Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2020, n. 7482
Violazione della normativa comunitaria in tema di aiuti di
Stato, Cartella esattoriale recanti somme oggetto di recupero, Art. 1, commi da 351 a 356, della L. n. 228 del 24
dicembre 2012
Fatti di causa
Si controverte del diritto dell’Inps al recupero
degli sgravi contributivi previsti dalle leggi n.
30/1997 e n. 206/1995 in favore delle
imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia nel periodo marzo 1995 –
novembre del 1997 a seguito della Decisione della Commissione Europea del
25.11.1999 che aveva ritenuto che tali sgravi erano stati usufruiti in
violazione della normativa comunitaria in tema di aiuti di Stato.
La Corte d’appello di Venezia (sentenza del
18.2.2014), decidendo sull’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza del
giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede – che aveva accolto
l’opposizione proposta dalla società Hotel M. s.r.l. alla cartella esattoriale
contenente l’intimazione di pagamento delle somme oggetto di recupero da parte
dell’istituto di previdenza – ha dichiarato l’estinzione del processo ai sensi
della sopraggiunta norma di cui al comma 356 dell’art. 1 della legge
n. 228 del 2012.
Al riguardo la Corte territoriale ha ritenuto
infondata la questione di costituzionalità sollevata in giudizio in relazione a
tale disposizione normativa, aggiungendo che, in ogni caso, non sussisteva un
interesse della parte appellata a proporla, in quanto avrebbe potuto
eventualmente prospettarla nel nuovo giudizio previsto dalla stessa legge ove
fosse stata posta di nuovo in discussione nel merito la pretesa dell’ente
previdenziale.
Per la cassazione della sentenza ricorre la società
Hotel M. s.r.l. con quattro motivi, illustrati da memoria. L’Inps resiste con
controricorso.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa
applicazione dell’art. 117, co. 1, Cost., dell’art. 6 della Convenzione Europea dei
diritti dell’uomo e dell’art. 1
del Protocollo addizionale n. 1 CEDU (art. 360,
co. 1, n. 3 c.p.c.), la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza
nella parte in cui, nel decidere sulla base del disposto dell’art. 1 della legge 228/2012, commi
351 – 356, ha dichiarato
l’estinzione del giudizio.
Sostiene la difesa della società che dalla lettura
dei commi da 351 a 356 dell’art. 1 della legge n. 228
del 2012 appare evidente che la finalità della normativa in esame è quella
di estinguere il contenzioso, come quello di cui trattasi, attraverso la
rimessione in termini dello Stato in modo da consentirgli di riattivare le
procedure di recupero delle somme oggetto di sgravio contributivo considerate
come aiuti di Stato, ma ciò determinerebbe, secondo la ricorrente, un’ingerenza
nei processi in corso ad esclusivo vantaggio della parte pubblica in violazione
dell’art. 117 Cost., dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 1 del Protocollo addizionale.
Ciò discenderebbe dal fatto che si prevede una procedura finalizzata alle
verifiche delle condizioni indicate dalla Commissione che rispetta solo
formalmente e in apparenza il requisito di una corretta istruttoria, ma che
finisce per compromettere, in realtà, i principi di separazione dei poteri e di
tutela del diritto di difesa. Di conseguenza, anche la sentenza della Corte
d’appello, che ha fatto concreta applicazione dell’art. 1, commi 351-356, della legge n. 228/2012, è
da considerarsi emessa, secondo tale prospettazione difensiva, in violazione
degli artt. 117 Cost., 6 CEDU ed 1 del Protocollo addizionale n. 1 CEDU,
ragion per la quale la ricorrente richiede che la questione sia sottoposta al
vaglio della Corte Costituzionale.
2. Col secondo motivo, dedotto per violazione e
falsa applicazione dell’art. 3 della Costituzione
in combinato disposto con gli artt. 24, 101 e 111 Cost.,
oltre che per violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza, certezza
del diritto e legittimo affidamento, si assume che la fattispecie introdotta
con l’art. 1, commi 355 e 356, della legge n.
228 del 2012 crea una nuova e particolare figura di estinzione del giudizio
diversa da quella che potrebbe fondare una pronuncia di cessazione della
materia del contendere, tanto che a differenza delle pronunce di estinzione
operate in grado di appello, che hanno come effetto quello di determinare il
passaggio in giudicato della sentenza emessa in primo grado, la conseguenza del
tipo di pronuncia ora in esame è al contrario la perdita di efficacia del
provvedimento stesso. Si aggiunge che non vi sarebbe alla base della
dichiarazione di estinzione del giudizio una effettiva soddisfazione della
pretesa del ricorrente tale da determinare il venir meno delle ragioni di
contrasto tra le parti, in quanto l’estinzione di cui trattasi sarebbe imposta
dal legislatore a prescindere da ogni considerazione, con la conseguente
ingerenza del medesimo sull’operato del giudice e con la previsione di una
nuova ipotesi di estinzione del giudizio di portata retroattiva che recherebbe
una ingiustificata situazione di privilegio per lo Stato, privando il
resistente della possibilità di articolare una qualsiasi difesa.
