Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2020, n. 4619
Infortunio sul lavoro, Contratto di appalto, Responsabilità
extracontrattuale e contrattuale delle società coinvolte nell’appalto e
condanna in solido al risarcimento, Responsabilità ex art. 2043 cc della società costruttrice del
macchinario, per avere messo in commercio un’attrezzatura che non osservava le
generali cautele antinfortunistiche, Responsabilità ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro, su cui
incombe l’obbligo di proteggere, nell’area di lavoro, l’incolumità del
lavoratore anche al fine di prevenire condotte imprudenti o negligenti del
medesimo, Condotte colpose di entrambe le società, Presunzione di uguali responsabilità
ex art. 2055 cc, Regola dell’equivalenza delle
concause, in assenza della sussistenza della cd. “causa prossima di
rilievo”
Fatti di causa
1. Il giorno 13 maggio 2008 P.G., dipendente di D.I.
spa, stava spostando una pressetta a mano (costruita e venduta a D.I. spa da F.
srl su progetto della prima) dalla sua sede abituale per portarla in
manutenzione con l’aiuto di un collega; l’attrezzatura, posta su un supporto
con ruote, arrivata in prossimità di un tunnel passacavi, si sbilanciava e
cadeva addosso al lavoratore che nell’occorso riportava lesioni consistite
nella frattura pluriframmentaria della tibia e del malleolo personale della
gamba sinistra.
2. Il Tribunale di Rovereto, con la pronuncia n. 36
del 2014, in parziale accoglimento delle domande proposte da P.G., in ordine
all’infortunio occorso, accertava rispettivamente la responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale di D.I. spa e della F. srl, condannando le
società in solido al risarcimento, nei confronti del lavoratore, dei danni
patrimoniali e non patrimoniali nella misura di euro 82.447,11, oltre interessi
legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo.
3. La Corte di appello di Trento, decidendo sui
gravami proposti, in parziale riforma della gravata pronuncia condannava,
invece, le suddette società, sempre in solido, al pagamento in favore di P.G.
della somma di euro 108.570,11, con interessi sull’importo di euro 158.570,11
devalutato alla data del pagamento della provvisionale e quindi via via
rivalutato fino all’effettivo pagamento, con condanna altresì all’ulteriore
pagamento di euro 600,00 oltre interessi legali e alle spese di giudizio, ivi
comprese quelle di CTU; condannava la GBS sepa a rifondere a F. srl le spese
dei due gradi mentre compensava quelle relative al rapporto processuale tra F.
srl e S.P..
4. A fondamento del decisum i giudici di seconde
cure precisavano quanto segue.
5. Non era ravvisabile alcuna violazione di legge
nel fatto che il giudice di primo grado, subentrato al precedente istruttore
che aveva ammesso le prove richieste da D.I. spa, avesse poi dichiarato chiusa
l’istruttoria, non essendo vincolato a quanto già statuito; inoltre, in sede di
appello non era stata svolta alcuna argomentazione a sostegno della pretesa
inammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova articolati.
6. Sulla base delle risultanze istruttorie in atti,
anche con riguardo alle prove atipiche di cui ai procedimenti penali in atti,
era rilevabile una responsabilità ex art. 2043 cc
della F. srl, quale costruttrice del macchinario, per avere messo in commercio
un’attrezzatura che non osservava le generali cautele antinfortunistiche con
particolare riferimento alla mancanza di stabilità, nel caso di suo posizionamento
sul supporto su ruote, e al rischio di ribaltamento nelle prevedibili ipotesi
di spostamento del macchinario collocato su detto supporto.
7. Emergeva, altresì, una responsabilità ex art. 2087 cod. civ. di D., quale datore di lavoro,
su cui incombeva l’obbligo di proteggere, nell’area di lavoro, l’incolumità del
lavoratore anche al fine di prevenire condotte imprudenti o negligenti del
medesimo: in particolare, nell’avere consentito che un dipendente effettuasse
(non un trasporto come prescritto dal libretto di istruzioni) bensì un
spostamento di pochi metri di un macchinario (pressetta), montato su carrello
munito di ruote che -così come assemblato- presentava elementi di instabilità
costituenti fattore di rischio di ribaltamento soprattutto negli spostamenti,
come poi in concreto si era verificato.
8. Alcuna responsabilità era, invece, individuabile
in capo a S.P., al quale era stata demandata la certificazione della pressetta
de qua, atteso che a quest’ultimo era stato conferito l’incarico di certificare
solo la pressa (e non il supporto con ruote) e che quando aveva visto la
pressetta montata sul supporto aveva, comunque, inserito le prescrizioni
concernenti le cautele da adoperare nelle modalità di trasporto.
