Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6787

Sanzioni per violazioni in materia di lavoro, Opposizione
ordinanza ingiunzione, Documentazione utilizzabile, Comma 8, art. 23, Legge nr.
689/1981, Qualificazione dei rapporti, Contenuto degli accordi intercorsi
– Clausole contrattuali, Indici di subordinazione

 

Rilevato che

 

la Corte di appello di Napoli ha accolto il gravame
del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali avverso la decisione di
primo grado e rigettato l’opposizione all’ordinanza ingiunzione nr. 254 del
2014 proposta da G.F. e avente ad oggetto sanzioni per violazioni in materia di
lavoro, in relazione a due rapporti di lavoro;

a fondamento del decisum, con riferimento alla
questione della documentazione utilizzabile ai fini della decisione, la Corte
territoriale ha osservato come dovesse distinguersi la documentazione prevista
dal comma 8 dell’art. 23 della
legge nr. 689 del 1981, da quella del successivo comma 9; la Corte
territoriale ha affermato come la prima, in quanto strettamente inerente
all’accertamento della violazione, fosse estranea alla disciplina dell’art. 416 cod.proc.civ. (rilevante – la disciplina
dell’art. 416 cod.proc.civ. -, ai sensi del
comma 9, solo per i documenti prodotti dall’Amministrazione che si costituisce
in giudizio);

i documenti indicati dal comma 8 dell’art. 23 cit.
sono, invece, richiesti d’ufficio, indipendentemente e al fuori della
costituzione dell’Amministrazione ed entrano a far parte del fascicolo
d’ufficio, al fine di consentire al giudice, e alla stessa parte opponente, una
compiuta conoscenza di ciò che è stato accertato e valutato al fine della
adozione e notifica dell’atto impugnato;

– nel merito, la Corte ha, quindi, giudicato
corretta la qualificazione dei rapporti di lavoro come di natura subordinata;

– ha proposto ricorso per cassazione G.F., con tre
motivi;

è rimasto intimato il Ministero in epigrafe; è stata
depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis
cod.proc.civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di
fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio; la parte ricorrente ha
depositato memoria;

 

Considerato che

 

con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e 5 cod.proc.civ.

– è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 416 comma 3 cod.proc.civ. in combinato
disposto con l’art. 6 della legge
nr. 150 del 2011, nella parte in cui la Corte di merito distingue, quanto
al termine per la produzione in giudizio della documentazione
dell’amministrazione, la previsione del comma 8 da quella del successivo comma
9;

– il primo motivo è infondato in relazione al
principio di questa Corte (v. Cass. nr. 9545 del 2018) secondo cui: « in tema
di procedimento di opposizione a sanzione amministrativa […] disciplinato
dall’art. 6 del d.lgs. n. 150 del
2011, il termine previsto dal comma
8 del cit. art. 6 per il deposito di copia del rapporto, con gli atti
relativi all’accertamento nonché alla contestazione o alla notificazione della
violazione non è, in difetto di espressa previsione, perentorio, a differenza
di quello contemplato dall’art. 416 c.p.c., che
si applica, in virtù del richiamo operato dall’art. 2, comma 1 del medesimo D.lgs.
nr. 150, per gli altri documenti depositati dall’Amministrazione» (il principio
è peraltro affermato anche in relazione all’omologa previsione dell’art. 7 del D.lgs. cit. in materia
di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada
da Cass. nr. 15887 del 2019 e Cass. nr. 16853 del 2016 ed, in precedenza, per
lo stesso termine di dieci giorni, fissato dall’art. 23, comma 2, della legge nr.
689 del 1981, da Cass. nr. 5828 del 2015 ed altre);

