Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2020, n. 10209

Violazione della normativa in materia di sicurezza ed igiene
nei luoghi di lavoro, Attività agricola, Approfittamento dello stato di
bisogno

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 08/05/2019, il G.i.p. del
Tribunale di Marsala applicava A.G. (oltre che a A.F., M.B. e U.L.), ritenendo
sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art.
274, lett. c), c.p.p., la misura cautelare dell’obbligo di residenza nel
comune di Marsala e disponeva il sequestro preventivo delle quote sociali e dei
beni di proprietà della Società Cooperativa C., in relazione ai reati di cui
agli artt. 81, 110,
603-bis, commi 1, n. 2, 2 e 4 nn. 1 e 3, c.p.
e 3, L. 205 del 1993.

1.1. Con provvedimento del 13/05/2019 il Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Marsala ha provveduto alla nomina del
difensore d’Ufficio nell’interesse della C. soc. coop., in considerazione della
preclusione, ai sensi dell’art.
39 D.L.gs 231/2001, per il rappresentante legale della C. soc. coop., A.G.,
indagato nel presente procedimento per il reato da cui dipende l’illecito
amministrativo, di nominare un difensore di fiducia.

1.2. Con l’ordinanza del 12/06/2019, il Tribunale
del Riesame di Trapani, adito dagli interessati, dichiarava inammissibile
l’istanza di riesame proposta nell’interesse di A.F., avverso il decreto di
sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Marsala; in accoglimento
dell’istanza di riesame proposta nell’interesse della C. soc. coop., annullava
il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Marsala
limitatamente al conto corrente n. 452/010/002574 intrattenuto dalla C. soc.
coop. presso la C. di Marsala e, per l’effetto, disponeva l’immediata
restituzione di tale conto corrente alla predetta società; rigettava l’istanza
di riesame proposta nell’interesse di A.I G. avverso il decreto di sequestro
preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Marsala, che confermava nel resto.

2. Avverso tale ordinanza propongono ricorso per
cassazione A.G. e C. soc. coop. (in persona del legale rappresentante pro
tempore), a mezzo dei propri difensori, lamentando (in sintesi giusta il
disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att.
cod. proc. pen.):

1) violazione di legge sotto il profilo del fumus
commissi delicti per erronea applicazione della fattispecie incriminatrice di
cui all’art. 603-bis c.p. ratione temporis
vigente nonché per mancanza di motivazione in violazione dell’art. 125, comma 3, c.p.p. a fronte delle modifiche
introdotte dalla legge n. 199 del 2016,
entrata in vigore in data 4/11/2016. Deducono che gli indagati sono considerati
quali diretti datori lavoro e l’attribuzione di questa qualifica segnala già
l’infondatezza in diritto dell’ipotesi accusatoria atteso che trascura di
considerare che il datore di lavoro non può inquadrarsi tra i soggetti attivi
della fattispecie incriminatrice almeno nella formulazione previgente
all’entrata in vigore della legge n. 199/2016,
che annoverava tra i possibili soggetti attivi esclusivamente l’intermediario.
Sostengono che il provvedimento impugnato non ha argomentato circa il requisito
dell’«approfittamento dello stato di bisogno» e questa carenza argomentativa
sottovaluta una componente fondamentale della fattispecie, in assenza della
quale potrebbero finire con l’assumere rilievo anche comportamenti
sostanzialmente inoffensivi. Affermano che la motivazione dell’ordinanza
impugnata, nel resto, manca dell’analisi critica degli indici di sfruttamento
che costituiscono il presupposto applicativo imprescindibile della fattispecie
incriminatrice in esame alla luce della severità del trattamento sanzionatorio.
Assumono che le sommarie informazioni dei lavoratori non hanno pertanto trovato
riscontro rispetto a profili essenziali per potersi sostenere la perpetrazione
di minacce, violenze ovvero intimidazioni, e ciò neppure nella successiva
attività di indagine della polizia giudiziaria nell’ambito del presente
procedimento penale. Rimarcano che, con riferimento al periodo successivo al
04/11/2016, il Tribunale di Trapani ha trascurato di tener presente che
l’assunzione di sommarie informazioni da parte dei lavoratori condotta dalla
polizia giudiziaria si è esaurita in data 01/12/2016; per il periodo intercorso
tra il 04/11/2016 (data di entrata in vigore della legge
n. 199/2016) ed il 01/12/2016 non risulta però in quali condizioni i
soggetti sentiti a s.i.t abbiano lavorato, al fine di poter rendere conto delle
condizioni di sfruttamento.

