Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 marzo 2020, n. 7485
Cartella esattoriale recante somme per contributi dovuti alla
Gestione separata Inps, Attività di lavoro autonomo successivamente al
pensionamento, Enti privati gestori di forme di previdenza obbligatorie,
Obbligo di iscrizione alla Gestione separata, Soggetti che esercitano per
professione abituale attività di lavoro autonomo, non soggetto a versamento
contributivo agli Enti previdenziali di riferimento
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 17.4.2014, la Corte
d’appello di Bologna ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva
accolto l’opposizione proposta da A.R. avverso la cartella esattoriale con cui
gli era stato ingiunto il pagamento di somme per contributi dovuti alla Gestione
separata.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che,
trattandosi di soggetto che aveva svolto attività di lavoro autonomo
successivamente al pensionamento, dovesse trovare applicazione l’esclusione
dall’iscrizione alla Gestione separata prevista dall’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011
(conv. con I. n. 111/2011), che, nel recare
l’interpretazione autentica dell’art.
2, comma 26, I. n. 335/1995, aveva esonerato dall’iscrizione i soggetti di
cui al precedente comma 11, vale a dire coloro che svolgono attività di lavoro
autonomo dopo essere stati collocati in pensione da taluno degli enti privati
gestori di forme di previdenza obbligatorie. Contro tali statuizioni ha ricorso
per cassazione l’INPS, proponendo un unico motivo di censura. A.R. ha resistito
con controricorso.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 11-12, d.l. n.
98/2011 (conv. con I. n. 111/2011), per
avere la Corte di merito ritenuto che l’odierno controricorrente, pur avendo
continuato a svolgere, successivamente al pensionamento di vecchiaia, attività
di lavoro autonomo di perito industriale, per la quale aveva versato all’ente
privato che gestisce la previdenza obbligatoria in favore dei periti
industriali soltanto il contributo integrativo, non fosse tenuto a iscriversi
presso la Gestione separata presso l’INPS.
Il motivo è fondato.
Com’è noto, l’art. 18, d.l. n. 98/2011 (conv.
con I. n. 111/2011), nel prevedere, al comma 12, che l’articolo 2, comma
26, I. n. 335/1995, si interpretasse nel senso che «i soggetti che
esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro
autonomo tenuti all’iscrizione presso l’apposita gestione separata INPS sono
esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia
subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non
soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11», ossia agli
enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti
legislativi nn. 509/1994 e 103/1996, ha
testualmente esteso l’esclusione dall’obbligo di iscrizione alla Gestione
separata ai «soggetti di cui al comma 11», cioè ai soggetti «già pensionati» in
riferimento ai quali il predetto comma 11 ha a sua volta previsto che «gli enti
previdenziali di diritto privato» di cui ai citati decreti
legislativi nn. 509/1994 e 103/1996, «entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto» dovessero
adeguare «i propri statuti e regolamenti, prevedendo l’obbligatorietà
dell’iscrizione e della contribuzione a carico di tutti coloro che risultino
aver percepito un reddito, derivante dallo svolgimento della relativa attività
professionale» e istituendo a loro carico «un contributo soggettivo minimo con
aliquota non inferiore al cinquanta per cento di quella prevista in via
ordinaria per gli iscritti a ciascun ente».
Ciò posto, reputa il Collegio che i principi di
diritto elaborati da questa Corte nell’interpretazione della disposizione di
cui all’anzidetto comma 12
dell’art. 18, d.l. n. 98/2011, cit. (cfr. Cass. nn. 30344 del 2017, 32166,
32167 e 32508 del 2018) debbano governare anche la soluzione della presente
fattispecie, la cui peculiarità è rappresentata dal fatto che l’attività di
lavoro autonomo richiedente l’iscrizione all’albo (nella specie, dei periti
industriali) è stata posta in essere da un soggetto già pensionato.
Va anzitutto rilevato come non possa condividersi
l’assunto della sentenza impugnata secondo cui la previsione per il futuro
dell’obbligo di assoggettamento a contribuzione dei redditi percepiti dai
lavoratori autonomi già pensionati escluderebbe, in via d’interpretazione, la
possibilità di iscrizione alla Gestione separata «in tutti i casi in cui il
pensionato sia libero professionista iscritto ad albo professionale» (così la
sentenza impugnata, pag. 6): al contrario, il fatto che il legislatore, nel
dettare al successivo comma 12 la norma d’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 26, I. n. 335/1995,
abbia ritenuto di menzionare espressamente, al fine di escluderli dall’obbligo
di iscrizione, «i soggetti di cui al comma 11», ossia appunto i pensionati che
versino il contributo soggettivo agli enti privati gestori delle forme di
previdenza obbligatorie, conferma semmai che anche per costoro un obbligo di
iscrizione esisteva già prima dell’introduzione dell’art. 18, comma 11, d.l. n. 98/2011,
cit., e che solo l’adeguamento degli statuti degli enti privati al complessivo
disposto del comma 11 (vale a dire alla previsione di «obbligatorietà
dell’iscrizione e della contribuzione a carico di tutti coloro che risultino
aver percepito un reddito, derivante dallo svolgimento della relativa attività
professionale») può comportarne l’esonero dall’iscrizione alla Gestione
separata.