9. In relazione alle condotte colpose di entrambe le
società, corretto era il riparto delle responsabilità ai sensi dell’ultimo
comma dell’articolo 2055 cc, non potendosi
ipotizzare una responsabilità prevalente della ditta fornitrice del
macchinario.
10. Con riguardo alla quantificazione del danno, una
volta adottate le “tabelle milanesi” del 2013 ai fini della
liquidazione, l’indicazione di euro 90,00, anziché di euro 96,00/144,00, quale
indennità temporanea del danno biologico al giorno, adottata dal primo giudice,
non appariva motivata, di talché la stessa avrebbe dovuto essere liquidata in
euro 100,00 al giorno.
11. Il danno non patrimoniale liquidato dal primo
giudice era già comprensivo del danno cd. morale ed esistenziale; la
personalizzazione del danno non appariva autonomamente riconoscibile, nel caso
di specie, considerata la percentuale di invalidità permanente, obiettivamente
non elevata, e il già ricordato aumento per i danni morali ed esistenziali;
quanto, infine, al danno da perdita della capacità lavorativa specifica,
correttamente era stato riconosciuto nella misura statuita stante la mancata
indicazione di elementi concreti per una diversa liquidazione di tale voce di
danno, in considerazione del pregiudizio indicato; al P. competevano,
nell’intero importo, sia l’indennità giornaliera liquidata dall’INAIL (che
aveva natura assistenziale) sia il danno patrimoniale derivante da perdita da
capacità lavorativa specifica, coprendo due distinti periodi. Non erano stati offerti
elementi per la liquidazione del danno patrimoniale da perdita e rinuncia di
attività lavorativa e da perdita di chances; essendo, poi, il danno
differenziale un credito di valore, l’importo liquidato andava maggiorato degli
interessi legali, come statuiti in dispositivo.
12. Con riferimento alle determinazioni sulle spese
di giudizio, quelle della consulenza tecnica di parte del lavoratore, liquidate
in via equitativa in euro 600,00, dovevano essere messe a carico delle società
coobbligate, trattandosi di spesa necessaria ai fini della difesa. La GBS sepa,
compagnia assicuratrice di F. srl, andava condannata a rifondere le spese dei
due gradi di giudizio nei confronti della chiamante F., mentre quelle tra
quest’ultima società e S.P. dovevano essere compensate alla luce della
complessità delle questioni versate in causa da dette parti.
13. Avverso la decisione di secondo grado proponeva
ricorso per cassazione S.P., nella qualità di titolare della N.P., affidato a
due motivi.
14. Resisteva con controricorso la F. srl,
formulando ricorso incidentale sulla base di sei motivi.
15. P.G. in relazione al ricorso di S.P. dichiarava
di non avere interesse a sostenere o a confutare il motivo; resisteva, invece,
a quello proposto da F. srl e proponeva ricorso incidentale articolato su un
motivo.
16. D.I. spa resisteva con controricorso sia nei
confronti di P.G. che di F. srl.
17. S.P., nella qualità sopra indicata, resisteva
con controricorso ai ricorsi incidentali presentati da P.G. e da F. srl.
18. La GBS – (…) sepa – quale procuratrice e
mandataria di A.G. spa e la X.W.I. non svolgevano attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo del ricorso principale P.S.
n.q. denunzia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4
cpc, la nullità della sentenza con riferimento agli artt. 111 comma 6 Cost., art. 132 n. 4 cpc e 118
disp. att. cpc, per manifesta illogicità, contraddittorietà ed incoerenza
della motivazione, per avere la Corte territoriale, da un lato, esaminando il
motivo di appello di F. srl concernente la condanna alle spese in favore del
chiamato in causa, disposta in primo grado, ritenuta corretta la decisione
specificando che non erano stati evidenziati motivi per disporre la
compensazione delle spese e, dall’acro, nella parte finale del provvedimento,
disposto la compensazione delle spese di lite dei due gradi di giudizio, sempre
relativamente al rapporto processuale tra F. srl ed il S., alla luce della
complessità delle questioni versate in causa dalle parti.
3. Con il secondo motivo il ricorrente principale si
duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc,
della violazione o falsa applicazione degli artt.
91 e 92 secondo comma cpc, come formulato
nel testo antecedente la riforma introdotta dall’art.