2) violazione dell’art.
321, comma 1, c.p.p. e mancanza di motivazione in violazione dell’art. 125, comma 3, c.p.p. in ordine alla ritenuta
sussistenza delle esigenze cautelari sotto i profili della concretezza e
dell’attualità del pericolo di protrazione e di aggravamento delle conseguenze
dannose dei reati ipotizzati; violazione dell’art.
3 della legge n. 199/2016 in relazione alla mancata applicazione del
controllo giudiziale dell’azienda e dell’art. 125,
comma 3, c.p.p. per mancanza di motivazione sulla proporzionalità e sulla
adeguatezza del sequestro preventivo rispetto al grado delle esigenze cautelari
genericamente ravvisate. Deducono che il Tribunale di Trapani ha
sostanzialmente riconosciuto che il provvedimento impugnato non è stato
motivato in ordine alla sussistenza del pericolo di aggravamento o di
protrazione delle conseguenze del reato, ritenendo sufficiente che il
provvedimento medesimo sia stato adeguatamente motivato in ordine al pericolo
di recidiva;

con questo assunto tuttavia il Decidente ha
manifestato di aver trascurato che il G.I.P. del Tribunale di Marsala con unico
provvedimento aveva disposto tanto la misura cautelare personale quanto la
misura cautelare reale; posto però che queste misure si basano su presupposti
diversi, tanto il G.I.P. quanto il Tribunale di Trapani avrebbero dovuto
procedere secondo una valutazione autonoma degli uni e degli altri presupposti
e manifestare siffatta valutazione con autonoma motivazione. Affermano che tra
il momento della applicazione della misura cautelare reale (ed anche di quella
personale) ed il momento di presunto accadimento dei fatti addebitati nonché
della acquisizione delle relative emergenze investigative intercorre uno iato
temporale di oltre tre anni.

Assumono la sussistenza di ripercussioni negative
sui livelli occupazionali derivanti dal sequestro preventivo e l’utilità di
applicare nei confronti del complesso aziendale della C. soc. Coop., di cui
l’A.G. è il legale rappresentante pro tempore, la misura meno grave del
controllo giudiziale ai sensi dell’art.
3 della legge n. 199 del 2016; al riguardo, il Tribunale di Trapani ha
erroneamente ritenuto che nessun elemento di valutazione era stato addotto
dalla difesa mentre dal contenuto dell’istanza si ricava l’allegazione di un
rischio concreto della interruzione dell’attività imprenditoriale per il
trasferimento della gestione dei beni da professionalità tipiche a
professionalità nuove, e magari non perfettamente allineate con il settore produttivo
di riferimento, ed in ragione della cura e delle competenze che richiede
l’attività agricola da svolgersi da parte di un soggetto qualificato secondo
tempi predeterminati in considerazione del suo oggetto.

 

Considerato in diritto

 

3. I ricorsi sono infondati e non possono essere
accolti.

4. Va premesso che questa Corte Suprema ha già
chiarito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di
“violazione di legge” (per la quale soltanto può essere proposto
ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma
1, c.p.p.) rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di
motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di
precise norme processuali, non anche l’illogicità manifesta e la
contraddittorietà, le quali possono denunciarsi nel giudizio di legittimità
soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), (così Sez.
Un., sentenza n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710; conforme sez. 5, sentenza n.
35532 del 25/06/2010, Rv. 248129, per la quale, in tema di riesame delle misure
cautelari, il ricorso per cassazione per violazione di legge, a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, può essere proposto solo
per mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione
apparente, ma non per mero vizio logico della stessa). Il controllo della Corte
di Cassazione è, dunque, limitato ai soli profili della violazione di legge. La
verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è
necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della
pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto
possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi. In altri termini,
quindi, non è possibile che il controllo di cassazione si traduca in un
controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito
dell’impugnazione.

4.1. Nel caso che occupa, i ricorrenti, sotto il
profilo del formalmente rappresentato vizio di legittimità basato, in realtà,
su questioni attinenti prevalentemente alla asserita illogicità della
motivazione, tentano di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio
di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono
deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua
mancanza fisica o dalla presenza di motivazione apparente; per cui sono
inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività,
l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità
(se non manifesta), così come quelle che sollecitano una differente valutazione
dei requisiti di applicabilità del sequestro preventivo per giungere a
conclusioni differenti e, per i ricorrenti, più favorevoli.