3. Col terzo motivo, formulato per violazione degli artt. 3, 24, 25, 101, 111 e 113 Cost.,
la società ricorrente evidenzia che dalla lettura della norma di cui all’art. 1, commi 351 – 356, della legge n. 228/2012
non emerge una qualche ratio satisfattiva che giustifichi una pronuncia di
estinzione del giudizio, mentre è perdurante il suo interesse a veder accolte
le proprie originarie domande. Invero, secondo la presente tesi difensiva, la
suddetta procedura di recupero finisce per addossare alle imprese l’onere di
una prova negativa difficilmente integrabile nei termini in cui è configurata,
posto che dalla mancata produzione di una documentazione contabile risalente ad
oltre vent’anni addietro, per la quale non vi era più obbligo di conservazione,
si fa discendere una presunzione di illegittimità degli aiuti di Stato atta a
giustificare il loro immediato recupero. Invece, è da ritenersi corollario di
un “giusto processo civile” il fatto che questo arrivi ad una
pronuncia di merito, cosa, questa, che l’art. 1, commi 351 – 356, della legge n. 228/2012
nega. Quindi, la ricorrente contesta l’affermazione della Corte di merito
secondo cui il citato intervento normativo, nel disporre la nullità delle
cartelle opposte, realizzerebbe una sostanziale coincidenza con quanto da essa
richiesto in primo grado, con conseguente insussistenza della doglianza per la
prevista estinzione del contenzioso nel presente procedimento. Al contrario,
secondo l’odierna società, le pretese fatte valere con l’opposizione alla
cartella esattoriale sono state tutt’altro che soddisfatte, essendo stato
frustrato il diritto ad ottenere una decisione definitoria nel merito delle
stesse ragioni.
4. Col quarto motivo si denunzia l’omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.) in quanto si assume che la
Corte d’appello di Venezia non ha considerato la parte della decisione in cui
il primo giudice aveva rilevato l’illegittimità della cartella opposta anche
sotto il profilo del mancato superamento della soglia del de minimis, la qual
cosa, se esaminata ed accertata anche in appello, non poteva condurre
all’estinzione del giudizio.
5. Osserva la Corte che per ragioni di connessione,
riconducibili alla unitarietà della lamentata questione dell’estinzione del
giudizio, i suddetti motivi possono essere trattati congiuntamente.
A tal riguardo è bene ricordare che con la citata
Decisione della Commissione Europea del 25 novembre 1999 (2000/394/CE) si era
stabilito che i suddetti aiuti erano incompatibili con il mercato comune quando
erano accordati ad imprese che non erano piccole e medie imprese e che erano
localizzate al di fuori delle zone ammissibili alla deroga prevista
dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del trattato, per cui si era
statuito (art. 2) che – salvo il disposto degli articoli 3 e 4 della stessa
decisione (aiuti in favore delle imprese ASPIV e Consorzio Venezia Nuova e
misure in favore delle imprese ACTV, P. SpA e AMAV) – gli aiuti cui l’Italia
aveva dato esecuzione in favore delle imprese nei territori di Venezia e
Chioggia, sotto forma di sgravi degli oneri sociali, di cui all’articolo 1 del
decreto ministeriale del 5 agosto 1994, erano incompatibili con il mercato
comune.
6. All’art. 5 della stessa Decisione n. 2000/394/CE
si era poi stabilito che l’Italia avrebbe adottato tutti i provvedimenti
necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti incompatibili con il
mercato comune di cui all’articolo 1, paragrafo 2 e all’articolo 2 e già
illegalmente posti a loro disposizione e che detto recupero sarebbe stato
effettuato secondo le procedure di diritto nazionale.
7. È, quindi, intervenuto il nostro legislatore che
ha dato attuazione a tale decisione attraverso il summenzionato art. 1, commi 351 – 356, della legge n. 228 del 24
dicembre 2012.
In particolare, il comma 351 prevede che
“Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, l’Istituto nazionale della previdenza sociale richiede alle imprese
beneficiarie degli aiuti concessi sotto forma di sgravio, nel triennio
1995-1997, in favore delle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia
di cui alla decisione n. 2000/394/CE della Commissione, del 25 novembre 1999,
gli elementi corredati della idonea documentazione, necessari per
l’identificazione dell’aiuto di Stato illegale, anche con riferimento alla
idoneità dell’agevolazione concessa, in ciascun caso individuale, a falsare la
concorrenza e incidere sugli scambi intracomunitari.
