Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 marzo 2020, n. 7473

Svolgimento di mansioni superiori, Esatta interpretazione
delle norme di contrattazione collettiva, Denuncia di violazione o di falsa
applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, Sindacato in sede
di legittimità, lnterpretazione delle clausole in base alle norme codicistiche
di ermeneutica negoziale ex art. 1362 c.c. e
seguenti, Criterio interpretativo diretto e non canone esterno di commisurazione
dell’esattezza e della congruità della motivazione

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 2.10.2014, la Corte d’appello di
Napoli rigettava il gravame proposto da A.A. avverso la decisione del Tribunale
di Napoli che aveva respinto la domanda del predetto diretta ad ottenere il
riconoscimento del diritto alla qualifica di programmatore, par. 205,
coordinatore d’ufficio, o 183, specialista tecnico amministrativo, ed
all’inquadramento nel terzo livello, ovvero nella seconda categoria (superiore
rispetto alla qualifica di operatore CED parametro 155 ed inquadramento nella
5° categoria);

2. la Corte rilevava che l’A. aveva evidenziato come
dall’1.11 al 31.12.1999 era stato utilizzato nelle diverse e superiori mansioni
di programmatore junior di 4° livello in forza di disposizione di servizio;
che, in realtà, a far tempo dal settembre 1999, era stato impegnato in compiti
appartenenti al livello ancora superiore, 3° livello, svolgendo in via
continuativa mansioni di programmatore in piena autonomia, senza sostituire
alcun dipendente assente con diritto alla conservazione del posto;

3. la Corte osservava che il lavoratore non aveva
descritto in modo analitico le iniziali mansioni svolte in relazione al livello
attribuitogli in sede di assunzione, essendosi limitato ad una elencazione dei
compiti relativi alle mansioni di appartenenza e che analogamente, in relazione
alle superiori mansioni di programmatore junior, difettavano gli elementi
descrittivi necessari anche ad evidenziare l’assunto secondo cui le mansioni
non erano riconducibili al detto profilo, quanto piuttosto a quello ancora
superiore di programmatore di 3° livello. Riteneva che ciò si traduceva
nell’impossibilità di realizzare il confronto tra le mansioni concretamente
svolte e quelle relative al livello rivendicato, rendendo impossibile
intraprendere la valutazione articolata sul procedimento trifasico. Affermava,
poi, che, dovendo aversi riguardo, nello specifico settore, a quanto previsto
dall’art. 18 del R.D. 148/1931 All. A,
difettavano anche le condizioni ivi previste, atteso che la richiamata nota del
28.10.1999, attributiva delle mansioni di programmatore junior, si riferiva a
periodo di poco più di un mese (dall’1.11 al 31.12.1999) e che la stessa
atteneva a compiti diversi da quelli propri dal livello e profilo professionale
giudizialmente rivendicati in via principale;

4. non poteva, secondo la Corte, rilevare che lo
svolgimento delle superiori mansioni era descritto come protrattosi oltre la
scadenza del 31.12.1999, mancando la possibilità di raggiungere la prova della
qualità e spessore dei compiti espletati. Da ultimo, non risultava offerto
alcun elemento da cui trarre la dimostrazione che il posto su cui aveva operato
l’A. si sostanziasse in una situazione di fatto di mancata copertura dello
stesso da parte del titolare, eventualmente perdurante per significativi
periodi di tempo, senza peraltro alcuna allegazione di un organigramma
aziendale idoneo a dimostrare la vacanza del posto;

5. non potendo trovare accoglimento la domanda
principale, neanche la richiesta avanzata in via subordinata poteva avere
differente sorte, essendo omessa ogni domanda diretta specificamente ad
ottenere l’inquadramento nella qualifica di programmatore junior, posto che la domanda
aveva ad oggetto solo l’inquadramento nel livello superiore di programmatore,
come dimostrato anche dal tenore del processo verbale di mancata conciliazione
del 25.9.2005, da cui risultava che l’A. aveva rifiutato l’offerta
dell’inquadramento cui si riferiva la sua domanda subordinata. La Corte
evidenziava, infine, la mancanza di ogni prova della natura dei compiti
espletati dopo il 31.12.1999;

