Nota a AdE Risposta 6 febbraio 2020, n. 26; Risposta 13 febbraio 2020, n. 59; Principio di diritto 14 febbraio 2020, n. 4
Marialuisa De Vita
L’Agenzia delle Entrate è tornata nuovamente ad occuparsi del regime speciale previsto per i lavoratori impatriati dall’art. 16 del D.LGS. 14 settembre 2015, n. 147, con diversi documenti succedutisi a breve distanza tra loro. Vengono, in particolare, in rilievo la risposta n. 26 del 6 febbraio 2020, la risposta n. 59 del 13 febbraio 2020 e il principio di diritto del 14 febbraio 2020.
Prima di analizzarli singolarmente, si rende opportuna una breve ricognizione del regime di favore de quo, il quale è stato oggetto di recenti modifiche normative, operate dapprima con il D.L. n. 34 del 2019 (cfr., in questo sito, M. DE VITA, F. PALLADINO, S. QUARANTA, Le novità fiscali del Decreto Crescita) e successivamente con il D.L. n. 124 del 2019 (cfr. in questo sito F. PALLADINO, M. DE VITA, S. QUARANTA, Le novità fiscali per il 2020: legge di Bilancio 2020 e Decreto Collegato).
In base ad esso, i redditi di lavoro autonomo, i redditi di lavoro dipendente e ora anche i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente prodotti in Italia da lavoratori (italiani o stranieri) che vi trasferiscono la residenza ai sensi dell’art. 2 del TUIR, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% (o al 10% in presenza di determinate condizioni), e non più al 50%, del loro ammontare. Il beneficio si applica per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia.
Dal punto di vista soggettivo, possono beneficiare dell’agevolazione in esame coloro che sono in possesso dei requisiti previsti, in via alternativa, dal co. 1 e dal co. 2 dell’art. 16 del D.LGS. n. 147/2015. In dettaglio, ai sensi dell’art. 16, co. 1, possono ora accedere al regime speciale i lavoratori che:
- non sono stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
- svolgono la propria attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Nessuna modifica, invece, è stata apportata ai requisiti soggettivi previsti dal co. 2 dell’art. 16 che, come noto, estende tale regime, anche ai cittadini UE e a quelli di Stati extra UE con i quali è in vigore una Convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale. Per loro continuano a essere validi i precedenti requisiti:
- essere in possesso di un titolo di laurea e aver svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, ovvero di lavoro autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- aver svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.
Ciò premesso, l’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 26/2020, ha ammesso al regime in esame anche i lavoratori già beneficiari del regime di favore previsto per i c.d. “contro-esodati” dalla L. n. 238 del 2010 (in vigore fino al periodo di imposta 2017, cfr. in questo sito M. DE VITA, Rimborso per i “contro-esodati”).
Nel caso di specie, una multinazionale, in qualità di sostituto di imposta, presentava istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate per sapere se il proprio dipendente, che aveva svolto attività lavorativa all’estero prima di rientrare in Italia nel 2010, potesse beneficiare, a decorrere dal 2016 e fino al periodo di imposta 2020, del regime agevolativo riservato agli impatriati, nonostante la fruizione fino al 2015 degli incentivi per i contro-esodati (detassazione del 30% del reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia). L’Amministrazione finanziaria, nell’argomentare la propria soluzione, ricorda che il co. 4 dell’art. 16 del D.LGS. 147/2015 prevede per i lavoratori, in possesso dei requisiti del regime dei “contro-esodati”, la possibilità di optare per il più favorevole regime previsto per gli impatriati, a condizione che il loro trasferimento in Italia sia avvenuto entro il 31 dicembre 2015. Posto che il legislatore non ha previsto alcun termine iniziale per il trasferimento della residenza in Italia, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che l’opzione possa essere esercitata anche dai lavoratori che, come nel caso di specie, si sono trasferiti in Italia anteriormente al 2015 e che hanno già beneficiato per i periodi di imposta precedenti del regime dei contro-esodati.
Pertanto, la multinazionale potrà operare, in qualità di sostituto di imposta, fino al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020, le ritenute d’acconto ai fini IRPEF sul 50% (percentuale imponibile ratione temporis) del reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia dal dipendente.
Con la risposta ad interpello n. 59/ 2020, invece, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito al nesso che deve intercorrere tra trasferimento della residenza fiscale in Italia e inizio dell’attività lavorativa e ai profili procedurali che il lavoratore deve osservare per poter fruire del beneficio fiscale.
Nel caso di specie, una lavoratrice italiana rappresentava all’Amministrazione finanziaria di:
– essersi trasferita all’estero a dicembre 2009;
– essersi ritrasferita in Italia a maggio 2017;
– aver stipulato ad aprile 2017 un pre-contratto di lavoro con una società francese per l’assunzione in Italia a decorrere da settembre 2017.
L’Agenzia delle Entrate, dopo aver chiarito che i benefici fiscali si applicano anche nell’ipotesi in cui il trasferimento della residenza fiscale preceda l’inizio dell’attività lavorativa, purché vi sia un collegamento tra i due eventi (collegamento ravvisabile, nel caso di specie, nell’accordo pre-contrattuale), ha precisato che i lavoratori, che intendono fruire del regime di cui all’art. 16, D.LGS. 147/2015, devono presentare una richiesta scritta al proprio datore di lavoro, contenente, tra l’altro, l’indicazione delle proprie generalità, del codice fiscale, della data di rientro in Italia, della dichiarazione dei requisiti per il regime degli rimpatriati. In alternativa, possono fruire direttamente del beneficio nella dichiarazione dei redditi, indicando i redditi di lavoro dipendente nella misura ridotta (cfr. Circ. n. 17/2017). Posto che l’istante aveva dichiarato di non aver formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro né nel periodo d’imposta di rimpatrio (2017), né nel periodo di imposta successivo (2018), e dichiarava di non aver fatto riferimento alle agevolazioni nelle dichiarazioni dei redditi relative ai suddetti periodi di imposta, l’Agenzia ha precluso al lavoratore l’accesso al beneficio per il 2017 e il 2018, mentre lo ha ammesso per i restanti tre periodi di imposta del quinquennio agevolabile ovverosia per il 2019, 2020 e 2021.
Infine, con il principio di diritto n. 4/2020, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i requisiti posti dal co. 2 dell’art. 16 D.LGS. n. 147/2015 sono tra loro alternativi e non cumulabili sicché, come si evince dal tenore letterale della disposizione citata, ai fini del raggiungimento dei 24 mesi fuori dall’Italia “non è possibile cumulare il periodo di studio con quello di lavoro, essendo necessario che l’attività lavorativa ovvero quella di studio si siano protratte per almeno 24 mesi”. Inoltre, come aveva già chiarito con la Circ. n. 17/2017, l’Agenzia delle Entrate ribadisce che il requisito dello svolgimento negli ultimi 2 anni dell’attività di studio fuori dall’Italia può ritenersi soddisfatto a condizione che il contribuente consegua la laurea o altro titolo accademico post lauream della durata di almeno 2 anni.