13 co. 1 D.L. 12.9.2014 n. 162, essendo stato radicato il giudizio con
ricorso ex art. 414 cpc (depositato il
6.2.2013), perché la Corte di merito aveva erroneamente compensato per intero
le spese pur in assenza di una situazione di soccombenza reciproca o di
concorrenza di altre gravi ed eccezionali ragioni, non potendosi considerare
tali quelle genericamente indicate nella motivazione.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la F.
srl lamenta la violazione di legge, segnatamente degli artt. 209, 420 cpc,
in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc;
l’omessa assunzione della prova per testimoni richiesta da parte resistente in
spregio alla relativa previa ordinanza ammissiva assunta dal giudice di prime
cure; la declaratoria di chiusura dell’istruttoria contra ius; la violazione
del diritto alla prova di parte resistente; l’omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione sul punto, per non avere valutato la Corte di merito il motivo di
gravame denunciato che concerneva la carenza assoluta di motivazione del
giudice del Tribunale di Rovereto, subentrato a quello che aveva già ammesso la
prova, con cui era stata ritenuta la causa istruita e per non avere rilevato la
Corte territoriale che, da un lato, erano state prospettate le argomentazioni a
sostegno della necessità di assumere la deposizione dei testi indicati e,
dall’altro, erano stati indicati, anche per relationem, i capitoli di prova
testimoniale.
5. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione
di legge, segnatamente degli artt. 115, 421
cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc,
relativamente alla valutazione, da parte dei giudici di merito, delle prove
documentali, segnatamente delle sentenze emesse dal Tribunale penale di
Rovereto n. 13/415, perché mai prodotta dalle parti, essendo invece state
depositate solo la sentenza penale della Corte di Cassazione n. 49670/2014 e la
sentenza della Corte di appello di Trento del 23.10.2013.
6. Con il terzo articolato motivo la società si
duole della violazione di legge, segnatamente dell’art.
2043 e ss cc, in relazione all’art. 360 co. 1
n. 3 e n. 5 cpc; l’infondatezza della pretesa azionata dall’attore in prime
cure nei confronti di F. srl; la carenza in capo alla terza chiamata (F. srl)
della civile responsabilità aquiliana dichiarata dal giudice di seconde cure
con l’impugnata sentenza; l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
sul punto; deduce, altresì, la violazione di legge, segnatamente degli artt. 115 e 116 cpc,
in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc;
il travisamento delle prove e dei fatti; l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione sul punto; denunzia, infine, la violazione di
legge, segnatamente degli artt. 115, 246 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc; l’utilizzo di deposizione
di teste incapace. In pratica si sostiene che la Corte territoriale aveva
erroneamente valutato le prove offerte, attribuendo loro un valore ed una
efficacia contra legem ed omettendo di considerare altre fonti indiziarie e/o
di prova. Nello specifico si addebita alla Corte territoriale di non avere valutato
il profilo della insussistenza della colpa specifica nella condotta ascritta
all’imputato; per avere posto a fondamento della decisione la sola deposizione
resa dal terzo chiamato in causa S.P., senza considerare che quest’ultimo aveva
un interesse che legittimava la sua partecipazione nel giudizio tanto è che era
(ed è) parte nel giudizio medesimo; di non avere considerato che l’opera
certificatoria commissionata al S. includesse tutta la pressetta, inclusa la
base di supporto munita di ruote; di non avere accertato, altresì, la
insussistenza di colpa generica nella condotta ad essa ascritta, anche in
relazione ad un uso improprio del supporto con le ruote che aveva determinato
il rischio del ribaltamento in connessione al contatto con il tunnel passacavi;
di non avere rilevato l’insussistenza del nesso eziologico ex art. 41 cp tra l’atto illecito ascritto alla terza
chiamata e l’evento lesivo occorso al P..
7. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si
denunzia la violazione di legge, segnatamente degli artt.
2043, 1227 cc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc; la violazione di
legge, segnatamente degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione agli artt. 360 n. 3 e n. 5 cpc; il concorso di colpa
del danneggiato P. nella causazione del fatto illecito de quo; l’eccessiva quantificazione
della pretesa risarcitoria azionata; la carenza di motivazione nonché il
travisamento delle prove e dei fatti, per avere erroneamente la Corte di
appello escluso, dalle risultanze istruttorie, il concorso di colpa del
lavoratore.
