Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 marzo 2020, n. 9750

Distacco transnazionale, Lavoratori somministrati solo
apparentemente in maniera regolare da ditte bulgare, Truffa ai danni di Inps e
Inail

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 21 ottobre 2019, il Tribunale
del Riesame di Forlì, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico
Ministero disponeva il sequestro preventivo in via diretta e per equivalente ai
sensi degli artt. 321 cod.proc.pen. e 640 quater cod.pen. di somme nei confronti di P.T.
Lavori Edili s.n.c., P.R., M.A. ed A.N. (quale profitto dei reati di cui ai
capi 7, 8 e 17 dell’incolpazione provvisoria), N.E. s.a.s., E. s.r.I., F.R.,
M.A. ed A.N. (quale profitto dei reati di cui ai capi 10, 11, 18 e 19
dell’incolpazione provvisoria).

1.1 Avverso l’ordinanza ricorre per Cassazione il
difensore di P.R., premettendo che il Collegio aveva ritenuto che si fosse
consumata una truffa ai danni di INPS ed INAIL perché era stato rappresentato
dalle ditte che, oltre ai propri lavoratori, venivano impiegati lavoratori
somministrati solo apparentemente in maniera regolare da ditte bulgare, per cui
INPS ed INAIL, ritenendo operativa una situazione di distacco transnazionale,
non si sarebbero attivate per la riscossione dei crediti previdenziali ed
assistenziali che avrebbero dovuto ottenere qualora quei lavoratori fossero
stati dipendenti delle ditte italiane; a tale proposito eccepisce che INPS ed
INAIL, difettando totalmente dell’informazione di dover richiedere alcunché a
P.T. Lavori Edili snc, non solo non avevano posto in essere alcun atto di
disposizione patrimoniale volontario, ma nemmeno avrebbero potuto farlo, poiché
nessuna prestazione era stata concretamente erogata (o avrebbe dovuto anche in
via potenziale ed eventuale essere erogata) dai citati enti, i quali non
avevano quindi subìto alcun danno: se anche la discordanza tra la situazione
rappresentata all’ente previdenziale e quella reale fosse stata idonea a procurare
al datore di lavoro l’ingiusto profitto del minore esborso contributivo, non
avrebbe potuto però essere idonea a determinare alcun danno né ad INPS né ad
INAIL, perché il lavoratore, per riscuotere eventuali somme a cui aveva
diritto, si sarebbe potuto rivolgere solo al sistema previdenziale bulgaro, e
non agli enti indicati, in quanto gli stessi nulla avevano conosciuto riguardo
a quel rapporto che si era instaurato in Bulgaria e del cui stato avevano
seguito le regole.

Il difensore osserva inoltre che il distacco
internazionale di lavoratori comprendeva specifiche ipotesi in cui la
somministrazione avrebbe potuto avere un risvolto fraudolento: l’art. 38-bis del D.Lgs. 81/2015,
introdotto con l’art. 2 comma
1-bis del D.L. 12 luglio 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2018 n.96, prevedeva un reato
contravvenzionale nel caso, come quello contestato in esame, in cui la
somministrazione di lavoro fosse stata posta in essere con lo specifico fine di
pagare meno imposte; per le condotte di somministrazione fraudolenta
antecedenti il 12 agosto 2018 e che si fossero protratte successivamente a tale
data, il reato di cui all’art. 38
bis del D. Lgs. 81/2015 si sarebbe potuto configurare solo a decorrere dal
12 agosto 2018, con conseguente commisurazione della relativa sanzione per le
sole giornate successive a tale data, lasciando le condotte poste in essere
prima di tale data al campo di sanzioni amministrative.

2. Propone ricorso il difensore di F.R..

2.1 II difensore eccepisce la mancanza di
motivazione in quanto non vi era nessun riscontro di natura probatoria relativa
alla conoscenza di F. del sistema organizzato da M. e A.: nella documentazione
in atti si evidenziava che la N.E. sas aveva avito una migrazione di lavoratori
in quanto gli stessi si erano dimessi (e non licenziati da F.) per cui F., per
far fronte alle richieste della committente A., aveva assunto suo malgrado
personale consigliato da M., che aveva presentato tutta la documentazione
necessaria per l’assunzione; non vi era alcuna motivazione per quanto
riguardava la condotta di F., per cui non era giustificato il sequestro delle
somme di denaro di pertinenza di F., in proprio e quale legale rappresentante
della N.E. s.a.s. e E. s.r.l.