5. Ciò posto, in replica alla doglianza sub 1),
mette conto, innanzitutto, evidenziare che, a differenza delle misure cautelari
personali quelle reali non richiedono, per la loro applicazione, la sussistenza
di gravi indizi e particolari esigenze cautelari, essendo sufficienti il
“fumus commissi delicti” (l’esistenza di un procedimento penale per
un fatto considerato astrattamente come reato) e “periculum in mora”
(la sussistenza della concreta possibilità che la disponibilità del bene possa
pregiudicare le esigenze preventive o conservative che si vogliono realizzare)
(v. anche Corte costituzionale sentenza 17 febbraio 1994, n. 48; Sez. Un., n. 4
del 25/03/1993 Cc. -dep. 23/04/1993- Rv. 193117- 8: nell’occasione il Supremo
Collegio ha stabilito che le condizioni generali per l’applicabilità delle
misure cautelari personali, indicate nell’art. 273
cod. proc. pen., non sono estensibili, per le loro peculiarità, alle misure
cautelari reali; ne consegue che ai fini della doverosa verifica della
legittimità del provvedimento con il quale sia stato ordinato il sequestro
preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati, è preclusa ogni
valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità
degli stessi; il controllo del giudice del riesame non può investire, in
relazione alle misure cautelari reali, la concreta fondatezza di un’accusa, ma
deve limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un
soggetto in una determinata ipotesi di reato). D’altro canto, ove si
introducesse in sede di gravame un potere di controllo sul merito della
regiudicanda, si assisterebbe ad una specie di «processo nel processo» che
sposterebbe, allargandolo, il tema del decidere da quello suo proprio della
verifica del pericolo della libera disponibilità di taluni beni, all’oggetto
del procedimento principale.

5.1. Occorre, poi, rilevare che, a norma del
previgente art. 603-bis c.p., il delitto in
questione poteva essere commesso solo dall’intermediario/reclutatore (il c.d.
“caporale”) e non anche dal datore di lavoro ma a condizione che
questi non fosse concorrente del primo. Occorre, quindi, osservare che, nel caso
che occupa, la contestazione provvisoria (anche nel capo b) si riferisce a
fattispecie concorsuali in cui, tra i concorrenti, son ricompresi sia soggetti
astrattamente qualificabili come “datori di lavoro” sia soggetti per
i quali tale qualifica non emerge nitidamente (in particolare U.L.). Allo
stato, quindi, non appare possibile escludere la sussistenza del delitto in
parola a carico dei “datori di lavoro” concorrenti: tale
accertamento, ovviamente, compete solo al giudice del merito.

5.2. Al di là delle precisazioni che precedono, deve
ritenersi che il Tribunale della cautela reale abbia, ampiamente e senza
smagliature logiche, motivato in ordine alla sussistenza dei requisiti di
legge. In particolare, per ciò che attiene al “fumus commissi delicti”,
il Collegio territoriale ha minuziosamente elencato le fonti indiziarie
individuandole nelle «coerenti, concordi e riscontrate dichiarazioni rese dai
lavoratori […] o dai loro familiari» oltre che nell’attività di osservazione
operata direttamente dalla p.g., nei sopralluoghi effettuati dal personale
dello S.Pre.S.A.L. dell’A.S.P. di Trapani e nei risultati delle intercettazioni
delle conversazioni telefoniche. Da tali elementi, il Giudice del riesame ha
tratto -ineccepibilmente in questa sede- il convincimento che gli indagati
reclutavano «operai generici, prevalentemente di nazionalità rumena,
trasportandoli sui campi da lavoro per impiegarli quali braccianti agricoli,
sotto stretta sorveglianza, alle vessatorie condizioni descritte nei capi di
imputazione, sottoponendoli ad una grave forma di sfruttamento […] Gli
indagati, infatti, assoggettavano i lavoratori ad un orario di lavoro
estremamente penoso, senza riconoscere periodi di riposo, ferie o permessi
retribuiti per malattia; corrispondevano una paga del tutto irrisoria (circa €
30,00 al giorno, a fronte di un orario lavorativo di 10 ore) e inferiore a
quella prevista dai contratti collettivi (intorno a € 60,00 lorde al giorno, a
fronte di un orario lavorativo di ore 6,30) e violavano la normativa in materia
di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro.

[…] i lavoratori in questione, di nazionalità
rumena, si trovavano in una situazione di stato di bisogno, chiaramente
riconoscibile e ben nota agli indagati.

Sotto tale profilo risulta che í lavoratori
accettavano le soverchianti condizioni di lavoro imposte dagli indagati, in
quanto si trovavano in condizioni economiche e familiari assai disagiate. A ciò
deve, poi, aggiungersi che gli indagati erano soliti rivolgere minacce ai
lavoratori per dissuaderli dall’avanzare richieste sulla retribuzione e
sull’orario di lavoro e per indurli ad accettare le penose condizioni di lavoro
imposte. […] E ciò anche con riferimento al periodo successivo al 4.11.2016,
allorché entrò in vigore la riforma dell’art. 603
bis c.p. e venne introdotta la confisca obbligatoria ex art. 603 bis.2. c.p.».