8. Con il quinto motivo la società censura la
violazione di legge, segnatamente degli artt. 2043
e ss cc, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e
n. 5 cpc; la violazione di legge, segnatamente degli artt. 115, 116 cpc,
in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc;
l’imputabilità dell’Illecito de quo al terzo chiamato S.P.; la carenza di
motivazione ed il travisamento delle prove e dei fatti perché la Corte
territoriale, avendo escluso qualsivoglia responsabilità di F. srl per colpa
specifica e, quindi, la derivata responsabilità del certificatore S., avrebbe
dovuto dichiarare la cessazione della materia del contendere in quanto la
domanda di manleva, per il suo accoglimento, non postula la declaratoria di
responsabilità in capo al chiamato bensì la sussistenza di un titolo in forza
del quale lo stesso, in caso di fondatezza della domanda attorea, debba tenere
indenne il chiamante dagli effetti pregiudizievoli della sentenza di
accoglimento della pretesa attorea che il chiamante dovesse sopportare.
9. Con il sesto motivo si deduce la violazione di
legge, segnatamente degli artt. 91 e 92 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc; la condanna di F. srl
alla rifusione delle spese di lite sopportate dal terzo chiamato, S.P., ex art. 91 cpc in carenza assoluta dei presupposti di
legge; la sussistenza di gravi ragioni per disporre la compensazione delle
spese di lite ex art. 92 cpc; l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione in punto perché, in caso di
accoglimento del secondo motivo del ricorso principale del S., si eccepisce la
violazione delle norme sopra richiamate sussistendo i presupposti di fatto per
una declaratoria di compensazione.
10. Con il ricorso incidentale P.G. denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,
1226, 2043, 2056 e 2059 cc,
con conseguente violazione del principio per cui il risarcimento dei danni non
patrimoniali deve essere integrale ed effettivo, nel capo della sentenza in cui
la Corte territoriale aveva ritenuto che la somma liquidata a titolo di danno
biologico di cui alle tabelle milanesi fosse comprensiva di tutte le
conseguenze non patrimoniali, senza procedere alla cd. personalizzazione del
danno e del relativo compenso ex art. 360 co. 1 n.
3 cpc; si censura, inoltre, l’omesso esame delle molteplici e dolorose
limitazioni che le lesioni avevano apportato alla serenità esistenziale e alla
vita di relazione di esso P. ex art. 360 co. 1 n. 5
cpc. Si deduce, in sostanza, che la Corte territoriale si era discostata
dalla giurisprudenza di legittimità che considera che il ricorso alle
“tabelle milanesi” possa costituire un valido criterio di riferimento
ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226
cc solo laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che
richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione e che la stessa
Corte non aveva tenuto conto di una serie di circostanze dalle quali ricavare
l’alterazione in peius delle abitudini di vita, il peggioramento della qualità
di vita conseguente allo stress e al turbamento per il rischio che
l’osteomielite, di cui in seguito all’infortunio fu cronicamente affetto,
degenerasse in cancrena con conseguente necessità di amputazione dell’arto.
11. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica
devono essere preliminarmente esaminati i ricorsi incidentali; in primo luogo
quello della F. srl e, successivamente, quello di P.G..
12. Il primo motivo del ricorso formulato dalla
società è infondato.
13. La naturale revocabilità, anche implicita, delle
ordinanze istruttorie, consente al giudice in sede di valutazione delle prove,
ai fini del giudizio, di considerare irrilevante anche l’oggetto di una prova
testimoniale precedentemente ammessa (cfr. Cass. 22.12.2000 n. 16113).
14. Le ordinanze istruttorie non pregiudicano,
infatti, il merito della decisione della controversia, non essendo idonee ad
acquistare efficacia di giudicato, né spiegano alcun effetto preclusivo potendo
qualsiasi questione essere nuovamente trattata in sede di decisione (cfr. Cass.
18.4.2006 n. 8932).
15. Nella fattispecie in esame non è configurabile,
pertanto, alcun error in procedendo o in iudicando nella decisione del secondo
giudice monocratico del Tribunale di Rovereto che ha revocato l’ordinanza
ammissiva, precedentemente adottata dal giudice che lo aveva preceduto, sulla
base di una nuova valutazione di rilevanza dei mezzi di prova.
16. Quanto, invece, alla statuizione della Corte di
merito sulla doglianza avverso il mancato espletamento delle prove in prime cure,
occorre osservare che la facoltà del giudice di merito di ammetterle attiene
all’esercizio di un potere discrezionale che sfugge al sindacato di legittimità
se adeguatamente motivato (in termini, tra le altre, Cass. 12.10.2017 n. 23940;
Cass. 1.8.2001 n. 10484).
