Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 marzo 2020, n. 7242

Rapporto di lavoro, Assunzione, Forma scritta, Onere
probatorio

 

Rilevato che

 

La Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza
depositata in data 24.1.2013, ha respinto il gravame interposto dalla S.r.l.
B., nei confronti dell’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Enna, avverso la
pronunzia del Tribunale di Enna n. 139/2009, con cui era stata rigettata
l’opposizione proposta dalla società all’ordinanza ingiunzione emessa il
21.5.2008 dall’Ispettorato, con la quale era stata contestata la violazione
dell’art. 3, comma 3, del D. Igs. n.
223 del 2006, <<per l’assunzione in nero di 3 lavoratori presso la
predetta impresa di ristorazione: C.G., T.D. e A.L.> >, ed applicata la
sanzione amministrativa di Euro 14.125,81; che la Corte di merito, per quanto
ancora rileva in questa sede, ha osservato che <<La presenza di
lavoratori in un sito di lavoro non può, in mancanza di specifica e rigorosa
prova sul punto, configurarsi come atto di mera liberalità o cortesia,
dovendosi, invece, ritenere, per una presunzione di favor dell’attività
lavorativa e per la repressione delle assunzioni illegali, come attività
retribuita di lavoro>>, ed inoltre, che <<Perché si possa parlare
di lavoro a progetto occorre la forma scritta ai fini della individuazione
della data di inizio del lavoro stesso; mentre la data certa è solo quella
della denunzia nominativa all’INAIL del 6.11.2006, che è successiva alla data
dell’ispezione del 22.10.2006>>;

che per la cassazione della sentenza la S.r.l. B. ha
proposto ricorso, sulla base di tre motivi, notificato all’Avvocatura Generale
dello Stato, anziché all’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Enna, Autorità
amministrativa che ha emesso l’ordinanza ingiunzione di cui si tratta, la
quale, pertanto, non ha svolto attività difensiva;

che sono state comunicate memorie nell’interesse
della società; che il P.G. non ha formulato richieste.

 

Considerato che

 

Con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
degli artt. 99 e 112
c.p.c. e si lamenta che l’autorità pubblica intimante sarebbe stata tenuta
a prospettare le circostanze in forza delle quali ha ritenuto la sussistenza
del carattere della subordinazione <<con riferimento alle situazioni
rinvenute in occasione dell’accesso ispettivo>> e che la Corte
distrettuale non avrebbe rilevato il difetto di compiuta esplicitazione della
causa petendi, in palese violazione degli artt. 99
e 112 c.p.c.; 2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., 23, comma 12, della I. n. 689 del
1981, perché i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto che
sussistesse la prova della subordinazione dei rapporti di cui si tratta,
mentre, a parere della società ricorrente, l’autorità pubblica intimante nulla
avrebbe offerto, al riguardo, in termini di prova e, dunque, <<nessuna
prova in senso proprio>> sarebbe stata acquisita in relazione al profilo
della subordinazione, da poter porre ragionevolmente a fondamento della
decisione: per la qual cosa, sarebbe stato violato, altresì, l’art. 23, comma 12, della I. n.
689 del 1981, ai sensi del quale <<il giudice accoglie l’opposizione
quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità
dell’opponente>>; 3) in riferimento all’art.
360, primo comma, n, 5, c.p.c., il difetto e/o insufficienza di motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere i giudici
di merito <<apprezzato alcun elemento di fatto>>, pur presente in
atti, dal quale poter escludere il carattere della subordinazione; che,
preliminarmente, va osservato che, in tema di legittimazione passiva nel
giudizio di opposizione a sanzioni amministrative in materia di lavoro,
<<legittimata passivamente è solo l’Autorità che ha emesso il
provvedimento opposto, ancorché si tratti di organo periferico
dell’Amministrazione statale che agisca in virtù di una specifica autonomia
funzionale; e tale legittimazione esclusiva persiste anche nella fase di
impugnazione davanti alla Cassazione, in mancanza di alcuna disposizione da cui
sia desumibile il subentro del Ministero>> (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 15169/2015; 8316/2015; 6788/2015;
6316/2015; 21511/2008; 12742/2007; Cass. ord.
n. 6068/2018): pertanto, nella fattispecie, legittimato passivamente è
l’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Enna, che ha, appunto, emesso il
provvedimento opposto e, quindi, la notifica del ricorso non avrebbe dovuto
essere effettuata in Roma, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, come,
invece, erroneamente, è avvenuto;

che, ciò premesso, dovendosi, comunque dichiarare il
ricorso inammissibile per i motivi di seguito esplicitati, è assorbente tale
soluzione, in base alla quale la questione può decidersi, per il principio
della <<ragione più liquida>> (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., n.
26242/2014), senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre,
secondo l’ordine previsto dall’art. 276 del
codice di rito e 118 Disp. Att.;

che, ciò premesso, il primo motivo è inammissibile,
poiché la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.
<<deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.; pertanto, è
inammissibile il motivo di ricorso con il quale siffatta censura sia
proposta>> – come nel caso di specie – <<sotto il profilo della
violazione di norme di diritto (riconducibile al n. 3 del citato articolo 360)>> (cfr., ex multis, Cass. n.
13482/2014); che il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per
ragioni di connessione, sono, altresì, inammissibili; ed in particolare,
l’ultimo motivo per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte
al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c.
dall’art. 54, comma 1, lett. b),
del D.L. 22/6/2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7/8/2012, n. 134, applicabile, ratione
temporis, al caso di specie poiché la sentenza oggetto del giudizio di
legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, il 24.1.2013; ed il
secondo motivo – che attiene, nella sostanza, alla valutazione degli elementi
probatori -, in quanto, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di
questa Suprema Corte (cfr., ex multis, Cass. nn. 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009), la stessa è attività
istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione
se non sotto il profilo della congruità del relativo apprezzamento (nella
fattispecie, peraltro, del tutto congrua, condivisibile e scevra da vizi
logici);

che, nel caso di specie, invero, la contestazione
sulla pretesa errata valutazione delle emersioni probatorie non specifica i
punti ritenuti fondamentali al fine di consentire il vaglio di decisività, che
avrebbe eventualmente dovuto condurre i giudici ad una diversa pronunzia, con
l’attribuzione di una diversa valutazione anche alle dichiarazioni testimoniali
relativamente alle quali si denunzia il vizio; la stessa si risolve, dunque, in
una inammissibile richiesta di riesame di elementi di fatto e di verifica
dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o
sarebbe stata illogica (cfr. Cass. nn. 24958/2016; 4056/2009), finalizzata ad
ottenere una nuova pronunzia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va dichiarato inammissibile;

che nulla va disposto per le spese nei confronti
dell’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Enna che, per i motivi innanzi
esplicitati, è rimasto intimato;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le
spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello
stesso articolo 13.

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