Detto altrimenti, il fatto che il legislatore, nel
dettare la norma d’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 26, I. n. 335/1995,
abbia escluso dall’obbligo di iscrizione alla Gestione separata i pensionati
che svolgano attività lavorativa libero-professionale per la quale è prevista
l’iscrizione ad un albo e che versino all’ente previdenziale di categoria il
contributo soggettivo, significa a contrario che costoro, qualora non fossero
stati (come nella specie) tenuti a versare il contributo soggettivo all’ente
esponenziale di categoria, dovevano iscriversi alla Gestione separata:
diversamente, non ci sarebbe stato motivo di menzionare «i soggetti di cui al
comma 11» nell’ambito della norma d’interpretazione autentica contenuta nel
successivo comma 12, giacché il presupposto per l’iscrizione alla Gestione
separata da parte di soggetti che svolgano attività liberoprofessionale per la
quale è previsto l’obbligo di iscrizione ad appositi albi è costituito
precisamente dal fatto che costoro non siano tenuti a versare all’ente
previdenziale di categoria un contributo che dia luogo alla costituzione di una
posizione previdenziale (così già Cass. n. 30344 del 2017, cit.).
Per il resto, non può il Collegio che richiamarsi
alle argomentazioni già più volte esposte da questa Corte nelle pronunce dianzi
ricordate a proposito della corretta interpretazione della norma di cui all’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011,
cit., e ribadire che la vocazione universalistica affidata alla Gestione
separata dall’art. 2, comma 26,
I. n. 335/1995, va compresa sia nei suoi profili soggettivi, per essere
rivolta a tutti i lavoratori autonomi che siano privi di altra tutela
previdenziale, sia soprattutto nei suoi profili oggettivi, per essere riferita
a tutti i redditi non assoggettati altrimenti ad alcuna contribuzione
previdenziale: sta qui la ragione di fondo che rende non condivisibile
l’assunto (perorato anche nell’odierno controricorso) secondo cui non potrebbe
essere soggetto all’iscrizione nella Gestione separata quel professionista che,
sulla base di una qualche eccezione prevista dalla regolamentazione della cassa
di previdenza di categoria, non sia tenuto all’iscrizione presso di essa (così
specialmente Cass. nn. 32166, 32167 e 32508 del
2018, cit.).
Detto altrimenti, la relazione tra le casse
professionali e la Gestione separata non può essere costruita come una
relazione di alternatività, cioè postulando che i commi 25 e 26 dell’art. 2, I. n.
335/1995, abbiano fissato in abstracto un rigido riparto di competenze, ma
piuttosto come una relazione di complementarità, tale per cui se una cassa
professionale di categoria, nell’esercizio della sua potestà di
autoregolamentazione, decide di escludere taluni professionisti dal versamento
di contributi utili a costituire una posizione previdenziale, tale esclusione
sarà sufficiente a riespandere la vocazione universalistica della Gestione separata
(sempre che ci si trovi in presenza di attività libero-professionali svolte in
modo abituale, ancorché non esclusivo, oppure di attività che, se svolte in
forma occasionale, diano luogo ad un reddito pari o superiore a 5.000 euro, per
come indicato nell’art. 44, comma
2, d.l. n. 269/2003, conv. con I. n. 326/2003).
E’ piuttosto il caso di aggiungere che a diverse
conclusioni non può giungersi nemmeno considerando la peculiare situazione dei
liberi professionisti che abbiano (come nella specie) già conseguito la
pensione, che potrebbero trovarsi a pagare una contribuzione senza riceverne
alcun beneficio in termini pensionistici: com’è stato più volte chiarito da
questa Corte, non esiste alcun rapporto di corrispettività tra l’obbligo del
versamento contributivo e la prestazione previdenziale assicurata dalla
gestione che ne è destinataria né alcun principio generale di esonero dal
pagamento o di restituzione di contributi legittimamente versati per i quali
manchino o non possano più verificarsi i presupposti per la maturazione del
diritto ad una prestazione previdenziale (v. tra le tante Cass. n. 29910 del 2011).
Pertanto, non essendosi la Corte territoriale
uniformata al consolidato principio di diritto secondo cui l’iscrizione alla
Gestione separata deve considerarsi obbligatoria per i soggetti che esercitano
per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo di
cui all’art. 49 (ora 53), comma 1, TUIR, l’esercizio
della quale, se subordinato all’iscrizione ad un albo, non sia soggetto ad un
versamento contributivo agli enti previdenziali di riferimento che sia
suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata
posizione previdenziale, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata
per nuovo esame alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.