Alla scadenza del periodo di comporto, il lavoratore deve rientrare al lavoro. Egli può astenersi dall’eseguire la prestazione solo se venga riassegnato alle mansioni svolte prima dell’assenza per malattia senza essere sottoposto alla visita medica obbligatoria ex art. 41, D.LGS. n. 81/2008.
Nota a Cass. 27 marzo 2020, n. 7566
Francesco Belmonte
Il lavoratore, dopo un periodo di malattia protratto per oltre sessanta giorni, non può rifiutarsi di ritornare al lavoro e continuare ad assentarsi, ma può, in assenza di visita medica, rifiutarsi legittimamente, ai sensi dell’art. 1460 c.c., di eseguire le mansioni incompatibili con il suo stato di salute, dato che l’omissione della visita medica obbligatoria di cui all’art. 41, co. 2, (lett. e-ter), D.LGS. n. 81/2008, costituisce grave e colpevole inadempimento del datore di lavoro.
È quanto precisa la Corte di Cassazione (23 marzo 2020, n. 7566, conforme ad App. Napoli n. 8138/2017), la quale rileva che il citato art. 41, co. 2, lett e-ter, prevede, fra gli strumenti della “sorveglianza sanitaria”, anche l’effettuazione di una “visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare la idoneità alla mansione” e accertare che questa possa essere svolta senza alcun pregiudizio o rischio.
I giudici chiariscono altresì che “la ‘ripresa del lavoro’, rispetto alla quale la visita medica deve essere ‘precedente’, è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quando egli faccia ritorno in azienda dopo un’assenza per motivi di salute prolungatasi per oltre sessanta giorni, alle medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni per le quali sia necessario compiere una verifica di “idoneità”, accertando e cioè se il lavoratore possa sostenerle “senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psico-fisica”.
Il lavoratore, pertanto, qualora sia nuovamente destinato alle stesse mansioni assegnategli prima dell’inizio del periodo di assenza, può astenersi ex art. 1460 c.c. dall’esecuzione della prestazione dovuta soltanto se non è stato sottoposto a visita medica, dal momento che l’effettuazione di tale visita prevista si pone all’interno dell’obbligo imprenditoriale di predisporre e attuare le misure necessarie a tutelare la salute e l’incolumità del prestatore di lavoro (ex art. 2087 c.c.). Ne consegue che l’omissione della visita integra un inadempimento della parte datoriale di rilevante gravità e risulta tale da “determinare una rottura dell’equilibrio sinallagmatico e da conferire, pertanto, al prestatore di lavoro una legittima facoltà di reazione”.
In ogni caso, tuttavia, una volta venuto meno il titolo giustificativo dell’assenza (nella specie, la lavoratrice ricorrente aveva superato il periodo di comporto), il dipendente non può astenersi anche dalla presentazione sul posto di lavoro.
Tale presentazione infatti costituisce un “momento distinto dall’assegnazione alle mansioni, in quanto diretto a ridare concreta operatività al rapporto, ben potendo, comunque, il datore di lavoro, nell’esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell’espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all’interno della organizzazione di impresa”.
Peraltro, il lavoratore assente per malattia che intenda interrompere il decorso del periodo di comporto non ha una incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate, ma non godute. Spetta al datore di lavoro stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale, armonizzando le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore (v., fra tante, anche Cass. n. 5521/2003).
Egli è tenuto altresì a considerare e valutare adeguatamente la posizione del lavoratore esposto alla perdita del posto di lavoro in seguito alla scadenza del comporto, ma tale obbligo non è ragionevolmente configurabile quando il dipendente abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita.