Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2020, n. 9910

Lavoro, Attività di commercio di bombole di g.p.l. ad uso
domestico, Tentata frode in commercio, Rimozione o omissione dolosa di
cautele contro infortuni sul lavoro

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza resa il 28 marzo 2019, il Tribunale
di Napoli rigettava l’appello proposto da G.M., nella sua qualità di legale
rappresentante della ditta “M.-GAS”, esercente l’attività di
commercio di bombole di g.p.l. ad uso domestico, avverso l’ordinanza emessa in
data 8 febbraio 2016, con cui il Giudice per le indagini preliminari dello
stesso Tribunale aveva respinto l’istanza di dissequestro del locale/deposito
sito in Napoli alla via (…) e dei beni ivi custoditi.

1.1. Il sequestro preventivo era stato disposto in
relazione ai seguenti reati: (a) detenzione di materie esplodenti senza licenza
(art. 678 cod. pen.); (b) omessa denunzia
all’Autorità di detenzione di materie esplodenti, infiammabili o pericolose per
qualità e quantità (art. 679 cod. pen.); (c)
detenzione di g.p.l. in quantità superiore a quella autorizzata (artt. 16 e 20 L. n. 139 del 2006); (d)
tentata frode in commercio (artt. 56, 515 cod. pen.), attuata attraverso l’indicazione
sulle targhette apposte sulle bombole di un quantitativo di g.p.l. maggiore di quello
effettivamente contenuto; (e) rimozione o omissione dolosa di cautele contro
infortuni sul lavoro (art. 437 cod. pen.),
attuata attraverso la falsa attestazione di revisione delle bombole.

1.2. Il Tribunale fondava la decisione sulle
risultanze emerse nel corso del sopralluogo eseguito dalla guardia di finanza
presso la sede operativa della ditta, ubicata in via (…) e sull’attiguo
deposito, civico n. 237, osservando che il materiale rinvenuto deponeva
univocamente per la sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, sia per il
quantitativo di g.p.l., detenuto in misura di gran lunga superiore rispetto al
quantitativo autorizzato in forza del certificato di prevenzione incendi; sia
per la discrasia rilevata tra il peso nominale delle bombole e quello
effettivo; sia, infine, per la (fittizia) attività di revisione delle bombole
(comprovata dal rinvenimento nel locale, poi sequestrato, di targhette,
numerosi cartellini di revisione sia punzonati che non punzonati, rubinetti per
bombole di g.p.l. e strumenti artigianali per il loro smontaggio), attività,
peraltro, esercitata in assenza della prescritta autorizzazione. Inoltre, il
Tribunale riscontrava anche il periculum in mora in quanto la libera
disponibilità del locale e dei beni oggetto dell’istanza di restituzione non
poteva che accrescere il rischio concreto e attuale di aggravamento delle
conseguenze degli illeciti ipotizzati o comunque di agevolazione della
commissione di reati della stessa indole.

2. Avverso l’indicato provvedimento ricorre
l’interessato a mezzo del difensore, denunziando violazione di legge e, in
particolare, dolendosi della assoluta carenza o comunque mera apparenza della
motivazione sui punti devoluti con l’appello, ossia l’irrilevanza penale del fatto
per il quale era stato imposto il vincolo di cautela reale sul deposito e
l’insussistenza di un rapporto di pertinenzialità necessaria tra l’immobile in
sequestro e i reati ipotizzati. Sotto il primo profilo si sostiene che
l’attività di collaudo e riempimento delle bombole, esercitata in asserita
violazione delle disposizioni di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 128 del 2006,
integra un mero illecito amministrativo sanzionato dal successivo art. 18; sotto il secondo
profilo, afferente al nesso di pertinenzialità, si assume che il Tribunale
aveva omesso di considerare che l’attività commerciale della ditta era
esercitata esclusivamente nel locale attiguo civico 237/A, non sottoposto a
sequestro, sicché difettava la necessaria relazione di specifica e strutturale
strumentalità dell’immobile sequestrato rispetto ai configurati illeciti,
mentre l’avvenuta rimozione, per successiva repertazione e custodia, di tutto il
materiale astrattamente idoneo alla prosecuzione dell’attività di revisione
delle bombole, privava di attualità e concretezza il ravvisato periculum in
mora.

 

Considerato in diritto

 

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare quanto
meno infondato.

2. Va ricordato che l’art.
325 cod. proc. pen. espressamente riserva il ricorso avverso i
provvedimenti assunti a norma degli artt. 322 bis
cod. proc. pen. e 324 cod. proc. pen. alla
sola violazione di legge, e in tale nozione debbono essere ricompresi sia gli
errores in procedendo o in iudicando, sia quei vizi della motivazione così
radicali, da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento
o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico
seguito dal giudice, rientrando dunque nel concetto di violazione di legge la
mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente
apparente, ma non i vizi di incompletezza, insufficienza o illogicità della
stessa, che possono essere denunciati soltanto tramite il motivo di ricorso di
cui dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen..