Il comma 355 sancisce, inoltre, che “I titoli
amministrativi afferenti il recupero degli aiuti di cui al comma 351 emessi dall’Istituto
nazionale della previdenza sociale, oggetto di contestazione giudiziale alla
data di entrata in vigore della presente legge, sono nulli. Gli importi versati
in esecuzione di tali titoli possono essere ritenuti dall’Istituto nazionale
della previdenza sociale e imputati ai pagamenti dovuti per effetto dei
provvedimenti di cui al comma
354.”
Infine, il comma 356 stabilisce che
“I processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge e
aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di cui al comma 351 si estinguono di
diritto. L’estinzione è dichiarata con decreto, anche d’ufficio. Le sentenze
eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano
prive di effetti.”
8. Trattasi, all’evidenza, di disposizioni di natura
procedimentale destinate a porre termine ad un contenzioso che aveva riguardato
le imprese beneficiarie degli aiuti concessi sotto forma di sgravio, nel
triennio 1995-1997, operanti nei territori di Venezia e Chioggia a seguito
della decisione n. 2000/394/CE della Commissione Europea del 25 novembre 1999.
Inoltre, la fase propedeutica dell’accertamento della sussistenza o meno dei
presupposti per il recupero degli aiuti di Stato e quella attuativa
dell’eventuale recupero sono minutamente disciplinate dai commi 352, 353 e 354 dell’art. 1
della legge n. 228/12.
9. In ultima analisi difetta un interesse attuale
della ricorrente all’impugnazione della sentenza dichiarativa dell’estinzione
del processo, in quanto tale esito della lite è stato previsto da una
disposizione normativa di natura procedimentale che non è lesiva di alcun
diritto e che, tra l’altro, ha espressamente sancito la nullità dei titoli
amministrativi afferenti il recupero degli aiuti di cui al comma 351 emessi dall’Istituto
nazionale della previdenza sociale, oggetto di contestazione giudiziale alla
data di entrata in vigore della presente legge.
10. Invero, l’effetto della predetta disciplina è
stato quello di azzerare le posizioni delle parti coinvolte nei suddetti
giudizi, fatte salve quelle coperte da giudicato, affidandosi all’ente
previdenziale l’attività di recupero nel rispetto delle nuove regole e
consentendosi ai datori di lavoro l’impugnazione dei nuovi atti di recupero, ove
posti in essere.
11. Né possono porsi dubbi di legittimità
costituzionale o di non conformità alle norme UE e CEDU, dubbi che avrebbero
qui concreta rilevanza solo nel caso in cui si risolvessero in un danno per
alcuna delle parti, costringendola a nuove iniziative processuali per la
realizzazione dei suoi diritti soggettivi, mentre è la stessa legge applicata
nella fattispecie dalla Corte d’appello a sancire la nullità dei titoli posti a
base del recupero, onerando l’Istituto nazionale della previdenza sociale (comma 354) di notificare alle
imprese provvedimento motivato contenente l’avviso di addebito di cui all’articolo 30 del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, qualora
dall’attività istruttoria di cui ai commi 351, 352 e 353, anche a
seguito del parere acquisito dall’Autorità garante della concorrenza e del
mercato ai sensi dell’articolo
22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, sia emersa o sia presunta
l’idoneità dell’agevolazione a falsare o a minacciare la concorrenza e incidere
sugli scambi comunitari. In tal caso resta ovviamente impregiudicato il diritto
della parte contribuente a far valere le proprie ragioni nel giudizio
scaturente dall’azione di recupero intentata dell’ente di previdenza.
12. In effetti, la contestata normativa sopravvenuta
non ha fatto altro che dare attuazione all’obbligo comunitario ed è esente da
profili di irragionevolezza e non viola in alcun modo i principi di
eguaglianza, di separazione del potere legislativo da quello giudiziario e del
diritto di difesa all’interno di un giusto processo. In definitiva, a seguito
della dichiarazione di estinzione del processo la cartella esattoriale
originariamente opposta dalla società ricorrente è rimasta priva di effetti nei
suoi confronti, con sostanziale coincidenza con quanto dalla medesima richiesto
in primo grado, la qual cosa rende evidente, come già detto, la carenza di un
suo interesse all’impugnazione, per cui va dichiarata la inammissibilità del
presente ricorso.
13. Le spese del presente giudizio, liquidate come
da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente. Ricorrono, altresì, i
presupposti per il pagamento, da parte della medesima ricorrente, del
contributo unificato ai sensi dell’art.
13 del d.p.r. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la
ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 3700,00, di cui € 3500,00
per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13, se dovuto.