Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6759

Lavoratore appartenente a categoria protetta, Collocamento in
Cigs, Violazione del verbale di accordo sindacale, Ricorso inammissibile in
sede di legittimità, Vizio della sentenza ex art.
360, n. 3 c.p.c.

 

Rilevato

 

1. Che con sentenza n. 1184/2015 la Corte di appello
di Catanzaro ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto la
domanda di S.I. intesa alla reintegra nelle mansioni svolte presso S. s.p.a.,
cui sosteneva di avere diritto in quanto, essendo stato assunto come
appartenente a categoria protetta, era stato collocato in cigs in violazione
del verbale di accordo del 7.2.2001 tra datrice di lavoro, OO.SS. e RSU, con
particolare riferimento a quella parte di accordo che, al punto F, prevedeva il
criterio della rotazione, mentre nel cantiere di Catanzaro, ancora funzionante,
continuava a lavorare personale con le sue stesse mansioni;

1.1. che, per quel che ancora rileva, il giudice
d’appello, premesso che nel verbale di accordo del 7.2.2001, vi era un elenco
in cui si indicavano, per ciascuna unità operativa, gli esuberi per i quali era
previsto il ricorso alla cigs, oltre che l’avvio di un piano di gestione degli
stessi in relazione alle esigenze aziendali, ha osservato che se corrispondeva
al vero la circostanza della mancata indicazione della sede di Crotone, ciò
dipendeva, secondo quanto confermato dalla prova orale, dal fatto che il
cantiere di Crotone era stato chiuso il 5.10.2000 sicché lo stesso non poteva
essere indicato nel successivo accordo del febbraio 2001 tra quelli interessati
all’utilizzo del personale mediante rotazione; nè l’appartenenza dello I. a
categoria protetta rendeva inapplicabile nei suoi confronti la disciplina della
mobilità e dei contratti collettivi. Analogamente, ove la doglianza della
mancata applicazione del criterio della rotazione fosse stata riferita alla
sede di Catanzaro alla quale lo I. era stato adibito dopo la chiusura del
centro di Crotone a rotazione con gli altri lavoratori. Ciò sia perché egli
aveva partecipato alla suddetta rotazione sia perché il centro operativo di
Catanzaro era stato chiuso poco dopo la stipula dell’accordo richiamato sicché
nessuna rotazione poteva di seguito esserci;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso S.I. sulla base di dieci motivi; la parte intimata ha resistito con
tempestivo controricorso;

 

Considerato

 

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce
omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia relativo al mancato rispetto del criterio di rotazione,
dell’appartenenza a categoria protetta e del lavoro svolto sul cantiere di
Catanzaro, per continuità lavorativa;

2. che con il secondo motivo deduce mancata
valutazione del danno essendovene i presupposti;

3. che con il primo ed il secondo motivo, illustrati
congiuntamente, parte ricorrente censura la sentenza impugnata per avere
respinto l’appello pur riconoscendo che la società non aveva provato la chiusura
del cantiere al quale era addetto lo I. e l’impossibilità delle assunzioni «
essendo semmai emerso il contrario, ossia che la società lavorava in altri
cantieri, che ha continuato a lavorare ed è tutt’ora sul mercato». Evidenzia,
inoltre, che i periodi di cigs erano espressamente riportati nell’atto
introduttivo che, comunque, conteneva gli elementi sufficienti per la
quantificazione del danno;

4. che con il terzo motivo deduce errata
interpretazione della prova e della documentazione prodotta nonché «mancanza o
errata motivazione della sentenza». Censura la sentenza impugnata in quanto
fondata sull’erroneo presupposto che nel verbale di accordo vi  fosse un elenco in cui si indicavano gli
esuberi per ciascuna unità operativa e perché, pur riconoscendo che tra queste
non era compresa la sede di Crotone, giustificava tale omissione su quanto
affermato dal resistente in memoria o dal teste Vitale; a riguardo trascurava
di considerare che si era in presenza di prova documentale non sostituibile con
l’escussione del teste e che il ricorrente aveva lavorato anche nella rotazione
del cantiere di Catanzaro, circostanze queste non idonee a giustificare il
rigetto della domanda;