2.1. Va, altresì, rammentato che l’applicazione
della misura del sequestro preventivo ai sensi dell’art.
321 cod. proc. pen., comma 1, richiede la sussistenza del “fumus
delicti” e la verifica che la libera disponibilità delle cose da
sottoporre a sequestro possa aggravare o protrarre la commissione di reati.
Secondo la consolidata lezione interpretativa di questa Corte, sotto il primo
profilo – l’esistenza del fumus – il giudice non può limitarsi al riscontro
dell’astratta configurabilità dell’ipotesi di reato dedotta dall’accusa, intesa
quale mera pendenza del procedimento, ma deve addentrarsi a ravvedere nel fatto
ascritto all’indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal
P.M., di una delle ipotesi criminose previste dalle norme citate, senza che
rilevino ne’ la sussistenza degli indizi di colpevolezza, ne’ la loro gravità.
Tanto sta a significare che la verifica delle condizioni di legittimità della
misura cautelare da parte del Tribunale del riesame non può tradursi in
anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità
della persona sottoposta alle indagini in ordine al reato oggetto di
investigazione, ma deve esaurirsi nel controllo di compatibilità tra la
fattispecie concreta e quella legale. In altri termini, è necessaria, ma
sufficiente, l’enunciazione, ancorché sintetica, delle ragioni che, alla luce
delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente
dagli elementi forniti dalle parti, rendono sostenibile l’impostazione
accusatoria e plausibile un giudizio prognostico negativo; come pure
l’enunciazione delle ragioni per le quali in relazione alla fattispecie
ipotizzata si apprezzi, almeno allo stato, la necessità di escludere la libera
disponibilità della cosa pertinente a quel reato, stante il pericolo che
siffatta libera disponibilità possa aggravare o protrarre le sue conseguenze.

Tali principi generali vanno poi coordinati con i
poteri cognitivi tipici del Tribunale del riesame o dell’appello cautelare, che
deve circoscrivere il proprio sindacato alle deduzioni difensive che abbiano
un’oggettiva incidenza sul “fumus”, senza doversi pronunciare su
qualsiasi allegazione che si risolva in una mera negazione degli addebiti
ipotizzati o in una diversa lettura degli elementi probatori già acquisiti.

3. Ora, nel caso di specie, il provvedimento
impugnato non è affatto immotivato e le ragioni che lo sostengono sono oggetto
di illustrazione coerente, comprensibile e giuridicamente corretta. L’ordinanza
impugnata ha, infatti, evidenziato come fosse palese il comune e inscindibile
asservimento dei due locali alle illecite condotte di cui ai provvisori
addebiti, tutti configuranti ipotesi di reato e non meri illeciti amministrativi;
che la normativa richiamata nell’atto di appello era del tutto inconferente al
caso in disamina, siccome avente ad oggetto la disciplina di aspetti specifici
attinenti alle operazioni di riempimento, travaso e collaudo delle bombole di
g.p.l., mentre l’attività illecita eseguita nel locale sequestrato, secondo
l’impostazione accusatoria e alla luce del materiale ivi concretamente
rinvenuto, era quella diretta alla fraudolenta immissione in commercio di
prodotti differenti da quelli dichiarati, sia per quantità, essendo rimasto
accertato che il quantitativo di g.p.l. contenuto nelle singole bombole era
inferiore a quello sulle medesime indicato; sia per qualità, essendo stata
attestata come eseguita una revisione solo simulata, con evidente pericolosità
per la pubblica incolumità delle bombole destinate alla commercializzazione.

Gli elementi posti in luce nel provvedimento,
dunque, restituiscono un quadro indiziario idoneo a rendere sostenibile
l’impostazione accusatoria e danno ragione dell’esistenza di un legame
funzionale, e non già meramente occasionale, fra il locale oggetto di
provvisoria ablazione e la possibile commissione di altre condotte penalmente
rilevanti, trattandosi di bene risultato “strumentalmente asservito”
alla esecuzione delle attività illecite descritte nelle provvisorie
contestazioni; donde la plausibilità dell’apprezzamento compiuto, nella forma
delibativa propria della fase cautelare del giudizio, circa la reale efficacia
impeditiva della misura adottata.

4. La denunziata violazione di legge non è pertanto
ravvisabile, mentre le ulteriori deduzioni, al di là delle reiterate generiche
affermazioni sulla apparenza della motivazione, consistono nella sostanza in
censure su asserite mere incompletezze del discorso giustificativo e sono in
parte anche generiche, e nemmeno autosufficienti, laddove, riportando stralci
dell’informativa di reato, sostanzialmente censurano i rilievi formulati dalla
polizia giudiziaria, ma omettono di confrontarsi con le chiare ragioni della
decisione formalmente impugnata.

5. Conclusivamente il ricorso va nel suo complesso
rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese
processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2020, n. 9910
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: