Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2020, n. 6998

Professionisti, Medico pediatra convenzionato con il SSN,
Autonoma organizzazione produttiva di reddito assoggettabile ad IRAP

 

Ritenuto che

 

A.D.L. ricorre per la cassazione della sentenza
della CTR del Lazio, meglio indicata in epigrafe, che, in controversia su
impugnazione diniego di rimborso IRAP, per €. 20.447,29, anni dal 2009 al 2012,
ha accolto l’appello dell’Ufficio, limitatamente a € 18.459, cioè l’oggetto del
giudizio così come riformato dalla sentenza di primo grado con la quale i primi
giudici, accogliendo parzialmente, il ricorso della contribuente, hanno
riconosciuto il diritto al rimborso a partire dal 29 gennaio 2010. La CTR ha
negato il diritto al rimborso, ravvisando “nell’attività del contribuente
– svolgente la professione di medico pediatra convenzionato con il SSN – una
autonoma organizzazione produttiva di reddito assoggettabile ad IRAP”. In
particolare, ha rilevato la CTR che “le spese per ammortamento beni strumentali
e spese varie di rappresentanza, non modeste, costituiscono dato equivoco,
evincendosi che le prime si riferiscono a beni strumentali eccedenti il minimo
indispensabile e le seconde sono attinenti a rapporti di collaborazione di tipo
continuativo ovvero ad attività non occasionalmente delegate a terzi, fatto che
non conformerebbe la assenza di lavoro autonomo”. Infatti dal quadro RE
della dichiarazione prodotta si evince – ad avviso della CTR – che la
contribuente utilizza lavoro altrui non in maniera saltuaria ed occasionale.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

 

Considerato che

 

Il ricorso è affidato a due motivi.

Con il primo si lamenta, genericamente,
“violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. per aver la
Commissione tributaria Regionale per il Lazio “male interpretato le norme
regolatrici della materia in esame”.

Il primo motivo è inammissibile.

Questa Corte (Cass.,
Sez. 6-5, Ordinanza n. 11572 del 2019) ha già avuto modo di precisare che,
pur tenendo conto dell’esigenza di un’interpretazione restrittiva delle cause
d’inammissibilità nel processo tributario, le cui relative previsioni devono
essere circoscritte ai soli casi nei quali il rigore sanzionatorio è
giustificato il ricorrente deve comunque evidenziare, a pena di
inammissibilità, “specificamente la trattazione delle doglianze relative
all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla
fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto” (Cass. n.
8915 del 11/04/2018).

Nel caso di specie la censura, carente di autonomia
espositiva e formulata in maniera incompleta, non permette di cogliere con
chiarezza le doglianze prospettate, limitandosi a una generica contestazione
sulla interpretazione data dalla CTR alla normativa sulla ricorrenza dei
presupposti (autonoma organizzazione) per l’applicabilità dell’imposta (Cass.
9100/2015; cfr. Cass. n. 11572/2019; Cass. n.
8915/2018).

Peraltro, le censure tendono nel loro complesso ad
un accertamento in fatto, come tale inammissibile in questa sede, e nemmeno
offrono elementi concreti in astratto idonei consentire la valutazione di un
omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c.

In materia di ricorso per cassazione, l’errore di
valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe
l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che
si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, (cfr. Cass.
n. 27033/2018, n. 25166 del 08/10/2019).

A ciò si aggiunga che la proposizione del motivo non
consente una diretta percezione della censura in ordine ai vizi denunciati,
condensando e sovrapponendo con un unico motivo di ricorso due profili di
doglianza ontologicamente distinti, limitandosi ad un generico e confuso rinvio
alla violazione di legge, all’omesso esame di un fatto decisivo, in un percorso
argomentativo poco chiaro, senza evidenziare a quale dei due profili sollevati
si ricollegano le censure della decisione impugnata in merito all’omessa
valutazione “dell’ampia documentazione”, che non riporta quando e
come avrebbe prodotto, (cfr. Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; v. anche Cass. Sez. V, 28 novembre 2014, n. 25332; Cass.
n. 12514/2013. Sul dovere di chiarezza espositiva degli atti processuali, ex art. 366 c.p.c., cfr. SS.UU. n. 964 del
17/01/2017).

Con il secondo motivo si deduce, “violazione
dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso
esame sull’importo oggetto di rideterminazione chiesto a rimborso”
ammontante ad € 19.043,50 anziché, come dichiarato dalla CTR in € 18.459,00.

Il secondo motivo è, altresì, inammissibile per
difetto di autosufficienza.

Qualora il ricorrente, in sede di legittimità,
denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di
autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la
parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di
consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti,
deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state
formulate nel giudizio di merito. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13625 del
21/05/2019). Peraltro, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di
inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c.,
nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso, dovendo il
ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata
indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato,
producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si
dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e
in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o
riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di
autosufficienza. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018).

Nel caso di specie, invece, il ricorrente si è
limitato, inammissibilmente, a generiche affermazioni di principio, omettendo
di trascrivere, seppur per stralcio ed a riprova di quanto asserito, i
documenti ai quali ha fatto riferimento nel ricorso – in particolare, il mod.
unico 2011 – non consentendo una diretta percezione della censura in ordine al
vizio ivi denunciato.

Il ricorso è, pertanto, inammissibile.

Nulla sulle spese in mancanza di costituzione
dell’intimata.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale, a norma del comma 1 –
bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese
in mancanza di costituzione dell’intimata. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R.
n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2020, n. 6998
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