17. La Corte territoriale, sul punto, esplicitando
le proprie ragioni sotto l’aspetto giuridico-processuale, ha respinto la
richiesta di assunzione delle prove sottolineando la mancata formulazione di
argomentazioni a supporto della pretesa ammissibilità e rilevanza dei mezzi di
prova stessi nonché, in sostanza, la loro mancata esatta riproduzione, non
essendovi conformità tra quelli riportati nelle conclusioni dell’appello
incidentale e quelle rinvenibili nel corpo dell’atto.
18. Tale motivazione, congrua e corretta in punto di
diritto, impedisce qualsiasi sindacato di merito da parte di questa Corte per i
principi sopra esposti.
19. Il secondo motivo della F. srl è inammissibile
per difetto di specificità.
20. La ricorrente afferma che la Corte territoriale
aveva valutato una prova documentale, costituita dalla sentenza penale di primo
grado del Tribunale di Rovereto pronunciata in merito allo stesso infortunio
sul lavoro, senza che questa fosse stata mai prodotta dalle parti.
21. Rileva, però, questo Collegio che la Corte di
merito, nel valutare le risultanze del giudizio penale, ha fatto riferimento
all’intero processo, richiamando congiuntamente le sentenze sia della Corte di
appello di Trento n. 253/2013 che della Corte di Cassazione n. 49670 del 2014
ove venivano menzionati anche gli estremi e i punti della decisione di prime
cure, oggetto delle relative impugnazioni.
22. E’ logico, quindi, ritenere che i richiami della
Corte di merito, nella pronuncia oggetto del presente ricorso, della decisone
di primo grado penale siano stati quelli valutati nelle sentenze prodotte e
sopra indicate.
23. Sotto questo profilo, pertanto, è necessario
evidenziare -da qui l’inammissibilità della doglianza – che la società non ha
indicato quali questioni specifiche fossero state, invece, estrapolate dalla
sola sentenza del Tribunale di Rovereto di primo grado, asseritamente non
prodotta, e non citate dalle pronunce di secondo grado e di legittimità, avendo
come detto la Corte territoriale svolto una valutazione complessiva delle
risultanze dell’intero giudizio penale.
24. Tale genericità rende, quindi, il motivo
inammissibilmente proposto.
25. Il terzo e quarto motivo, per connessione,
devono essere esaminati congiuntamente.
26. Essi presentano profili di inammissibilità e di
infondatezza.
27. Sono inammissibili tutte le doglianze che si
risolvono, in sostanza, nella richiesta di una rivisitazione del merito della
vicenda e in una contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte
territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza
del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, non equivalendo
il sindacato della Corte di cassazione alla revisione del ragionamento
decisorio (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 18.3.2011 n. 6288); tali sono
quelle relative ai profili della ravvisata responsabilità per colpa, generica o
specifica, in capo ai soggetti ritenuti colpevoli dell’infortunio, e alla
asserita eccessività della quantificazione della pretesa risarcitoria.
28. Sono, altresì, inammissibili le censure dirette
a denunciare vizi sostanziali della motivazione, sotto il profilo della sua
omessa, insufficiente o contraddittoria articolazione, perché, alla stregua
della nuova formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5
cpc, riformulato dall’art. 54
del D.L. 22.6.2012 n. 83 conv. in legge
7.8.2012 n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale
che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto
attinente alla esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal
testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi
sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella motivazione
“apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
motivazione (Cass. 7.4.2014 n. 8053; Cass.
10.2.2015 n. 2498): le predette ipotesi non sono ravvisabili nella gravata
pronuncia.
29. Sono, invece, infondate le denunciate violazioni
di legge, in particolare quelle di cui agli artt.
246 cpc, 41 cp e 1227
cod. civ., 2043 e 2055 cod. civ.
30. Quanto alla disposizione di cui all’art. 246 cpc, ritenuta violata per avere i giudici
di seconde cure posto a base della decisione le dichiarazioni del S., che era
parte del giudizio, osserva il Collegio che la norma citata concerne l’ipotesi
dell’assunzione diretta della testimonianza da parte del giudice civile
nell’ambito del processo in cui sussista la incompatibilità, nel soggetto, di
parte e di teste, nel senso che il coinvolgimento della persona chiamata a
deporre deve essere diretto nella situazione e nel rapporto controverso (cfr.
in termini Cass. 4.8.1995 n. 8605).
