Non è configurabile un obbligo contributivo ed assicurativo di lavorati stranieri, dipendenti di imprese extracomunitarie, occupati in virtù di un contratto di appalto. E, in ogni caso, la regola della territorialità dell’obbligazione contributiva è applicabile solo se i lavoratori in questione prestino la loro attività lavorativa a favore del datore di lavoro italiano con stabilità ed esclusività, non essendo equivalente il mero dato della richiesta di autorizzazione ex art. 27, co.1, lett. I), D.LGS. n. 288/1998.
Nota a Cass. 21 febbraio 2020, n. 4625
Alfonso Tagliamonte
Non vi è obbligo di regolarizzazione contributiva in relazione all’attività svolta in Italia da dipendenti di datori di lavoro extracomunitari quando non sia applicabile il c.d. principio della territorialità dell’obbligo contributivo.
È quanto afferma la Corte di Cassazione 21 febbraio 2020, n. 4625 (conforme ad App. Perugia 12 giugno 2013; v. anche Cass. n. 14222/2012) relativa al caso di personale rumeno assunto con un contratto di appalto avente ad oggetto la fornitura, da parte di una società italiana, di costruzioni di legno realizzate in Romania ed assemblate in Italia.
Circa il suddetto principio della territorialità dell’obbligo contributivo, la Corte rileva che esso trae fondamento dal R.D.L. 4 ottobre1935, n. 1827, art. 37, il quale dispone che le assicurazioni per l’invalidità e per la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, salvo le esclusioni previste dallo stesso decreto, sono obbligatorie per le persone di ambo i sessi e di qualsiasi nazionalità che abbiano compiuto l’età di 15 anni e non abbiano superato quella di 65 anni e che prestino lavoro retribuito alle dipendenze di altri.
Tale principio è stato adottato anche dalla legislazione comunitaria (art. 13, co. 2, lett. A), Reg. CEE 14 giugno 1971, n. 1408), per il quale (salva la riserva delle disposizioni di cui agli artt. da 14 a 17) “il lavoratore occupato nel territorio di uno Stato membro è soggetto alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro”.
Il regolamento, tuttavia, non è applicabile qualora i lavoratori occupati per un determinato periodo in Italia siano cittadini di Stato extracomunitario (come erano all’epoca i cittadini rumeni). In tal caso, occorre verificare se l’obbligo contributivo è realmente previsto da un accordo internazionale, allo scopo di escludere l’ipotesi di una deroga al suddetto principio di territorialità a causa di una “qualche speciale condizione di reciprocità”.
Nella fattispecie, la società committente italiana aveva più volte richiesto le necessarie autorizzazioni per lo svolgimento di attività lavorativa in Italia senza versare i contributi relativi a nove lavoratori rumeni, mentre, rileva la Cassazione, per l’operatività della regola della territorialità dell’obbligazione contributiva, occorre “il presupposto fattuale che la pretesa contributiva poggi sulla affermazione da parte dell’ente previdenziale dell’effettivo svolgimento da parte dei lavoratori extra comunitari di attività lavorativa a favore del datore di lavoro italiano che ne riceve le prestazioni con carattere di stabilità e di esclusività, senza che, a tal fine, possa essere considerato equivalente il mero dato della richiesta di autorizzazione” (ai sensi dell’art. 27, co.1, lett. I), D.LGS. n. 286/1998).
Al criterio di territorialità (come disciplinato dalla legge italiana e dall’art. 12, Reg. UE n. 883/2004, come mod. dal Reg. UE n. 465/2012) può poi derogare la fattispecie del distacco che consente di applicare il regime previdenziale del Paese di provenienza per un determinato periodo “secondo quanto previsto dai singoli accordi laddove il datore di lavoro eserciti abitualmente le sue attività nello Stato distaccante o sussista uno stretto legame organico tra l’impresa distaccante ed il lavoratore distaccato”.