6. di tale decisione ha domandato la cassazione
l’A., affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati in memoria,
resistiti dall’Ente Volturno.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, si denunzia violazione o
falsa applicazione della I. 279/1989, dell’art.
2 dell’ipotesi di accordo di rinnovo del c.c.n.l. autoferrotranvieri del
27.11.00, assumendosi, con riferimento all’elencazione dei profili
professionali descritti dalle indicate fonti normative, che la Corte d’appello
non avrebbe effettuato un puntuale controllo degli elementi emersi dalle
premesse in fatto del ricorso introduttivo e dei precedenti gradi di giudizio,
nonchè delle prove per tabulas. Nel motivo si procede ad una descrizione delle
aree professionali di cui all’ipotesi di accordo di rinnovo del c.c.n.l.
Autoferrotranvieri sottoscritto il 27.11.00 per il periodo 2000-2003,
indicandosi i corrispondenti profili professionali ed i parametri di
riferimento, adducendosi la mancata effettuazione del procedimento logico
giuridico diretto alla determinazione del livello corrispondente alle mansioni
espletate;

1.2. si richiama, poi, in particolare, l’ordine di
servizio n. 8405 del 28.11.1999, che avrebbe dovuto dimostrare la validità
dell’assunto dell’istante quanto alla sussistenza di un ordine scritto;

2. con il secondo motivo, è dedotta violazione o
falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c.,
rilevandosi come la Corte territoriale erroneamente abbia disatteso l’istanza
di escutere i testi indicati, ritenendo irrilevanti i capi di prova articolati;

3. con il terzo motivo, si ascrive alla decisione
impugnata il difetto di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, osservandosi
che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che mancassero i requisiti
prescritti dall’art. 18 R.D. 148/1931, quando,
invece, gli stessi sussistevano ed erano dimostrabili anche con la prova per
testi;

4. il quarto motivo si incentra sulla deduzione di
violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c.,
dell’art. 18 di cui all’allegato
al R.D. 148/1931, sul rilievo che, in primo luogo, anche in ipotesi di
coesistenza di mansioni proprie del livello di appartenenza con quelle proprie
del livello rivendicato, il giudice del merito avrebbe dovuto attenersi al
criterio della prevalenza e sulla base dell’ulteriore assunto che, anche in
mancanza dell’ordine scritto, il ricorrente avrebbe avuto comunque diritto a
percepire le differenze retributive corrispondenti; si assume che la vacanza
del posto avrebbe potuto anche desumersi dalla prolungata adibizione allo
svolgimento delle diverse mansioni, indipendentemente dalla previsione
dell’ordine scritto e dalla indicazione della durata dell’assegnazione
contenuta in tale ordine;

5. quanto al primo motivo, va rilevata la mancata
trascrizione del contenuto dell’ordine di servizio richiamato, del quale non si
indica neanche la sede di rinvenimento nella produzione dei precedenti gradi di
giudizio, in dispregio del principio di specificità, secondo il quale il
ricorso deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le
ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a
permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità
di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad
elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito, (cfr. Cass. n.
27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);

5.1. il motivo è, poi, eccentrico rispetto alla
motivazione della Corte, che ha rilevato la mancanza di ogni descrizione dei
compiti specificamente svolti dal lavoratore anche dopo il 31.12.1999,
evidenziando l’inammissibilità di capitoli di prova articolati su circostanze estremamente
lacunose. Peraltro, l’ordine di servizio richiamato riguardava esclusivamente
l’attribuzione di mansioni di programmatore junior di 4° livello, rispetto al
quale la Corte ha evidenziato l’assenza di ogni rivendicazione quanto
all’inquadramento nel relativo profilo, essendo la pretesa volta ad ottenere il
3° livello e l’altra espressamente rinunziata in sede di conciliazione;