31. Nella fattispecie in esame, invece, le
dichiarazioni rese dal S. erano state rese in sede di giudizio penale, ove
questi non assumeva la qualità di imputato, e le stesse sono state valutate
dalla Corte di appello unitamente ad altri riscontri probatori di tipo
documentale, in forza del principio, vigente nell’ordinamento processuale, del
libero convincimento di cui all’art. 116 cpc,
secondo cui il giudice può legittimamente porre a base della propria decisione
prove cd. atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti,
se e in quanto non smentite dal raffronto critico con altre risultanze del
processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati
per la sua valutazione (Cass. 5.3.2010 n. 5440; Cass. 27.3.2003 n. 4666).
32. Non si verte, pertanto, in una ipotesi tipizzata
e disciplinata dall’art. 246 cpc quanto alla
utilizzabilità delle dichiarazioni del S..
33. Con riguardo, invece, alla asserita violazione
dell’art. 41 cp, per insussistenza del nesso
eziologico tra l’atto illecito e l’evento lesivo, va considerato che la Corte
di merito ha correttamente applicato il principio secondo il quale tra
“fatto” e “danno” deve intercorrere un nesso di causalità
da valutarsi in virtù della regola dell’equivalenza delle concause (cfr. Cass
n. 25028/2008; Cass. n. 10607/2010), in assenza della sussistenza della cd.
“causa prossima di rilievo” (Cass n. 26997/2005), e ha poi
condivisibilmente ritenuto, nella fattispecie in esame, che fosse ravvisabile
un concorso di condotte colpose indipendenti, costituenti rispettivamente
ipotesi di responsabilità contrattuale (ex art.
2087 cod. civ.) e di responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 cod. civ.) e che le stesse avessero
concorso in misura pari a determinare l’evento dannoso, ripartendo tra le
coobbligate la responsabilità ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2055 cod. civ., che si applica (cfr. Cass. n.
14650/2012) anche in tema di inadempimento congiunto per responsabilità sia
contrattuale che extra-contrattuale.
34. Relativamente, infine, ad un prospettato
concorso colposo del lavoratore nella causazione dell’evento dannoso, la Corte
di appello ha precisato, con accertamento di merito non sindacabile in questa
sede, da un lato, che la condotta del lavoratore non era stata connotata da
elementi di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al processo
lavorativo tale da configurare una causa esclusiva dell’evento; dall’altro che,
anche a volere considerare imprudente il comportamento del lavoratore, il fatto
di avere spostato la “pressetta” insieme ad un suo diretto superiore
era indice di avere agito su ordine del datore di lavoro.
35. Le suddette statuizioni sono giuridicamente
corrette perché la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste
effettivamente quando questi abbia posto in essere un comportamento con le
caratteristiche sopra individuate dalla giurisprudenza di legittimità in sede
di rischio elettivo (Cass. 13.1.2017 n. 798; Cass. 5.9.2014 n. 18786), cioè una condotta
personalissima, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o ad essa
riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e a
motivazioni del tutto personali.
36. Inoltre, la condotta imprudente del lavoratore
dipendente -allorché sia attuativa di uno specifico ordine di servizio del
datore di lavoro- si configura nell’eziologia dell’evento dannoso come una mera
modalità dell’iter produttivo del danno, proprio perché “imposta” in
ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, di
talché tale condotta va comunque addebitata al datore di lavoro (Cass. 8.4.2002
n. 5024; Cass. 3.5.2004 n. 8365).
37. La sentenza impugnata non si pone in contrasto
con i suddetti principi generali di matrice normativa sicché le denunziate
violazioni di legge sono insussistenti in tema di concorso causale del
lavoratore nell’infortunio patito.
38. Il quinto motivo è infondato.
39. A prescindere dalla non corretta formulazione
della censura, sotto il profilo delle dedotte violazioni di legge (in assenza
di una appropriata doglianza circa la erronea sussunzione della fattispecie
concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante
specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata
che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie e con la interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza
di legittimità o dalla prevalente dottrina – cfr. Cass. 26.6.2013 n. 16038;
Cass. 28.2.2012 n. 3010), va rilevata la correttezza della impostazione
giuridico-processuale della gravata sentenza.
40. E’ stato, infatti, in pratica, ritenuto dai
giudici del merito che la domanda di manleva proposta dalla F. srl nei
confronti del S. rappresentasse una domanda di garanzia impropria, in quanto
fondata su un titolo diverso ed indipendente rispetto a quello posto a base
della domanda principale.