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e 5 cod.proc.civ. – è dedotta
violazione e falsa applicazione dell’art. 115
cod.proc.civ., dell’art. 437 cod.proc.civ.,
dell’art. 2222 cod.civ., dell’art. 6, comma 11, del D.Lgs. nr. 150
del 2011, dell’art. 24 Cost.;

le censure investono l’accertamento della natura
subordinata del rapporto di lavoro intercorso con Paolo Mone; parte ricorrente
imputa alla sentenza di aver tratto l’espresso convincimento senza assumere i
mezzi istruttori richiesti, sulla scorta di una opinabile valutazione di
verosimiglianza;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e 5 cod.proc.civ. – è dedotta
violazione e falsa applicazione dell’art. 115
cod.proc.civ., dell’art. 437 cod.proc.civ.,
dell’art. 2222 cod.civ., dell’art. 6, comma 11, del D.Lgs. nr. 150
del 2011, dell’art. 24 Cost.;

i medesimi rilievi di cui al precedente motivo sono
sviluppati in relazione all’accertamento della natura subordinata del rapporto
intercorso con N.G.; si critica la decisione per aver utilizzato le
dichiarazioni rese dal lavoratore alla Polizia Stradale e per aver conferito natura
confessoria alla comunicazione di assunzione inoltrata dalla ditta;

i motivi, per la loro evidente connessione, possono
congiuntamente esaminarsi e sono inammissibili;

le censure, piuttosto che denunciare puntuali
violazioni delle norme riportate in rubrica, investono interamente gli esiti
dell’accertamento compiuto dalla Corte di merito e quindi si risolvono in una
critica dell ‘iter logico-argomentativo che sorregge la decisione, a tale
riguardo, deve rammentarsi che, in relazione alla qualificazione del rapporto
compiuta dal giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità, sotto il
profilo della violazione di legge, soltanto la determinazione dei criteri
astratti e generali applicati alla fattispecie concreta mentre costituisce
apprezzamento di fatto, come tale sindacabile in cassazione nei ristretti
limiti di cui all’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.,
la valutazione, a mezzo delle risultanze di causa, del concreto atteggiarsi del
rapporto;

non è condivisibile la critica secondo cui la Corte
di appello di Napoli avrebbe aderito, in modo apodittico e senza idonei
elementi probatori, alla valutazione espressa dalla Direzione territoriale del
Lavoro;

i giudici hanno compiuto un accertamento che non
presta il fianco alle critiche mosse; ai fini della qualificazione dei
rapporti, hanno esaminato il contenuto degli accordi intercorsi e considerato
come le clausole contrattuali stabilissero:

1. lo svolgimento della prestazione con mezzi di
proprietà del datore di lavoro; 2. il rispetto dei tempi stabiliti dal datore;
3. la corresponsione di una retribuzione in misura fissa;

in tal modo, i giudici hanno valutato gli indici
rivelatori della subordinazione, cd. sussidiari, secondo gli insegnamenti di
questa Corte, valorizzando, in particolare, lo svolgimento della prestazione
lavorativa con strumenti di lavoro di proprietà datoriale, l’osservanza di un
orario, la forma di retribuzione.

a tali considerazioni, costituenti il nucleo
centrale della ratio deciderteli, la Corte ha poi aggiunto (pag. 7 sentenza
impugnata: «con l’aggiunta»), quanto alla posizione del lavoratore G.N., la
valutazione del contenuto delle dichiarazioni rese alla polizia stradale e la
comunicazione del datore di lavoro di assunzione del lavoratore;

discende, da quanto precede, l’inammissibilità delle
censure del terzo motivo che investono tali ultime argomentazioni (id est:
quelle che, nel paragrafo che precede, si sono qualificate aggiuntive) perché
eccedenti rispetto alla necessità logico-giuridica della decisione e, come
tali, non vincolanti, improduttive di effetti giuridici e non suscettibili né
di gravame, né di censura in sede di legittimità (Cass.
nr. 11160 del 2004; Cass. nr. 23635 del 2010;
Cass. nr. 1815 del 2012; in motiv., Cass. nr. 28923 del 2018, § 4.5.);

sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso
va rigettato; nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, in assenza
di attività difensiva da parte del Ministero.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. nr. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis, se
dovuto.

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