5. che con il quarto motivo deduce violazione della legge n. 482 del 1968, censurando la sentenza
impugnata per non avere considerato che nel corso del giudizio era stata data
prova certa che il lavoratore prestava la propria attività presso la ditta
indicata con le modalità e i termini indicati nell’atto introduttivo e che
doveva essere reintegrato in quanto assunto in base alla legge n. 482 del 1968;

6. che con il quinto motivo deduce violazione e
falsa applicazione degli artt.
1 e 3, legge n. 230 del 1962 e dell’art. 23, legge
n. 56 del 1987, dell’art. 2697 cod. civ.
censurando la sentenza impugnata sul rilievo che nella fattispecie in esame non
era ravvisabile alcuna delle situazioni che consentivano l’apposizione del
termine al contratto di assunzione;

7. che con il sesto motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli art. 11 e
13 della legge n. 482 del 1968 e dell’art. 2697
cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere escluso il diritto
all’applicazione della rotazione «mentre in effetti tali mansioni comunque
venivano ricoperte da altri lavoratori»; richiama le aliquote fissate dalla
legge per l’assunzione delle categorie protette ribadendo la necessità della
reintegra e del risarcimento del danno;

8. che con il settimo motivo deduce riconoscimento
del diritto e valutazione del danno, censurando la sentenza impugnata per non
avere riconosciuto che il datore di lavoro aveva violato i principi di
correttezza e buona fede, di fatto discriminando il lavoratore;

9. che con l’ottavo motivo deduce «mancanza di prova
del contrario di parte resistente»; censura la sentenza impugnata per non avere
dato nessuna prova su quanto asserito in merito alla chiusura di S. o alla
impossibilità di assunzioni, evidenziando che era stata data la prova diretta
che la società datrice lavorava in altri cantieri, che aveva continuato a
lavorare ed era tutt’ora nel mercato;

10. che con il nono motivo deduce mancanza e
contraddittorietà di motivazione nonché illogicità manifesta della sentenza
impugnata «in quanto, pur riconoscendo che la prova del lavoro e delle mansioni
svolte dal Sig. I.S., non trovino nemmeno contestazione dalla parte resistente,
quasi smentisce il riconoscimento del rapporto lavorativo e della sua
rotazione, così come contraddittoria appare la sentenza nella parte in cui pur
riconoscendo l’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo della rotazione,
erroneamente disconosce che il ricorrente non avrebbe avuto diritto alla
reintegrazione nelle mansioni svolte prima della sua collocazione in CIGS
>>.;

11. che con il decimo motivo deduce, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 3
della legge n. 230 del 1962, dell’art. 23 legge n. 56 del 1987,
dell’art. 482 del 1968 e dell’art. 2697 cod. civ. censurando la sentenza
impugnata sul rilievo che l’appartenenza dello I. alle categorie protette
rendeva inapplicabile nei suoi confronti la disciplina della mobilità e dei
licenziamenti collettivi;

12. che in tema di requisiti di ammissibilità del
ricorso per cassazione occorre considerare che il giudizio di legittimità è un
giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che
assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione
tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito.
Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i
caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa
enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche
previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass.
n. 11603 del 2018, Cass. n. 19959 del 2014, Cass. n. 21165 del 2013);

