenderne anche un numero
inferiore con conseguente necessità di determinazione dei criteri oggettivi per
la loro individuazione. Di tanto dà correttamente atto la Corte di appello con
motivazione che non trascura nessun fatto allegato dalle parti nel giudizio
tanto meno l’allegata grave crisi del settore che costituisce il presupposto
della riduzione delle attività imprenditoriali;
9. che il rigetto dei primi quattro motivi assorbe
l’esame del quinto e del sesto motivo che investono la ratio decidendi,
ulteriore rispetto a quella oggetto dei motivi scrutinati, rappresentata dalla
non configurabilità in concreto del presupposto – evento imprevisto ed
imprevedibile ex art. 1 lett. e) DM 31826 del
18.12.2002, al quale era stata ancorata l’ammissione alla cigs della
società;
10. che le spese seguono la soccombenza;
11. che sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13
(Cass. Sez. Un. 23535 del 2019);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione
delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori
come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.