La condanna penale per patteggiamento di un lavoratore svolgente una prestazione a contatto con il pubblico inflitta a causa della detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti legittima il licenziamento per giusta causa.
Nota a Cass. 3 marzo 2020, n. 5897
Alfonso Tagliamonte
Qualora in seguito al patteggiamento, risultino dimostrati i fatti storici accertati con la sentenza penale di cui all’art. 444 c.p.p., “l’uso e la detenzione, anche a fini di spaccio, di sostanze stupefacenti, non sono consoni allo svolgimento di una prestazione lavorativa implicante contatto con gli utenti da parte di un dipendente…inserito in un ufficio di rilevanza pubblica” e sono idonei ad acquisire rilevanza in sede disciplinare e ad integrare gli estremi della giusta causa di licenziamento.
È quanto afferma la Corte di Cassazione 3 marzo 2020, n. 5897 (difforme da App. Roma n. 1301/2018; v. anche Cass. n. 12994/2018) che, in relazione alla condotta extralavorativa, consistente nel consumo di sostanze stupefacenti ad opera di un lavoratore adibito a mansioni di conducente di autobus, rileva che “la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., ben può essere utilizzata come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile, atteso che in tal caso l’imputato non nega la propria responsabilità e accetta una determinata condanna, chiedendone o consentendone l’applicazione, il che sta univocamente a significare che il medesimo ha ritenuto di non contestare il fatto e la propria responsabilità” (v. Cass. n. 30328/2017 e Cass. n. 9358/2005).
In altri termini, il dipendente, patteggiando la pena, non ha né contestato il fatto né di esserne l’autore e “l’inclusione di tale tipo di condotta nell’ambito della nozione giuridica di giusta causa appare conforme ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale”.
Nello specifico, il Collegio torna a precisare che la giusta causa di licenziamento, al pari del giustificato motivo, costituisce una nozione che la legge (allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo) configura con disposizioni di limitato contenuto, ossia con un modulo generico che va poi specificato in sede interpretativa, “mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama”.
È importante sottolineare inoltre che tale specificazione del parametro normativo ha natura di norma giuridica e la sua disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. In altre parole, “l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione” (v. fra tante, Cass. n. 6901/2016).