 

Considerato in diritto

 

1. I ricorsi sono infondati.

1.1 Fermo restando che non vi è contestazione sui
fatti di causa, il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di P. non
considera che il profitto del reato di truffa consiste proprio nel risparmio
contributivo e previdenziale che gli indagati hanno conseguito tramite il
fittizio distacco transnazionale facendo figurare, contrariamente al vero, che
i lavoratori venissero impiegati abitualmente in Bulgaria e solo per un tempo
limitato in Italia, e così versando somme minori di quelle che avrebbero dovuto
versare, viste le differenze tra le aliquote del sistema italiano e quelle del
sistema Bulgaro.

Posto che per lavoratore distaccato si intende, ai
sensi dell’art. 2 del D.Igs. 136
del 2016 “il lavoratore abitualmente occupato in un altro Stato membro
che, per un periodo limitato, predeterminato o predelerminabile con riferimento
ad un evento futuro e certo, svolge il proprio lavoro in Italia” e che gli
accertamenti investigativi hanno fatto emergere che invece la costituzione di
una realtà imprenditoriale in Bulgaria era fittizia, erano INPS e INAIL i
soggetti legittimati ad ottenere crediti previdenziali ed assistenziali, per
cui tali soggetti hanno subito un danno patrimoniale con corrispondente
profitto per gli indagati; risultano pertanto presenti tutti gli indizi per
ritenere configurato il reato di truffa, non essendo contestata la
realizzazione di comportamenti fraudolenti (la fittizia interposizione
transnazionale).

1.2 Relativamente al secondo motivo di ricorso, l’art. 38 bis del D.Lgs. 81 del 2015,
come correttamente osservato dal Tribunale, ha come obiettivo esclusivamente
quello di tutelare il lavoratore, lasciando fuori dal suo ambito di
applicazione quei comportamenti finalizzati alla elusione della contribuzione;
ciò si desume agevolmente dalla lettera della norma citata, in base alla quale
“Ferme restando le sanzioni di cui all’articolo 18 del decreto legislativo
10 settembre 2003, n. 276, quando la somministrazione di lavoro e’ posta in
essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di
contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e
l’utilizzatore sono puniti con la pena dell’ammenda di 20 euro per ciascun
lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.”

L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva o rende
evidente che sia le norme inderogabili di legge che di contratto collettivo
siano solo quelle “applicate al lavoratore”, altrimenti sarebbe stata
usata la congiunzione e; tale conclusione si ricava anche dalla Circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n.3
dell’11 febbraio 2019 che, a commento dell’articolo 38 bis citato, precisa
che “perché si possa configurare la violazione dell’art. 38 bis, non è
sufficiente accertare che la condotta abbia prodotto effetti sotto il profilo
della applicazione elusiva del regime previdenziale straniero, ma è necessario
altresì accertare la violazione degli obblighi delle condizioni di lavoro ed
occupazione di cui all’art. 4 del D.Lgs. n.
136/2016”, senza alcun accenno a finalità elusive della contribuzione.

Queste ultime non possono che rientrare, pertanto,
nell’ambito di applicazione dell’art. 640 comma 2
n.1 cod.pen., in quanto la finalità della fittizia interposizione
transnazionale è proprio quella di procurarsi un ingiusto profitto (con
corrispondente danno per gli enti previdenziali) consistente nel risparmio
contributivo, del tutto differente da quella (eventuale) del mancato rispetto
della normativa posta a tutela dei lavoratori.

Deve pertanto essere enunciata la seguente massima:
“l’art. 38 bis del D.Lgs. 81
del 2015 ha come obiettivo esclusivamente quello di tutelare il lavoratore,
lasciando fuori dal suo ambito di applicazione quei comportamenti finalizzati
alla elusione della contribuzione, che restano soggetti alla disciplina dell’art. 640 comma 2 n.1 cod.pen.”

2. Relativamente al ricorso di F., deve essere
ribadito il criterio regolatore secondo cui il ricorso per cassazione in tema
di decisioni emesse in sede di misure cautelari reali non ricomprende – in modo
specifico – il vizio di motivazione (nel senso della illogicità manifesta e
della contraddittorietà) ma la sola violazione di legge.

Da ciò, per costante orientamento di questa Corte,
deriva che è sindacabile la sola “mancanza” del percorso
giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto
privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità (motivazione
apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere l’itinerario
logico seguito dal giudice; in tali casi, infatti, non è la congruità logica
delle singole affermazioni probatorie ad essere valutata, quanto la mancata
osservanza del generale obbligo di motivazione imposto dall’art. 125 c.p.p., comma 3.

Nel caso in esame, il ricorrente propone
esclusivamente censure relative al merito del ricorso eccependo vizi di
motivazione, come tali inammissibili, non potendosi parlare di mancanza di
motivazione posto che il Tribunale, nelle pagine 5 e 6 dell’ordinanza
impugnata, ha ben delineato il ruolo di F..

3. I ricorsi devono pertanto essere rigettati; ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il
provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

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