Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2020, n. 6808

Tributi, IRAP, Medico convenzionato con l’ASL, Diritto al
rimborso

 

Rilevato che

 

La contribuente D.G., medico convenzionato con
l’ASL, impugnava avanti alla CTP di Perugia il silenzio- rifiuto opposto
dall’Agenzia delle entrate all’istanza di rimborso dell’IRAP versata negli anni
dal 2002 al 2007. La Commissione accoglieva il ricorso, ritenendo che
l’attività svolta dalla contribuente non presentasse il carattere dell’autonoma
organizzazione atto ad integrare il presupposto impositivo.

L’appello proposto dall’Ufficio avverso tale
decisione veniva rigettato dalla CTR dell’Umbria, con sentenza n. 230/04/13,
pronunciata il 18.11.2013 e depositata il 22.12.2013, sulla base del rilievo
che, nella specie, il requisito dell’autonoma organizzazione non poteva
fondarsi, come sostenuto dall’Ufficio, nell’esistenza di costi per lavoro
dipendente, avuto riguardo al loro modesto importo (fra i 3000,00 ed i 7000,00
euro lordi annui), in relazione ai ricavi conseguiti ed al fatto che trattavasi
di attività limitata a poche ore settimanali e con mansioni di non particolare
qualificazione.

Avverso la sentenza ricorre l’Agenzia delle Entrate
deducendo tre motivi.

La contribuente è rimasto intimata.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle
entrate deduce violazione dell’art.
2 d.lgs.15 dicembre 1997, n. 446, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.

L’Ufficio censura la sentenza impugnata laddove la
stessa, pur richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in
materia, avrebbe escluso la sussistenza del presupposto impositivo in modo
sostanzialmente apodittico, ossia indipendentemente dall’assolvimento
dell’onere della prova a carico del contribuente e sulla base della mera
affermazione che l’avvalersi, nell’ambito dell’attività di medico
convenzionato, di un collaboratore per l’esercizio della professione (nella
specie, un inserviente addetto, secondo l’accertamento contenuto nella sentenza
impugnata, alla pulizia dell’ambulatorio ed alla tenuta della contabilità per
poche ore settimanali di lavoro, ovvero, secondo il ricorso, al ricevimento
clienti ed alla ricezione di telefonate in maniera continuativa e non
occasionale) non varrebbe a dimostrare l’esistenza di un’autonoma
organizzazione.

La CTR, inoltre, oltre a svalutare la presenza di un
dipendente, non avrebbe neppure considerato l’intero quadro dell’organizzazione
del professionista, il quale disponeva di due studi professionali e, negli anni
2002 e 2005-2009, come desumibile dai quadri RE delle relative dichiarazioni
annuali, aveva sostenuto spese per compensi a terzi per importi da € 4.712,00
ad € 6.817,00, nonché altre spese documentate nell’intero periodo 2002-2009, di
importo compreso fra € 6.211,00 ed € 13.673,00.

2. Con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente
deduce insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e
decisivo in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5
cod. proc. pen. secondo la previgente formulazione della norma, avendo la
CTR esaminato in modo incompleto gli elementi probatori prodotti ed, in
particolare i quadri RE delle dichiarazioni della contribuente, trascurando la
valenza dei compensi a terzi, delle altre spese documentate e dei due studi
professionali; elementi che avrebbero dovuto essere valutati criticamente in
modo esaustivo, unitamente alla disponibilità del predetto dipendente, al fine di
scrutinare la sussistenza del presupposto impositivo.

3. Con il terzo motivo, infine, l’Ufficio deduce
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra
le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5
cod. proc. civ. secondo l’attuale formulazione, avendo la CTR ignorato
l’esistenza di fatti obiettivi quali l’esistenza di due studi professionali e
di spese per collaboratori terzi ai fini dell’accertamento demandato ai giudici
di appello.

4. I motivi possono essere esaminati congiuntamente,
attesa la loro stretta connessione.

Deve rilevarsi, in via preliminare, che la
ricorrente ha proposto il secondo motivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel
testo vigente anteriormente alla novella di cui all’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134,
entrata in vigore il 12 agosto 2012. A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo d.l.
n. 83 del 2012, la modifica apporta all’art.
360, comma 1, n.5, cod. proc. civ. si applica alle sentenze pubblicate dal
trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto.

Pertanto, poiché la sentenza qui impugnata è stata
pubblicata il 22 novembre 2013, ad essa si applica il testo novellato dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che non
prevede più, quale vizio motivazionale, l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
ma l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto
di discussione tra le parti.

È, quindi, inammissibile il secondo motivo di
ricorso, formulato dalla ricorrente ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. nella versione non applicabile ratione
temporis alla controversia in esame.

Parimenti inammissibili, seppur per ragioni diverse,
sono i restanti motivi di ricorso, l’ultimo dei quali formulato,
sostanzialmente in via alternativa al secondo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. nella
versione attualmente vigente. Va osservato, in primo luogo, che i parametri
ermeneutici alla stregua dei quali va orientata la ricostruzione degli elementi
rilevanti della fattispecie impositiva in tema di Irap e va, parimenti,
commisurato il giudizio di adeguatezza dell’apparato motivazionale della
decisione in materia, sono stati puntualmente individuati dall’opera
nomofilattica delle Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez.
Un., 26/05/2009, n. 12111, Rv. 608231 – 01), che hanno fissato il principio
secondo cui «il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento
spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi
forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in
strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b)
impieghi beni strumentali eccedenti, secondo Pid quod plerumque accidit, il
minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di
organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta
asseritamene non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni».