12.1. che il requisito dell’esposizione sommaria dei
fatti di causa, prescritto a pena d’inammissibilità dall’art. 366, comma 1, n., 3 cod. proc. civ., è
funzionale alla completa e regolare instaurazione del contraddittorio, nonché
alla comprensione dei motivi di ricorso ed alla verifica dell’ammissibilità,
pertinenza e fondatezza delle censure proposte; esso è soddisfatto laddove il
contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti
che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza
dover ricorrere ad altre fonti o atti, sicché impone alla parte ricorrente,
sempre che la sentenza gravata non impinga proprio per questa ragione in
un’apparenza di motivazione, di sopperire ad eventuali manchevolezze della
stessa decisione nell’individuare il fatto sostanziale e soprattutto
processuale (Cass. n. 10072 del 2018, Cass. n. 16103 del 2016);

12.2. che il ricorrente per cassazione, il quale
intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del
giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. – di
produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale
ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di
indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la
violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile
(Cass. n. 19048 del 2016, Cass. n. 15628 del 2009) ;

12.3. che il motivo con cui si denunzia il vizio
della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cod.
prov. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo
mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche
mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente
dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella
sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme
regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di
Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n.
5353 del 2007, Cass. n. 11501 del 2006, Cass. n. 6123 del 2001);

12.4. che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. .,
disposta dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n.
134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le
censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza
di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione
resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma
6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione
dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p. c. e danno
luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale
requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di
“motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile
contraddittorietà” e di ” motivazione perplessa od incomprensibile”,
al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per
omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di
discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione
della controversia (Cass. n. 23940 del 2017, Cass.
Sez. Un. n. 8053 del 2014);

12.5. che la denunzia di vizio di motivazione alla
stregua dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ.,
come riformulato dall’art. 54 del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione
temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto
di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; – l’omesso
esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un
fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie; – neppure il cattivo esercizio del potere di
apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad
un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; – nel giudizio di legittimità
è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di
legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo  della sentenza impugnata, a prescindere dal
confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. (Cass.
Sez. Un. n. 33679 del 2018, Cass. Sez. Un. n. 8053
del 2014 cit.);

12.6. che qualora una determinata questione
giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun
modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione
in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità,
per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione
della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare
“ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel
merito la questione stessa.” (Cass.n. 1435
del 2013, n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006);

13. che i motivi in esame non sono articolati in
conformità dei prescritti requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione
sopra richiamati;

14. che, infatti, il primo motivo di ricorso risulta
inammissibile in quanto non sorretto, in violazione dell’art. 366, comma 1 n. 3, dalla esposizione dei
fatti di causa con specifico riferimento alle allegazioni in fatto ed alle
deduzioni in diritto formulate dalle parti in ordine all’applicazione del
criterio della rotazione, all’appartenenza dello I. a categoria protetta ed al
lavoro svolto sul cantiere di Catanzaro e perché non articolato in conformità
dell’attuale formulazione dell’art. 360, comma 1,
n. 5 cod. proc. civ., non essendo consentito alla stregua di tale
disposizione la denunzia di contraddittorietà e insufficienza di motivazione
secondo quanto evidenziato nel paragrafo 12.4.e 5.; in particolare l’onere
gravante sul ricorrente ai sensi dell’art. 360,
comma 1 n. 3 cod. proc. civ., non può ritenersi assolto dalla esposizione
dello storico di lite (v. pag. 2 e sgg. del ricorso per cassazione) il quale
non offre una ordinata e completa ricognizione delle allegazioni in fatto e
deduzioni in diritto formulate nel ricorso di primo grado e riproposte in
seconde cure dall’odierno ricorrente;

15. che il secondo motivo è privo di pertinenza con
le ragioni della decisione per essere la questione del risarcimento stata
assorbita dalla verifica della legittimità della condotta datoriale;

16. che il terzo motivo è parimenti inammissibile in
quanto laddove denunzia errata interpretazione della prova e della
documentazione prodotta tende a sollecitare direttamente un diverso
apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al
giudice di legittimità (Cass. n. 24679 del 2013, Cass. n. 2197 del 2011, Cass. n. 20455 del 2006, Cass. n. 7846 del 2006,
Cass. n. 2357 del 2004) ed in quanto, in violazione delle prescrizioni di cui
all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non
trascrive o espone per riassunto il contenuto degli atti e documenti invocati a
fondamento delle censure articolate, come prescritto (v. parag.12.2.);