5.2. la censura rileva, poi, la violazione del
c.c.n.l. e degli accordi richiamati, laddove altro è il tenore delle argomentazioni
che sostengono il decisum, non ponendosi alcuna questione in ordine all’esatta
interpretazione delle norme contrattualcollettive; erroneo è anche il
riferimento contenuto nel motivo all’applicabilità dei criteri ermeneutici in
sede di interpretazione delle norme collettive, posto che la denuncia di
violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di
lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3
cod. proc. civ., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n.40,
è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché,
anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro
clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio
interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione
dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena
di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme
asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da
parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una
loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (cfr.
Cass. 6335 del 19.3.2014, Cass. 18946/2014, Cass.
21888/2016, Cass. 17244/2015);

6. anche la censura espressa nel secondo motivo è
priva di giuridico fondamento, avendo la Corte rilevato l’inammissibilità della
prova in quanto articolata su circostanze del tutto generiche, che non
avrebbero potuto condurre all’accertamento del diritto rivendicato; peraltro,
la norma richiamata attiene al modo di deduzione della prova per testi, che non
rileva ai fini indicati nella doglianza;

7. il terzo motivo palesa una mera contrapposizione
di una diversa ricostruzione degli elementi di fatto emersi dall’istruttoria e
la censura è inconferente rispetto alla rilevata genericità della descrizione
delle mansioni ed alla evidenziata mancanza degli ulteriori elementi di fatto e
di diritto idonei ad integrare le condizioni di operatività dell’art. 18 r. d. 148/91, posto a
fondamento della pretesa di riconoscimento del diritto al superiore
inquadramento;

8. infine, anche le censure avanzate nel quarto
motivo sono infondate, sia perché il richiamo all’art.
2103 c.c. è erroneo a fronte della ritenuta applicazione dell’art. 18 R.D., sia perché la
motivazione della Corte ha evidenziato come non fosse stata allegata
idoneamente l’attività svolta, il che si pone come ostativo rispetto ad ogni
altra valutazione circa la sussistenza dei requisiti di cui al cit. art. 18, anche in termini di mancanza
dell’organigramma e di indicazione della durata della assegnazione;

8.1. pur non ignorandosi l’orientamento di
legittimità secondo il quale “nel rapporto di lavoro degli
autoferrotranvieri, in tema di svolgimento di mansioni superiori, pur non
applicandosi l’art. 2103 c.c. sulla cd. promozione
automatica, ma vigendo ancora l’art.
18 dell’allegato A del r.d. n. 148 del 1931, la pluriennale copertura del
posto da parte del lavoratore con qualifica inferiore costituisce elemento
presuntivo della relativa vacanza, dell’assenza di una riserva datoriale di
provvedervi mediante concorso e dell’idoneità del dipendente all’esercizio
delle mansioni superiori, sicché, in linea con l’attenuazione della specialità
del rapporto di lavoro in questione in graduale avvicinamento alla disciplina
del rapporto di lavoro privato, al lavoratore può essere riconosciuto il
diritto all’inquadramento superiore” (in tali termini si esprime Cass.
12601 del 17/06/2016), sono insuperabili le considerazioni svolte circa
l’impossibilità di compiere anche il procedimento trifasico, per la mancanza di
ogni descrizione analitica delle mansioni svolte;

8.2. quanto alla ritenuta erroneità dell’esclusione
delle differenze retributive, neanche si indica in che termini analoga
questione fosse stata sottoposta al giudice del gravame, ed, in ogni caso, è
dirimente quanto osservato dalla Corte territoriale sulla mancata precisa
allegazione delle diverse mansioni che si assumono svolte, anche a prescindere
dall’indicazione degli ulteriori presupposti necessari per il riconoscimento
del diverso inquadramento ai sensi dell’art. 18 r.d. 148/1931 All. A;

9. il ricorso va, pertanto, complessivamente
respinto;

10. le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in
dispositivo;

11. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002;

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 marzo 2020, n. 7473
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