Elemento caratterizzante del rapporto di lavoro subordinato è il vincolo di soggezione personale del lavoratore che si concretizza nel potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro e nello stabile inserimento nell’organizzazione aziendale. La sporadicità dell’attività prestata, invece, esclude il carattere subordinato della prestazione.
Nota a Cass. ord. 18 febbraio 2020, n. 4094 e Cass. 17 febbraio 2020, n. 3912
Stefano Stinziani
La qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro subordinato è condizionata da una serie di indici rivelatori, la cui prova incombe sul dipendente, quali:
– la sottoposizione alle direttive tecniche, al controllo e al potere disciplinare dell’imprenditore, che coordina l’attività lavorativa sia dal punto di vista spazio-temporale che funzionale;
– la stabile ed effettiva inserzione del prestatore nella compagine aziendale mediante la messa a disposizione, in favore dell’impresa, delle proprie energie lavorative (ex multis, Cass. n. 5645/2009; Cass. n. 4770/2003).
La portata del vincolo di subordinazione è apprezzata, dal giudice di merito (la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità ove correttamente e adeguatamente motivata) con riguardo all’incarico concretamente svolto (v. Cass. n. 21424/2015; Cass. n. 14160/2014; Cass. n. 1238/2011).
Tali principi sono ribaditi dalla Corte di Cassazione (ord. 18 febbraio 2020, n. 4094, conforme ad App. Lecce 11 giugno 2014), in relazione al caso di un’impiegata d’ordine che svolgeva attività che denotavano “inequivocabilmente” l’esistenza di un rapporto di impiego ai sensi dell’art. 2094 c.c.
In particolare, secondo la Corte, “un sicuro indice” della subordinazione “molto più pregnante e qualitativo” della semplice adibizione a lavori di pulizia era costituito dalla circostanza che la dipendente firmasse le fatture in qualità di “destinatario” per conto della ditta.
Per caratterizzare un rapporto di lavoro subordinato, in sostanza, “occorre considerare lo stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva, il carattere continuo della prestazione ed una “effettiva eterodirezione’”. Ciò anche in tema di trasporto su strada.
La precisazione è della Corte di Cassazione (17 febbraio 2020, n. 3912, conforme ad App. Bari 28 maggio 2018), per la quale l’esecuzione da parte di una prestatrice, con mansioni di camionista, di unico viaggio, seppur lungo e con tappe intermedie, non basta per qualificare il rapporto come subordinato. A nulla, peraltro, rilevando che il trasporto fosse stato eseguito per conto della ditta, che le direttive in ordine ai luoghi di carico e scarico, i tempi di consegna e le destinazioni fossero impartite dall’imprenditore, proprietario del veicolo senza che la lavoratrice assumesse il rischio di impresa.
Ciò in quanto “la sporadicità dell’attività prestata e l’affidamento – seguendo indicazioni di massima e con possibilità del lavoratore di accettarli o meno – di compiti saltuariamente svolti, sono idonei ad escludere la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, denotando tali aspetti la mancanza di eterodirezione e dell’inserimento stabile e costante del lavoratore nella compagine organizzativa” (fra le tante, Cass. n. 25204/2013; Cass. n. 58/2009).