L’accordo di riduzione del trattamento economico del lavoratore è nullo quando non è formalizzato in una sede protetta e le mansioni restano invariate.
Nota a App. Milano 15 gennaio 2020, n. 1974
Sonia Gioia
Il datore e il dipendente possono convenire una diminuzione del compenso rispetto a quello pattuito in deroga al principio della irriducibilità della retribuzione in caso di assegnazione a mansioni inferiori (art. 2103, co. 5, c.c.). Ciò, a condizione che vi sia un effettivo mutamento dell’attività svolta e che l’accordo sia stipulato nell’interesse del lavoratore (“alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”) presso una “sede protetta”, vale a dire davanti alle commissioni di certificazione o negli ambiti enunciati dall’art. 2113, co. 4, c.c.: giudice, sindacato, ITL, arbitrato o collegio di conciliazione (art. 2103, co. 6, c.c.).
Pertanto, un accordo di modificazione in pejus del trattamento economico, non accompagnato da una variazione della mansione e non effettuato nei limiti sostanziali e formali previsti dall’art. 2103 c.c., è nullo per violazione di norma imperativa (Cass. n. 11362/2008; Cass. n. 4055/2008).
Lo ha affermato la Corte d’Appello di Milano (15 gennaio 2020, n. 1974, difforme da Trib. Lecco n. 314/2018) che ha ritenuto illegittimo l’accordo di riduzione del trattamento economico di un dirigente, condannando la società al pagamento delle differenze retributive, in quanto stipulato al di fuori di una “sede assistita” (cioè, “nell’ambito di contesti in cui la volontà negoziale del lavoratore si presuma tutelata da illegittime pressioni” da parte dell’imprenditore) e in assenza di una modifica delle mansioni.
Successivamente all’accordo, che aveva fissato la remunerazione al di sotto dei minimi retributivi costituzionalmente previsti (art. 36 Cost.) e al Trattamento Minimo Garantito Complessivo definito dal ccnl applicato in azienda (art. 3, ccnl Dirigenti Industria), la società datrice aveva, in maniera unilaterale, ridotto ulteriormente il compenso, addebitando al prestatore i costi dell’autovettura concessa in uso (che “costituisce elemento indiretto della retribuzione”, la cui modifica in senso peggiorativo per il dipendente è soggetta alle “stringenti” regole di cui all’art. 2103 c.c.), non ottemperando neppure alla diffida ad adempiere agli obblighi retributivi inviata dal dirigente.
A fronte di tali irregolarità, il prestatore aveva rassegnato le dimissioni, dichiarate legittime dalla Corte (con condanna della società al pagamento dell’indennità di mancato preavviso), “non potendosi pretendere che il lavoratore continuasse a prestare la propria attività senza percepire la dovuta retribuzione”.