Nel precisare ulteriormente tali fondamentali
indicazioni, l’opera esegetica di questa Corte ha ulteriormente precisato che
«in tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto della
“autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997
non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi
beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio
dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un
dipendente con mansioni esecutive. (In applicazione del principio, la S. C. ha
respinto il ricorso contro la decisione di merito che aveva escluso l’autonomia
organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni
strumentali minimi)». (Cass. Sez. U, 10/05/2016,
n. 9451, Rv. 639529 – 01; nello stesso senso, cfr. Cass. Sez. 6 – 5, 19/04/2018, n. 9786, Rv. 647737 –
01 con riferimento all’insussistenza del presupposto impositivo in un caso
in cui il contribuente si era avvalso, nell’espletamento della propria attività
professionale di medico convenzionato, di una segretaria; Cass. Sez. 6 – 5, 17/05/2018, n. 12084, Rv. 648384 –
01, secondo cui «non ricorre il necessario presupposto della autonoma
organizzazione ove il contribuente si avvalga di un cd. assistente di sedia,
ossia di un infermiere generico assunto “part time”, il quale si
limita a svolgere mansioni di carattere esecutivo, senza pertanto accrescere le
potenzialità professionali del medico»). Una volta assodata, in forza della
richiamata decisione delle Sezioni Unite, la non decisività, ai fini dell’integrazione
del presupposto impositivo, dell’impiego di un collaboratore che esplichi
mansioni meramente esecutive – come nella specie riscontrato -, in ordine
all’elemento costituito dalla concomitante disponibilità di beni strumentali va
richiamato l’orientamento secondo cui «la disponibilità, da parte dei medici di
medicina generale convenzionati con il SSN, di uno studio, avente le
caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo
collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina
generale, reso esecutivo con d.P.R. n. 270 del 2000, rientrando nell’ambito del
“minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale,
ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del
rapporto convenzionale, non integra, di per sé, in assenza di personale
dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto
impositivo» (Sez. 6 – 5, n. 22027 del 21/09/2017, Rv. 645678 – 01; Sez. 5, n. 13405 del 30/06/2016, Rv. 640145 – 01).

In tale quadro ricostruttivo, con specifico
riferimento all’ipotesi, sulla quale si incentrano i motivi di ricorso, in cui
il professionista disponga di più studi, è stato ritenuto da questa Corte che
«in tema di IRAP, la circostanza che il professionista operi presso due o più
strutture materiali non è sufficiente a configurare un’autonoma organizzazione,
se tali strutture siano semplicemente strumentali ad un migliore e più comodo
esercizio dell’attività professionale» (Cass.
22/12/2016, n. 26651), commisurando il parametro della maggior comodità
all’interesse del pubblico, ovvero dei pazienti (Cass. 26/03/2018, n.74295); o
se l’utilizzo di un secondo studio sia funzionale a specifiche esigenze
territoriali inerenti l’attività prestata in convenzione con il S.S.N.
(Cass.07/12/2016, n. 25238; Cass., 25/01/2017, n. 1860).

In tale prospettiva, assodata l’inidoneità
dell’elemento costituito dalla disponibilità di due o più strutture operative
ove strumentali rispetto alle finalità sopra indicate, rileva il Collegio che
il ricorso non specifica né allega in alcun modo se – e per quale ragione – le
condizioni di esercizio dell’attività del medico convenzionato non fossero,
nella specie, riconducibili all’esigenza di assicurare all’utenza una migliore
fruizione del servizio, con la conseguenza di omettere l’indicazione delle
ragioni che dovrebbero suffragare il requisito di decisività della circostanza
che si assume non valutata dalla CTR nell’ottica del parametro normativo di cui
al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. ed, altresì, della configurabilità della
violazione di legge ex n. 3 della medesima disposizione, da valutarsi alla
stregua dell’illustrato orientamento interpretativo di questa Corte.
Analogamente, anche con riferimento alle spese erogate dal contribuente per
compensi a terzi, è stato escluso che costituiscano dato sintomatico
dell’autonoma organizzazione, ai fini dell’IRAP, ove si tratti di compensi
corrisposti a colleghi medici, in caso di obbligatoria sostituzione per
malattia o ferie, circostanza frequente nei medici di base che debbono
assicurare un servizio continuativo (Cass. n.
17344 del 25/08/2016; Sez. 6 – 5, n. 20088 del
06/10/2016, Rv. 641300 – 01). Anche sotto tale profilo, il ricorso risulta
carente in punto di autosufficienza, in quanto non allega se e per quali
ragioni nel caso in esame le spese sostenute dalla contribuente non potessero
rientrare nell’ipotesi di cui sopra: il che si traduce nella mancata
indicazione delle ragioni della pretesa decisività della circostanza e,
congiuntamente, dei presupposti stessi per la configurabilità della violazione
di legge dedotta.

Il motivo di ricorso, per tali motivi, si palesa nel
suo complesso inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità non segue
condanna alle spese, in difetto di costituzione della contribuente intimata.

Infine, va rilevato che nei confronti dell’Agenzia
delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per
essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,
non può trovare applicazione l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115
del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del
2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato (cfr. Sez. 6-L.
29/01/2016, n. 1778, Rv.
638714 – 01).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle
spese.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2020, n. 6808
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