17. che il quarto motivo è inammissibile. La
articolazione della censura non è conforme ai requisiti prescritti per la
denunzia di violazione di norma di diritto (v. parag. 12.3.) in quanto parte
ricorrente omette del tutto di argomentare in ordine all’ errore di diritto
ascritto in tesi al giudice di appello; non risulta, inoltre, esposto il fatto
processuale in termini idonei a dare contezza delle censure articolate con
riferimento alle allegazioni in fatto e alle deduzioni in diritto formulate nel
giudizio di merito, adempimento indispensabile al fine di chiarire la
rilevanza, in merito alla vicenda della cigs ed al criterio della sospensione,
della appartenenza dello I. a categoria protetta, circostanza questa tenuta,
peraltro, ben presente dalla Corte di merito laddove ha escluso che tale
appartenenza potesse comportare la inapplicabilità nei confronti dell’odierno
ricorrente della disciplina della mobilità e dei contratti collettivi (v.
parag. 12.1.);

18. che il quinto motivo è inammissibile per
assoluto difetto di pertinenza con la res controversa, quale risultante dalla
sentenza impugnata, dalla quale esula ogni questione connessa alla verifica dei
presupposti giustificativi dell’apposizione del termine al contratto di lavoro;

19. che il sesto motivo è inammissibile in quanto
non argomenta sulle violazioni di norme di diritto ascritte al giudice di
merito e tanto meno ne chiarisce la rilevanza e pertinenza con riguardo alla
questione oggetto di causa, relativa alla legittimità della collocazione dello
I. in cigs ed alla corretta applicazione del criterio della rotazione;

20. che il settimo motivo è inammissibile in quanto
la questione della discriminazione dello I., così come della conformità a
correttezza e buona fede della condotta datoriale, non è stata specificamente
affrontata dalla Corte di merito di talché, in base a quanto evidenziato al
paragrafo 12.6., era necessario che parte ricorrente allegasse e dimostrasse
che tale questione era stata ritualmente introdotta in prime cure e
specificamente riproposta in grado di appello e che rispetto ad essa
denunziasse l’omessa pronunzia da parte del giudice di secondo grado (v.
parag.12.6), oneri questi che non sono stati assolti;

21. che l’ottavo motivo è inammissibile in quanto in
violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione
non riconduce la doglianza formulata ad alcuna delle ipotesi tassative
formalizzate dal codice di rito (v. parag. 12.);

22. che il nono motivo è inammissibile sia in quanto
alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 360,
comma 1, n. 5 cod. proc. civ. non è denunziabile con il ricorso per
cassazione la contraddittorietà di motivazione (v. parag. 12.4. e 5.) sia
perché privo di pertinenza con le ragioni della decisione nella quale non è
dato riscontrare alcun accertamento della illegittimità della condotta
datoriale, come, invece, sostenuto dal ricorrente;

23. che il decimo motivo è anch’esso inammissibile
sia in quanto non è argomentata la dedotta violazione di norme di diritto (v.
parag.12.3) e sia perché attraverso la denunzia di violazione della legge n. 230 del 1962 e della legge n. 56 del 1987 parte ricorrente introduce un
tema – assenza di situazioni giustificative dell’apposizione del termine – che
alla stregua della sentenza impugnata risulta del tutto estraneo alla materia
del contendere, secondo quanto già osservato in sede di esame del quinto motivo
(v. parag. 18);

10. che le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo;

11. che non sussistono, allo stato, i presupposti
processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a
norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019) in
quanto ammesso al gratuito patrocinio con deliberazione del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro in data 6 giugno 2016 ;

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte
ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per
compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella
misura del 15% e accessori come per legge.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6759
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