Il riassetto organizzativo, da cui deriva la soppressione di una posizione lavorativa, legittima il licenziamento se attuato per una migliore efficienza gestionale o anche per un incremento della redditività dell’impresa.
Nota a Cass. 30 gennaio 2020, n. 2234 e Cass. 28 gennaio 2020, n. 1889
Francesco Belmonte
Qualsiasi mutamento dell’assetto organizzativo, da cui deriva la soppressione di una individuata posizione lavorativa, attuato anche per la più economica gestione dell’impresa e per il contenimento dei costi, integra un’ipotesi legittima di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, senza che sia necessario che vengano soppresse le mansioni già assegnate al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere anche solo diversamente ripartite tra altri dipendenti, siano essi lavoratori dipendenti o non della stessa impresa.
Questo è il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione in due recenti pronunce, concernenti, rispettivamente: il licenziamento di un Preside di un “ente morale di pubblica istruzione” (Cass. 30 gennaio 2020, n. 2234) e di una dipendente di un centro odontoiatrico (Cass. 28 gennaio 2020, n. 1889).
Nella prima fattispecie, il licenziamento era stato disposto per far fronte al persistere di una situazione di crisi. In particolare, l’Istituto aveva deciso di accorpare “sia le scuole di grado inferiore sia le scuole di grado superiore rispettivamente in un Istituto Comprensivo e in un Istituto Superiore Polispecialistico, con conseguente soppressione della dirigenza” (affidata in precedenza alla Preside licenziata) ed affidamento della presidenza di entrambi gli Istituti ad un altro docente. Per effetto di tale riorganizzazione, la scuola media, prima diretta dalla Preside in questione, è stata inglobata nell’Istituto Comprensivo e le residue mansioni dirigenziali “sono state accorpate alle mansioni del docente., non essendo ormai più giustificata un’autonoma e distinta figura di Preside preposto in via esclusiva alla direzione delle relative attività.”
Nella seconda fattispecie, invece, la dipendente della società F.U. s.r.l. (“che gestiva in regime di franchising un centro odontoiatrico con il marchio V.”, i cui “soci avevano ceduto il 100% delle loro quote sociali alla D.F. s.r.l., titolare in Italia del marchio V.”) era stata licenziata per soppressione della sua posizione organizzativa, “disposta per motivi di riorganizzazione del personale ed esigenze di contenimento dei costi, con assorbimento delle relative attività in capo al responsabile del centro.”
In entrambe le pronunce, poi, i giudici di legittimità ribadiscono l’orientamento ormai consolidato in tema di onere probatorio sull’impossibilità del c.d. repêchage, posto “interamente” a carico della parte datoriale, “con esclusione di ogni incombenza, anche solo in via mediata, a carico del lavoratore” (Cass. n. 2234/2020). Tale indirizzo, per la Corte, risulta rispondente ai principi di diritto processuale secondo cui simili oneri (di allegazione e prova) non possono che incombere sulla medesima parte; diversamente dal precedente e ormai superato orientamento che addossava l’onere di allegazione ad una delle parti in lite e l’onere probatorio all’altra (v., ex plurimis, Cass. n. 9467/2016, annotata, in questo sito, da A. TAGLIAMONTE, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e mutamento di mansioni; Cass. n. 19923/2015 e Cass. n. 4920/2014).
Ciò in quanto, “chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l’onere della relativa compiuta allegazione” (Cass. n. 160/2017, in questo sito, con nota di F. BELMONTE, L’obbligo di repechâge nel licenziamento per ragioni economiche. V. anche Cass. n. 24882/2017, annotata in questo sito da A. LARDARO, I requisiti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; Cass. n. 618/2017 e Cass n. 12101/2016).
Pertanto, “sul datore di lavoro incombe l’onere di allegare e dimostrare … l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte” (Cass. n. 1889/2020, che richiama, tra le tante, Cass. n. 9869/2017; Cass. n. 24882/2017, cit. e Cass. n. 27792/2017).