41. La domanda accessoria dava luogo, pertanto, ad
una causa scindibile ed indipendente (per tutte Cass. n. 534/89) il cui esito
ben poteva essere valutato in modo autonomo.
42. Nel caso in esame è stata ritenuta fondata la
domanda principale di responsabilità, articolata ex art.
2043 cod. civ., del produttore del macchinario, ma non quella di garanzia
proposta da quest’ultimo nei confronti del certificatore, per cui l’iter
decisionale, non essendo rilevante il profilo della colpa generica o specifica
imputabile a carico dell’autore del danno, è esente dalle violazioni di legge
denunciate.
43. Il sesto motivo, riguardante la determinazione
sulle spese del giudizio di primo e secondo grado, sarà esaminato
congiuntamente al ricorso principale del S. essendo a questo connesso e
subordinato.
44. Anche il ricorso incidentale di P.G. è
infondato.
45. La doglianza sulla mancata personalizzazione del
danno va respinta perché questa, a seguito della liquidazione secondo i
meccanismi tabellari (come avvenuto nel caso di specie) non è automatica ma va
rapportata a risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse
all’esito del dibattito processuale e a specifiche circostanze di fatto,
peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze
“ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfetizzata
assicurata da previsioni tabellari (cfr. Cass. 21.9.2017 n. 21939; Cass.
31.1.2019 n. 2788).
46. Nel caso in esame la Corte territoriale, con
adeguate e logiche motivazioni, ha escluso la citata personalizzazione in
considerazione della percentuale di invalidità permanente, obiettivamente non
elevata, e dell’aumento previsto per i danni morali ed esistenziali che
rendevano l’importo in concreto liquidato idoneo a ristorare il pregiudizio
patito.
47. Anche la doglianza relativa ai rapporti tra
criteri di liquidazione secondo le tabelle (nel caso de quo
“milanesi”) ed il danno non patrimoniale, non sussiste.
48. E’ stato, infatti, affermato in sede di
legittimità (cfr. Cass. 6.3.2014 n. 5243) che, in tema di risarcimento del
danno, le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non
patrimoniale da lesione all’integrità psico-fisica, elaborate successivamente
all’esito delle pronunce delle Sezioni Unite del 2008, determinano il valore
finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente
tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già
qualificata in termini di “danno morale” nei sistemi tabellari
precedenti, liquidata invece separatamente.
49. La Corte di merito si è adeguata a tali principi
evidenziando proprio (a pag. 14, 1° cpv, della gravata sentenza) che il danno
non patrimoniale liquidato era già comprensivo del danno cd. morale ed
esistenziale e non era possibile operare una inammissibile duplicazione di tali
voci già unitariamente liquidate in prime cure con l’applicazione delle cd.
tabelle “milanesi”.
50. Il resto delle censure, riguardante l’omesso
esame di fatti (per es. “molteplici e dolorose limitazioni che le lesioni
avevano apportato alla serenità esistenziale e alla vita di relazione) ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, è inammissibile perché si
risolve in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle
valutazioni riservate al giudice di merito, non consentito dalla nuova
formulazione della disposizione processuale come riformulata nel 2012.
51. I due motivi del ricorso principale proposto da
P.S. nella qualità, da trattarsi congiuntamente al sesto motivo del ricorso
incidentale della F. srl (il cui esito sarà diverso, come appresso si dirà),
sono meritevoli di accoglimento.
52. Il principio di diritto da cui partire è quello
secondo cui, in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice di
appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno
specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese
processuali di primo grado, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza
impugnata, è tenuto a provvedere, anche di ufficio, ad un nuovo regolamento di
dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base
al principio di cui all’art. 336 cpc, la
riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della
pronuncia che ha statuito sulle spese (Cass. 24.1.2017 n. 1775; Cass 22.12.2009 n. 26985).
53. Tale principio è stato preso in considerazione
dalla Corte di merito che, nella nuova determinazione delle spese di lite, avendo
riformato in parte la gravata sentenza, ha ritenuto di dovere compensare, alla
luce della complessità delle questioni versate in causa, quelle relative al
rapporto processuale tra F. srl e S.P..
54. Così statuendo, però, la Corte territoriale ha
determinato un contrasto irriducibile, nella motivazione, tra affermazioni
inconciliabili (cfr. Cass. n. 8053/2014),
sanzionato con la nullità della sentenza, in quanto, in precedenza, nel
valutare l’ultimo motivo di appello incidentale proposto dalla F. srl, che
lamentava l’erroneità della condanna alle spese disposta in favore del chiamato
in causa S., aveva ritenuto corretto il criterio della soccombenza non
appalesandosi motivi per disporre la compensazione.