6. Quanto alle censure sub 2), occorre premettere
che il Tribunale del riesame ha dato atto che «il GIP del Tribunale di Marsala
ha disposto il sequestro delle quote sociali e dei beni appartenenti alla C.
scc. coop., in primo luogo, ai sensi dell’art. 321
comma 2 c.p.p. in vista della successiva confisca ex art. 603 bis.2. c.p. in relazione alle condotte
ascritte al capo c) della rubrica, limitatamente al segmento temporale
intercorrente tra il 4.11.2016 e l’1.12,2016. A tal fine il GIP del Tribunale
di Marsala, tenuto conto della circostanza che i lavoratori sfruttati
espletavano lavoro per conto della citata società cooperativa, ha ritenuto
sussistente il vincolo di pertinenzialità delle quote della C. soc, coop. e dei
suoi beni rispetto al reato di cui all’art. 603
bis c.p., trattandosi di cose che servirono o furono destinate a commettere
il reato contestato.», precisando, inoltre, «che tutti gli indagati avevano di
fatto la disponibilità dei beni della società, a prescindere dal fatto che
fossero legali rappresentanti della C. soc. coop. […] o che fossero meri soci
[…] o che non fossero neanche soci […] Al contempo, deve ribadirsi che i
beni aziendali della C. soc, coop. non possono considerarsi come appartenenti a
“persona estranea al reato”. […] In altri termini, la società ha
costituito lo strumento giuridico di cui gli indagati si sono serviti per la
commissione dei reati e i relativi beni aziendali sono stati strumentalizzati
per la commissione dei reati in quanto destinati in modo continuativo allo svolgimento
dell’attività dei lavoratori sfruttati. Pertanto, deve concludersi che i beni
aziendali della C. soc. coop. sono confiscabili in quanto servirono o furono
destinati alla commissione del reato contestato al capo c) della rubrica».

6.1. A seguito delle premesse di cui sopra, il
Tribunale del riesame ha logicamente e congruamente derivato anche la
sussistenza del requisito del “periculum in mora” posto che la libera
disponibilità dei beni aziendali in sequestro «potrebbe consentire la reiterazione
del reato, tanto più che tra i soci della cooperativa figurano alcuni familiari
degli indagati». Così esponendo, il giudicante della cautela ha pure dato un
condivisibile senso al termine “recidiva” utilizzato dal G.I.P.
dell’ordinanza genetica giacché tale termine -inteso come “reiterazione
del reato”- conserva valenza sia in ambito cautelare “personale”
che “reale”, ridondando -in quest’ultimo- anche l’attualità del
“periculum in mora”.

6.2. In ordine, poi, alla doglianza relativa alla
mancata applicazione della misura di cui all’art. 3 L. 199/2016, mette conto
rilevare che tale misura è obbligatoria solo nel caso in cui l’interruzione
dell’attività imprenditoriale derivante dal sequestro preventivo (per altro,
nel caso che occupa, limitato a quote societarie, a un capannone, ad automezzi
e ad attrezzature e non all’intera azienda) possa comportare ripercussioni
negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del
complesso aziendale. Nella specie, le generiche affermazioni difensive non
appaiono sorrette da idonea documentazione neppure quella attestante – ad
esempio – la completa regolarizzazione dei lavoratori ed il pieno adeguamento
dell’impresa alle prescrizioni antinfortunistiche, a nulla rilevando il decorso
del tempo dai fatti. Correttamente, quindi, il Tribunale della cautela ha
ritenuto che «non merita accoglimento la richiesta difensiva di sostituzione
del sequestro preventivo con il controllo giudiziale dell’azienda ai sensi dell’art. 3 L. 199/2016, atteso che
[…] difetta, non avendo i difensori neanche allegato alcuno specifico e
concreto elemento di valutazione, il presupposto (derivante dall’interruzione
dell’attività imprenditoriale) delle ripercussioni negative sui livelli
occupazionali o della compromissione del valore economico del complesso
aziendale».

7. Conclusivamente, una volta accertata la
legittimità e la coerenza logica dell’ordinanza impugnata, immune da vizi ed
assolutamente plausibile, deve ritenersi che i ricorsi pongono solo questioni
che esorbitano dai limiti della critica al governo dei canoni di valutazione
dei presupposti di legittimità del sequestro preventivo, per tradursi
nell’offerta di una diversa (e per i ricorrenti più favorevole) valutazione dei
fatti. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (v. Sez. 6,
n. 13170 del 06/03/2012).

8. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2020, n. 10209
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