In caso di identità delle mansioni svolte nell’ambito di precedenti rapporti di lavoro a termine, il patto di prova previsto in un contratto a tempo indeterminato successivamente stipulato con lo stesso datore di lavoro è nullo.
Nota a Cass. 9 marzo 2020, n. 6633
Flavia Durval
Il patto di prova previsto in più contratti successivi per mansioni identiche, benché svolte in località diverse, è nullo, con conseguente illegittimità del recesso motivato unicamente con l’asserito mancato superamento della prova stessa.
È quanto afferma la Corte di Cassazione (9 marzo 2020, n. 6633, conforme ad App. Venezia n. 353/2014) in relazione al ricorso di una lavoratrice che, prima dell’ultimo contratto di lavoro relativo al territorio della provincia di Belluno, aveva stipulato con Poste Italiane altri contratti a termine, contenenti ciascuno un patto di prova; prova superata in tutti i pregressi rapporti di lavoro (l’ultimo dei quali con scadenza prevista per l’anno precedente a quello di stipula del contratto oggetto di ricorso) intrattenuti in provincia di Lecce e sempre nell’ambito del settore recapito.
La Corte rileva che “per ben tre volte la società appellata aveva verificato le qualità professionali e la personalità della lavoratrice nell’espletamento delle mansioni di portalettere, con esito positivo”.
I giudici, inoltre, respingono la tesi di Poste, ritenendo ingiustificato l’ulteriore patto: a) non riscontrando, sotto il profilo quantitativo, significative differenze nelle mansioni svolte; b) mancando un reciproco interesse delle parti al nuovo patto di prova; c) non rilevando il lasso di circa un anno tra l’ultimo contratto a termine e la stipula di quello successivo in questione; d) non potendo presumersi una perdita di professionalità della lavoratrice “durante questo non lungo intervallo temporale, a fronte di mansioni non soggette a rapida obsolescenza”; e) non essendosi verificati pretesi disagi e lamentele da parte dell’utenza (durante il servizio prestato in provincia di Lecce) che legittimassero un ulteriore patto di prova risalenti all’attività svolta dalla lavoratrice; f) non rilevando la diversità delle realtà territoriali, dato che “le mansioni di portalettere risultavano qualitativamente identiche, ancorché rese in distinte realtà territoriali, sicché non era neppure dato comprendere per quale motivo l’attività di recapito nella zona di Lecce presentasse caratteristiche diverse dalla medesima attività espletata nel bellunese”.
Come più volte rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, la Cassazione ribadisce il principio fondamentale, secondo cui: “la ‘causa’ del patto di prova va individuata nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento attraverso il quale, sia il datore di lavoro, sia il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, verificando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto (v. Cass. ord. 11 luglio 2018, n. 18268, in questo sito, con nota di M.N. BETTINI, Periodo prova e personalità del lavoratore; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22286; Cass. 22 aprile 2015, n. 8237, RGL, 2016, II, 44, con nota di GAMBARDELLA, Le ragioni che legittimano la reiterazione del patto di prova; Cass. 8 gennaio 2008, n. 138; Cass. 29 luglio 2005, n. 15960; Cass. 2 dicembre 2004, n. 22637; 22; Cass. 11 marzo 2004, n. 5016).
Con la conseguenza che, anche se è ammissibile un patto di prova in due contratti successivi siglati fra le medesime parti, “potendo nel tempo intervenire molteplici fattori, attinenti non soltanto alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o a problemi di salute” (Cass., n. 12379/1998), lo stesso “deve ritenersi illegittimamente apposto quando non sia funzionale alla sperimentazione per essere questa già intervenuta con esito positivo, fatto che può essere provato anche per presunzioni, essendo desumibile dalla sussistenza di un precedente rapporto di lavoro tra le parti” (v. Cass. n. 5016/2004).