55. I giudici di seconde cure, invece, avrebbero
dovuto soprassedere sull’esame del motivo di appello, logicamente e
giuridicamente subordinato all’esito complessivo della lite, e solo una volta
definito il gravame, rilevare la eventuale persistenza dell’interesse alla trattazione
della censura ovvero il suo assorbimento determinato dalla nuova statuizione
sulle spese.
56. Relativamente a tale punto, quindi, la sentenza
deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto,
può procedersi alla determinazione delle dette spese per il giudizio di primo
grado e di appello.
57. A tal proposito ritiene il Collegio,
conformemente a quanto stabilito in prime cure, che debba applicarsi il
criterio della soccombenza, per entrambi i gradi, perché la domanda di manleva
formulata dalla F. srl nei confronti del chiamato S. è risultata totalmente
infondata.
58. Non sussistono ragioni per disporre la
compensazione (sesto motivo del ricorso incidentale della F. srl) in quanto non
è ravvisabile la invocata complessità di questioni giuridiche sostanziali e
processuali circa la posizione del S., tale da derogare il generale principio
della condanna alle spese della parte soccombente: invero, è emerso in modo
chiaro, in fatto e diritto, il non coinvolgimento dì quest’ultimo in ordine
all’infortunio di cui è giudizio.
59. L’importo a carico della società, per la
rifusione delle spese in favore del S. per il giudizio di appello (per quelle
di primo grado va confermata la liquidazione già adottata dal Tribunale di
Rovereto), può essere quantificato in euro 5.500,00 per compensi, oltre agli
esborsi liquidati in euro 300,00, al rimborso spese forfettizzate nella misura
del 15 % e agli accessori di legge, come da dispositivo, avendo riguardo
all’iter processuale risultante dalla gravata sentenza, alle questioni
giuridiche esaminate e allo scaglione di riferimento (valore indeterminato).
60. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso
incidentale della F. srl deve essere rigettato, così come quello proposto da
P.G..
61. Deve, invece, essere accolto il ricorso
principale di P.S. nella qualità; la sentenza impugnata va cassata in relazione
ai motivi accolti e, decidendo nel merito, la F. srl va condannata al
pagamento, in favore di S.P. delle spese di primo (confermando la statuizione adottata
dal Tribunale di Rovereto) e di secondo grado, come sopra quantificate.
62. Quanto alle spese del giudizio di legittimità,
le stesse -anche in questo caso – seguono la soccombenza per ciò che concerne i
rapporti processuali tra la F. srl e S.P. nonché tra P.G. e D.I. spa.
63. La soccombenza reciproca induce a compensare
quelle intercorrenti tra P.G. e F. srl.
64. Per quelle riguardanti il rapporto tra P.G. e
S.P. n.q., esse vanno compensate in considerazione del fatto che, in sostanza,
le rispettive richieste, oggetto dei motivi di censura, erano dirette
esclusivamente nei confronti della F. srl.
65. Nulla, infine, va disposto per quelle
riguardanti il rapporto tra S.P. e la D.I. spa, che non ha resistito con
controricorso nei confronti del primo, non essendo destinataria delle istanze
del ricorrente principale.
66. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre come da dispositivo,
relativamente alla F. srl e a P.G..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso incidentale della F. srl; rigetta
il ricorso incidentale di P.G.; accoglie il ricorso principale proposto da S.P.
nella qualità in epigrafe indicata; cassa la sentenza in relazione al ricorso
accolto e, decidendo nel merito, conferma la statuizione sulle spese del
giudizio di primo grado di cui alla pronuncia del Tribunale di Rovereto n.
36/2014 relativamente al rapporto processuale tra F. srl e S.P. n. q.; condanna
F. srl alla rifusione delle spese del giudizio di appello sostenute da S.P.
n.q. che si liquidano in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
300,00 ed agli accessori di legge.
Compensa tra P.G. e S.P. n. q. nonché tra P.G. e la
F. srl le spese del giudizio di legittimità.
Condanna P.G. a rimborsare a D.I. spa le spese del
giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 e agli accessori di legge.
Condanna, infine, F. srl al pagamento, in favore di
S.P. n. q., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro
3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agii
esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte dei ricorrenti F. srl e P.G., dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi
incidentali, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13.